Genova – La città di Ersilia

A Genova, nel tratto che va da San Martino a Sampierdarena, quanti vanno a piedi o usano i bus sanno di chi si tratta. Anche se non sanno che si chiama Ersilia e non le hanno mai parlato. Ma l’hanno vista. O almeno ne hanno visto la parte del viso che emerge da sotto il cappello di panno che porta con le falde calate sulle orecchie e fermate da una sciarpa leggera che le incornicia il capo e le copre il collo. Così anche per il resto del corpo stretto da panni che lasciano indovinare solo quanto sia esile e minuta. Guanti di cotone chiari e brache lunghe e molli strette alle caviglie coperte da una sorta di lunga saariana d’estate e da un impermeabile d’inverno. Ai piedi calza scarpette nippo, imbottite e con la suola alta. A tracolla una borsa e in una mano un plico o una busta, un foglio con su un elenco, fissato su un dorso rigido, e a volte una delle piantine di Tuttocittà; nell’altra mano una trasmittente di modello antiquato.


A piedi e sui bus, Ersilia ha percorso per anni la città a consegnare lettere e plichi. Antesignana del mototaxi, estate e inverno, Ersilia sembrava non vedere le persone e le cose che la circondavano, solo concentrata sulla meta del momento. Saliva, scendeva, arrancava con un passo breve, leggero, svelto. Un giorno l’ho vista che zoppicava leggermente. In seguito di più. Era stanca, provata, ma teneva duro; era brava. Più brava dei più giovani colleghi che sfrecciano in moto e che – dopo aver controllato l’indirizzo sulla busta – ti chiedono dove sia via Roma. Lei no: lei lo sapeva perché lei la città la strusciava metro dopo metro. Il giorno che le ho rivolto la parola non si è stupita. “Parliamo pure – mi ha detto – ma camminiamo, perché non ho molto tempo”. Perché il tempo alla fine vince; Ersilia lo sapeva.
Mi capita di vederla ancora, ma raramente. L’ultima volta è stato dopo un temporalino d’aprile. Scendeva da un 18 alla fermata di San Giacomo e Filippo ed è finita nel mezzo di una specie di vasca d’acqua da oltre due anni formatasi sul marciapiede. E che continua a ingigantire perchè il tempo vince ed erode anche i blocchi di calcare. Mentre guardava stupita le sue scarpe che si erano riempite d’acqua Ersilia m’ha visto. “Ormai è una città così, ha detto a me ma come se parlasse con se stessa. Niente manutenzione, Peccato…”.
Una constatazione facile da fare. Buche, voragini segnalate da cavalletti che invecchiano per mesi o anni, marciapiedi rotti, strisce pedonali invisibili, carcasse di moto abbandonate. Dice bene Ersilia: “Peccato”.
Repubblica del 27 giugno scorso: “Case e uffici nel giardino segreto… negozi, appartamenti e box… operazioni da trenta milioni di euro per chiudere l’ultimo buco nero del centro”. Succederà proprio a poche decine di metri da dove Ersilia è finita nella pozzanghera. Un buco anche quello ma non egualmente redditizio. L’altro infatti, quello da 30 milioni di euro, a chiuderlo andranno una cordata di immobiliaristi, l’Amga e il Comune.
E il marciapiede? Se ne parla. Intanto buone ferie.
(Manlio Calegari)