Università – Che cosa farà da grande? La moglie di primario

In periodo di immatricolazione, all’Università, i tutor hanno il compito di promuovere le rispettive facoltà. Davanti a me ho visto passare decine di potenziali studenti che avevano una sola domanda: con una laurea in Lettere si trova lavoro? Secondi di silenzio, una specie di concretizzazione di quei puntini di sospensione dentro la nuvoletta vuota che di tanto in tanto compare nei fumetti.


Ma esiste una risposta sensata che riesca a soddisfare l’espressione carica di fiduciosa attesa impressa sui visi di mamme e figli? No; non esiste. Al massimo si può cercare di metterci una pezza, obiettando che nessun titolo di studio garantisce la certezza ontologica di un posto di lavoro. Gli racconto che mia sorella, brillante ingegnere, laureata in tempo e con lode, ha dovuto sottoporsi ad un intero anno di stage a 500 euro al mese. Si può anche provare a sostenere che non è tanto il “pezzo di carta” (capite che espressione trita, raccapricciante e del tutto priva di significato tocca adoperare?) a contare nel mondo del lavoro quanto la capacità, l’intraprendenza, insomma lo spirito dell’individuo. Si capisce – ma questo già lo sanno tutti – che qualche parente/amico/conoscente ben collocato che metta la parolina giusta al momento giusto non guasta. Ma quest’ultima osservazione è francamente di cattivo gusto. E l’insegnamento? non sembra più una strategia vincente. I ragazzi e soprattutto le mamme storcono il nasino. Il credito dei docenti ha dunque toccato il suo minimo storico?
Una volta, esausto, ho persino provato a girare la domanda. “A te, cosa piacerebbe fare?” ho chiesto. Riporto alcune delle risposte: giornalisti a mazzi (la prossima estate partirà una campagna di sensibilizzazione: non abbandonare il tuo giornalista in autostrada), nemmeno uno scrittore, qualche restauratore, un solo bibliotecario. La migliore: una ragazza, davvero carina che, con sicurezza, ha detto di voler seguire il consiglio della nonna: iscriversi a Lettere, o dove altro capita, per poi bazzicare intorno alla facoltà di Medicina, allo scopo di intraprendere la brillante carriera di moglie-di-primario. Avrei voluto abbracciarla. Anche per il docente universitario c’è stata qualche opzione. Prova indiretta che il suo prestigio sociale è fuori pericolo. Dovrebbe tranquillizzare chi su Repubblica ha di recente profetizzato il Giudizio Universale appena si è provato a mettere in discussione la singolare progressione automatica (indipendente dalla produttività) i n carriera e nella busta paga, di cui gode il ceto dei docenti.
The Pupil