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OLI 356: ILVA – Genova chiama Taranto, la parola a un delegato
L’ho giudicato il peggior datore di lavoro che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita di imprenditore e di politico successivamente. Una persona che guarda esclusivamente ai suoi interessi – lo dico, non ho niente da nascondere – in un modo che io non ho mai visto uguale “fregandosene” dell’ambiente, della città, dei rapporti, della parola, degli impegni: non li ha mai rispettati, mai, mai, con nessun colore politico. E ha aggiunto: ho l’impressione che lui abbia il coltello della parte del manico e ancora è una controparte molto pericolosa. Queste sono alcune delle dichiarazioni di Sandro Biasotti – presidente della Regione Liguria dal 2000 al 2005 – su Riva in occasione dell’incontro sul caso acciaio del 26 ottobre a palazzo Tursi.
In azienda, durante le assemblee sindacali, spesso è stato definito bandito.
Un suo dirigente ha più pacatamente osservato: io lavoro per soldi, Riva fa la stessa cosa.
In molti gli riconoscono un potere divino, fuori dal controllo di istituzioni e sindacato. Tant’è che spesso, nell’immaginario collettivo, la parola Riva sfuma dal primo piano del fondatore Emilio, alle ciminiere di Taranto, quasi fosse un moloc. E’ un fatto che le dichiarazioni di Biasotti restituiscono un’immagine dei politici con le armi spuntate e sono di una pesantezza inaudita.
Per questo è importante quanto ha dichiarato Federico Pezzoli, delegato Fiom all’ILVA di Genova Cornigliano, che ha sentito l’esigenza di inquadrare di chi stiamo parlando: della famiglia Riva con la quale se è così difficile per le istituzioni rapportarsi – visto l’andazzo – altrettanto difficile lo è per il sindacato, alla luce del momento contingente di crisi acuta, ma è il nostro datore di lavoro, non ce lo siamo scelto e con lui dobbiamo, proviamo a confrontarci.
Federico Pezzoli è uno dei 1750 dipendenti rimasti. Nel 2005 eravamo 3000, oggi siamo 1750, 1150 dei quali impiegati nei contratti di solidarietà: quindi la paura è tanta e la preoccupazione è forte, non siamo certamente insensibili a tutto quello che sta emergendo, i dati sono sconvolgenti, per questo è importante manifestare il sentimento che vige all’interno dello stabilimento. In gioco, dice Pezzoli, è l’intera filiera che alimenta l’industria manifatturiera italiana, fermare il ciclo integrale di Taranto genererebbe 7 miliardi di extra costi per l’approvvigionamento dell’acciaio. Pezzoli ha spiegato che le ripercussioni sul fronte occupazione sarebbero devastanti. I dipendenti del gruppo in Italia sono almeno 20.000, ma conteggiando l’indotto il numero si può raddoppiare. Per questo la nuova AIA rappresenta per il delegato della FIOM un buon punto di equilibrio che consente la riduzione dell’inquinamento, senza assestare un colpo mortale alla produzione. Pezzoli si è detto veramente sgomento dai dati sulla mortalità 2003 – 2009 emersi dallo studio Sentieri, ed ha ricordato che la Fiom-Cgil si è costituita parte civile nel processo a carico della famiglia Riva. Quindi sì alla richiesta degli investimenti necessari per il risanamento ambientale (rispetto ai quali la FIOM dell’ILVA di Taranto ha presentato e fatto votare una piattaforma piattaforma ndr). Utile però riflettere sulle ragioni che hanno provocato un disastro che non si limita, secondo il delegato, alla gestione Riva, presente dal 1995, ma anche al periodo in cui la gestione era pubblica. E’ stata ricordata l’omessa vigilanza da parte dei governi nazionali e delle istituzioni pugliesi, senza fare sconti nemmeno al sindacato tarantino. Il delegato ha salvato l’Accordo di Programma applicato a Genova Cornigliano rispetto al metodo, ma sul merito questo è stato il suo bilancio: l’Accordo ha permesso la trasformazione dell’area a caldo di Cornigliano potenziando quella a freddo, nessuno è stato licenziato, però la forza lavoro è scesa da 2700 persone a 1700 attraverso 7 anni di CIGS, CIGO e CdS. Ed ha aggiunto che se si fosse optato per un forno elettrico ecocompatibile forse oggi i problemi del sito genovese non esisterebbero.
La scorsa settimana l’azienda ha richiesto la messa in cassa integrazione per tredici settimane, a decorrere dal 19 novembre, per 2000 dipendenti dell’area a freddo dello stabilimento di Taranto.
(Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato) -
OLI 356: REGIONE – L’eccellenza abita anche qui
Bisogna inerpicarsi sulle colline ma poi da qui il panorama toglie il fiato, tra fasce di ulivi e il mare in lontananza, lo sguardo che spazia dall’azzurro del cielo al monte di Portofino fino a Capo Noli e una particolarità nel paesaggio: vetri scintillanti incastonati nel fitto verde argenteo.
Sono le serre del basilico, nella nostra regione con un sapore unico e speciale.
Non sempre si sa però quanta fatica costano quelle piantine fragili dal gambo trasparente perché è così che va raccolto per fare un pesto autentico come tradizione vuole. Foglie piccole su un fusto sottile di una piantina colta a poche settimane dalla semina.È il segreto del successo del basilico genovese. È anche il successo di un’azienda familiare, un’eredità paterna di poche serre trasformate in efficienti vivai a diversi livelli di crescita, secondo un progetto portato avanti con tenacia e premiato dalla Comunità Europea: dalla serra dove il terreno viene nuovamente zollato e disinfettato con il vapore, a quelle con le piantine appena nate. Pazientemente seduti su tavole di legno che via via si riposizionano, i raccoglitori, in prevalenza asiatici, tuffano nel manto fitto le mani sottili e selezionano le piantine giuste per farne mazzetti profumati, avvolgendo le radici in una manciata di segatura. Fino a cena nessuno si ferma, dai raccoglitori ai titolari, la famiglia intera, mogli, nipoti, tutti intenti a confezionare i plateau di mazzetti per i mercati del mattino dopo. Un ciclo continuo di lavoro e fatica. Battute a parte del ministro del Lavoro, che al convegno degli agricoltori di Bologna la settimana scorsa ha dichiarato: “lavorare l’orto rilassa”.
Cinquemila metri quadrati di basilico per tre, quattro volte l’anno di raccolto che ha un supporto straordinario nella centrale a biomassa, che va a “cippato”, scarti del legno. Unica in Liguria. Camion di riccioli d’albero, sottobosco, avanzi di segheria alimentano un impianto perfetto, trasformandosi al massimo in una carriola di cenere, tengono al caldo il basilico; provengono dal Piemonte, peccato, in Liguria, regione fra le più boscose d’Italia, non s’incentiva la raccolta di questi scarti.
L’Europa ha sovvenzionato con i fondo rurali 2006-2013 quest’azienda, riconoscendone il lavoro d’eccellenza. Una buona notizia a fronte di quanto informa La Repubblica del 2 novembre riguardo l’agricoltura in Liguria: “aziende dimezzate”, un meno 46,1 per cento e una contrazione delle superfici coltivate del 32,6 per cento. Sforzi di Governo e Regioni, non più di tanto però e molti stentano a ricevere aiuto, tranne qualche eccezione come sopra. Sono più ghiotti i terreni edificabili.
Invece il futuro del nostro Paese non dovrebbe più prescindere dalla valorizzazione di chi coltiva: infatti la costante sottrazione di superfici alle coltivazioni, dovuta alla cementificazione (oltre 100 ettari al giorno secondo i dati Istat), da un lato abbatte la produzione agricola, dall’altro aumenta esponenzialmente il rischio idrogeologico che ogni anno costa vite umane oltre a danni per miliardi di euro.
Servirebbe un’attenzione nuova sul mondo agricolo, la si dovrebbe porre al centro dello sviluppo e fissare intorno ad esso i meccanismi della costruzione del paesaggio: essenziale il suo contributo alla manutenzione del territorio e gli eventi di questi giorni lo dimostrano.
Una diversa percezione non solo a livello economico ma anche sociale perché, oltre ad operare per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente, l’agricoltura significa lavoro. E di questi tempi non è poco.
(Bianca Vergati – foto da internet) -
OLI 356: ESTERI – Sessismo negli USA
Sui risultati ottenuti dalle donne alle ultime elezioni negli USA, Tali Mendelberg, professore associato di scienze politica all’Università di Princeton, e Chrisopher f. Karpowiz, un assistente professore di scienze politiche presso la Brigham Young University, illustrano sul New York Times del 8 novembre 2012, i risultati della loro ricerca sulla necessità di una presenza femminile pari a quella maschile in un gruppo decisionale per poter produrre decisioni al femminile: “Il Congresso che si riunirà nel mese di gennaio avrà un numero record di donne: 20 senatrici. Le candidate donne hanno rotto altre barriere nelle ultime elezioni. Questo significa che il prossimo Congresso sarà più attento ai bisogni dei bambini, delle ragazze madri e degli americani più vulnerabili a causa del basso reddito, delle cattive condizioni di salute e di altri svantaggi? Purtroppo, no. La nostra ricerca dimostra che i legislatori prendono in considerazione le politiche femminili solo quando la presenza delle donne è veramente uguale a quella degli uomini. Festeggiamo pure le conquiste elettorali ma abbiamo molta strada da fare”.
Rimanendo negli Stati Uniti, sempre riguardo alle donne, per il Business Insider il generalissimo Petraeus, protagonista di guerra in Iraq ed Afghanistan contro nemici terribili è vittima di una donna molto seducente ed ambiziosa, la sua amante e bioghrafa Paola Broadwall. Lui è giustificato: “un uomo di 60 anni che si trova davanti una donna attraente che ha quasi la metà dei suoi anni che si rende disponibile a lui, mettetevi nei suoi panni è una prova durissima per chiunque”. Per lei invece nessuna giustificazione e il titolo sessista dell’articolo del Business Insider è, infatti, il seguente: “Un collega di Petraeus: la bioghrafa Paula Broadwell ha messo i suoi artigli su di lui”.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 356: Movimento 5 Stelle – Grillo, Putti, Salsi e le facce nella rete
Lidia Ravera ha scritto su il Fatto Quotidiano: Non l’ho vista a Ballarò, perché dalla compagnia di giro dei politici televisibili mi difendo non guardandoli, e una rapida indagine ha confermato un’ipotesi: tutti ne parlavano, ma in pochi l’avevano vista.
Anche Paolo Putti, candidato sindaco di Genova alle ultime elezioni ha precisato: non ho visto la trasmissione, però posso dire che io ho sentito il bisogno, subito dopo la campagna elettorale, di andare comunque nelle trasmissioni televisive, perché mi aveva sostenuto tanta gente che non avrei raggiunto con la rete e volevo comunque che sapesse che ho una faccia, un volto e che ero lì per essere toccabile, annusabile, anche dopo e nella continuità.
immagine da internet Non si può sapere se Federica Salsi, consigliera comunale del Movimento 5 Stelle, sia stata spinta dallo stesso bisogno di Putti e poco importa, quel che conta è che la misogina sparata sul punto G, non ha permesso di cogliere il punto sostanziale della vicenda: la Salsi ha reso un buon servizio al Movimento a Ballarò e ha mostrato al pubblico italiano una faccia interessante del nuovo che avanza.
Putti, che ha colto il pericolo delle trasmissioni tv, ha precisato io privilegio le assemblee alla rete; l’ho detto a Casaleggio e a Grillo, per me è più importante, l’assemblea e la piazza e gli incontri con le persone. Sui toni dei post indirizzati alla Salsi in rete ha detto: ho scritto a questa ragazza che non conosco, le ho scritto su facebook semplicemente per dirle che abbiamo bisogno di lei nel movimento, che abbiamo bisogno delle persone che comunque si domandano delle cose, provano delle cose, possono anche sbagliare delle cose. Le ho detto che condivido che Grillo consigli di non andare nei talk show, credo che sia un consiglio tutelante. Detto questo condivido anche il fatto che lei sia andata, abbia sperimento. Mi è spiaciuta un po’ la dinamica – e questa è una delle negatività delle rete – di processo e pregiudizio che si scatena, che ha portato poi lei a fare determinati annunci in consiglio comunale. Purtroppo, ha spiegato Putti, la rete consente a persone che nella vita hanno difficoltà relazionali di atteggiarsi a giudici, boia e pubblici ministeri, e invece dovrebbe essere uno strumento di comunicazione, quello per cui è nata, che è fantastico. Le ho scritto che spero che Beppe la chiami privatamente e le dica perché ha detto quelle cose e la sostenga invece come persona, come farebbe qualsiasi leader, come io farei con qualsiasi persona del movimento, anche se non sono un leader, ma sono un portavoce come Beppe lo è del movimento
La sera dell’8 novembre, giorno stesso in cui Paolo Putti ci ha espresso il suo parere, andava in onda sul La 7 a Servizio Pubblico una chiacchierata tra Federica Salsi e Francesca Favagni. Tra le altre cose la Salsi ha dichiarato: Il movimento cinque stelle ha una faccia che brilla, ma anche un’altra faccia, se noi vogliamo vedere solo la faccia che brilla non siamo onesti con noi stessi e non facciamo il bene di questo paese, proprio adesso che ci proponiamo per andare al governo.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 356: SOCIETA’ – Non ci casco!
Paura ed insicurezza, come tutte le violenze, colpiscono in modo particolare i più deboli. Gli anziani si chiudono in casa. Pesa una sensazione di vulnerabilità, di fragilità crescente. C’é una giusta paura che piccoli atti di prepotenza possano avere conseguenze enormi. Uno scippo, uno spintone, una caduta possono essere molto pericolosi per una persona anziana. C’è smarrimento, intorno a casa si vede “gente strana”. La TV insiste sulla cronaca nera: spaccio, scippi, violenza, tutto è più complicato di una volta, si allentano i legami di vicinato, di parentela, di solidarietà. Ci si chiude in casa, ma così aumenta la solitudine e quindi l’insicurezza. In caso di bisogno ci si chiede a chi domandare aiuto e non si trova una risposta. Ci troviamo dunque di fronte ad un problema reale, che va affrontato perché l’insicurezza lede la qualità della vita delle persone anziane, che è fatta non solo di buona salute, ma anche di relazioni, di accesso alle opportunità che il territorio offre, di consapevolezza, di capacità di esercitare i propri diritti di cittadinanza.
In questo contesto si pone la campagna “Non ci casco” promossa dallo SPI CGIL, che non è un’operazione pubblicitaria, un libretto che si mette nelle cassette come un qualsiasi depliant pubblicitario, e nemmeno è un decalogo da imparare a memoria. E’ un contributo a fare attenzione a quei trucchi, a quelle tecniche, a quelle situazioni nelle quali il truffatore può sorprenderci ed è lo sforzo di costruire in sede locale quella “rete” di competenze (lo Spi, l’Auser, la Federconsumatori, il Silp-Cgil) che può assicurare ad ogni pensionata-pensionato l’aiuto che serve.
E’ anche un modo per prendere contatto con le persone anziane, soprattutto quelle che sono più isolate e spaventate, per farle uscire di casa e aiutarle a ricreare quella rete di relazioni sociali ed amicali che possa diventare un sostegno concreto nella gestione della propria quotidianità. Parlare delle truffe di cui spesso gli anziani sono vittime, segnalare le condizioni di degrado che rendono specifiche aree inaccessibili agli anziani, affrontare il tema della legalità e dei diritti, sdrammatizzare le possibili interazioni con soggetti vissuti come potenzialmente “pericolosi” vuol dire aiutare a ricostruire una visione più serena del mondo circostante.
La conoscenza chiara dei fenomeni e delle risorse a disposizione sono elementi importanti di consapevolezza e di autodifesa.
Per questo è utile una campagna che aiuti le persone ad imparare come difendersi da pericoli sempre nuovi, e che spinga le Istituzioni (e non solo le organizzazioni private) ad aiutare le vittime, soprattutto quelle più fragili, che possono ricevere un danno pesantissimo anche sotto il profilo psicologico, a recuperare contesti urbani degradati, a investire nella sicurezza nelle strade e nelle case, a rendere più facile il rapporto con i cittadini.
(Paola Repetto – Foto Paola Pierantoni) -
OLI 356: INFORMAZIONE – Il Corriere della Sera e l’isola che non c’è

Ikaria: un signore centenario torna a casa dopo una festa Capita, a volte, di incappare in un articolo che parla di qualcosa che conosci davvero a fondo, e rimanerne un po’ straniti. E’ il caso di un articolo pubblicato in rete il 5 novembre sul Corriere della Sera – Salute. Titolo: “La formula dell’immortalità custodita in un’isola greca – Ikaria: i 90enni sono il doppio della media nazionale. La scoperta di un team italiano”.
Nel 2008 quest’isola dell’Egeo nord orientale, data la longevità degli abitanti, è finita sotto la lente di osservazione di Dan Buettner, ricercatore statunitense, esploratore, corrispondente del New York Times, membro di National Geografic e fondatore di ‘Blue Zones’, società che svolge ricerche sulle cause della lunga vita in diverse aree culturali e geografiche.
Ikaria, festa Di questa ricerca e dei suoi aggiornamenti parla un articolo del New York Times dello scorso 28 ottobre, di certo ispiratore del pezzo del Corriere, ma costretto dall’articolista del Coriere in una sintesi che può lasciare perplessi amanti e fedeli frequentatori del luogo. La realtà infatti non collima con l’immagine proposta: isolani pressoché vegeteriani che fanno colazione e cena ‘a base di latte di capra’, genere però impossibile da trovare in quest’isola piena di capre (se ne contano 30.000, contro 7000 abitanti), che in gran parte girano libere sui monti, né munte né accudite, in attesa di essere mangiate tutte intere, arrostite, o bollite, o in umido (i fegatini passati in padella), nel corso delle infinite feste che allietano l’isola, queste sì fattore di lunga vita.
Se è vero poi che gli isolani bevono un infuso di erbe selvatiche detto “the della montagna”, è del tutto fantasioso che consumino ‘molta maggiorana’ e ‘molto rosmarino’. Praticamente ignoto, infatti, l’uso alimentare del rosmarino, e del tutto sconosciuto quel che noi intendiamo per maggiorana: parola di genovesi che hanno tentato invano di confezionare ricette liguri dove questa erba è essenziale.
Al mattino si beve ancora … E poi nessun cenno al vino! Il vino ‘pramnio’! Orgoglio di un’isola che si vanta di aver dato i natali a Dioniso stesso, e in cui l’impronta dionisiaca delle feste è tuttora evidente … Difetti veniali. Però, pur nella sintesi, valeva la pena di evidenziare altri aspetti dell’articolo del New York Times. Inanzitutto che la dieta isolana non è forse il fattore più importante, ma che grande peso ha la struttura sociale, il fatto che gli anziani hanno un ruolo riconosciuto che motiva la loro vita, che senz’altro “si mangia meglio che in America“, ma che il fattore più importante è “come mangiamo … noi godiamo della compagnia, chiunque ne faccia parte. Il cibo è sempre goduto insieme alla conversazione”.

Ikaria, in una tomba un riconoscimento al vino E il sesso. L’articolo del NYT puntualizza che “l’80% degli uomini tra i 65 e i 100 anni svolgono regolarmente attività sessuale”. Ricerche a parte, per appurare l’allegra disponibilità sessuale di anzianissimi signori basta andare da sole alle feste isolane.
L’articolista del Corriere dà conto della salutare indifferenza locale verso il tempo, e su questo non si può che concordare: sull’isola per gli appuntamenti vengono usati termini quali ‘messimeraki’, o ‘vradaki’ che indicano ore indeterminate rispettivamente situate tra mezzogiorno e le cinque del pomeriggio, e tra le nove di sera a notte fonda.
Una osservazione finale: del team che nel 2008 ha condotto questa ricerca sull’isola di Ikaria faceva parte anche Gianni Pes, del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari, ma perché nell’articolo si parla di un ‘team italiano’, anziché di un ‘italiano nel team’?
(Paola Pierantoni – foto dell’autrice) -
OLI 356: LIBRI – Grecia, omicidi al tempo della crisi
La crisi finanziaria in Grecia non costituisce certo un argomento insolito, negli ultimi mesi quasi quotidianamente i mezzi di comunicazione ci hanno aggiornato su provvedimenti governativi, attività della troika, scioperi generali, disordini in Piazza Sintagma. Il panorama politico vede una profonda radicalizzazione delle posizioni: attualmente nei sondaggi il primo partito greco è la sinistra radicale di Syriza (23%), seguito dai conservatori di Nea Demokratia al 20%, al terzo gradino troviamo il partito filo-nazista Chrysì Avgì (Alba Dorata) con il 10,4%, mentre il partito socialista Pasok occupa solo il quarto posto, con un misero 7,5%.
Solo visitando la Grecia o parlando con chi ci vive, ci si può però rendere conto delle reali difficoltà che sta affrontando il popolo di questo paese: moltissimi negozi con la scritta “VENDESI” o “AFFITTASI”, pensionati che devono conciliare una pensione di 700 euro con un affitto di 300, liberi professionisti che hanno visto “evaporare” i loro clienti, spaventati dal clima di incertezza (“non abbiamo mai la certezza che l’ultimo provvedimento che taglia stipendi e pensioni sia davvero l’ultimo”, è lo sfogo di un amico). Uno spaccato della situazione ci viene fornito nelle ultime fatiche letterarie di Petros Markaris, scrittore di gialli famoso in Grecia e largamente tradotto anche in Italia.
I suoi ultimi romanzi, Prestiti scaduti e L’esattore, sono episodi di una trilogia dedicata alla crisi finanziaria greca.
In Prestiti scaduti, il commissario di polizia Kostas Charitos indaga su una serie di assassinii nel mondo della finanza, facendo quotidianamente i conti con cortei, scioperi, traffico bloccato ma, tra le pieghe della trama poliziesca, si avverte chiara la presenza di una sorta di corrente sotterranea rabbiosa contro banchieri, profittatori, politici, rei di avere “corrotto” il popolo greco: Petros Markaris, contro lo scoramento e la rabbia, in un incontro che si svolse a Genova nello scorso dicembre (OLI 324), invocava una sorta di rinascita culturale, ma nei suoi romanzi prevale il pessimismo.
(Ivo Ruello) -
OLI 355: ILVA – Genova chiama Taranto – Taranto risponde
“L’acciaio serve ancora alla nostra manifattura, alla stessa green economy e quindi, da qualche parte, si deve pur produrre, quindi abbiamo bisogno in Italia dell’acciaio primario e accettiamo che venga prodotto a Taranto ma non è più possibile continuare a produrlo alle condizioni in cui è stato prodotto fino ad adesso. L’azione della magistratura e soprattutto la straordinaria mobilitazione popolare oltre che una feconda anche se conflittuale riflessione all’interno del mondo del lavoro ci fanno sperare che finalmente queste condizioni cambino in meglio. Come Legambiente abbiamo deciso di accettare questa scommessa non facile da sostenere quando la gente non ne può più, la pazienza è ridotta a zero e i cui risultati non sono affatto scontati. Per farcela servono rigore, serietà e impegno da parte di tutti. Serve un atteggiamento dell’impresa Ilva meno furbo e arrogante e più orientato alla trasparenza e all’onestà intellettuale. Servono importanti investimenti per risanare e innovare gli impianti e per la bonifica di ciò che è stato compromesso. Il come si supererà a Taranto questa crisi ci dirà molto sulla politica industriale dei prossimi anni nel nostro paese”.
Sono alcuni stralci della lettera inviata da Maria Maranò di Legambiente Taranto all’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa” promosso da Legambiente il 26 ottobre. Maranò su Genova ha scritto: “I segnali che ci sono arrivati, tramite i mass media non sono stati confortanti, anzi li abbiamo valutati poco rispettosi della complessità della crisi che la popolazione tarantina sta vivendo e per certi versi anche un po’ miopi – mi riferisco alla dichiarazione fatta dal sindaco a seguito del provvedimento della magistratura di avvio della fermata di alcuni impianti, ricordo che sono ancora tutti in funzione – e alla scelta dei lavoratori di scioperare contro il provvedimento (la Fiom a Genova non ha aderito allo sciopero del 10 ottobre ndr). Far coincidere gli interessi dell’azienda Ilva con il diritto al lavoro è a nostro parere sbagliato, alimentare nei fatti la contrapposizione tra chi chiede il diritto al lavoro e chi chiede il diritto a non ammalarsi per eccesso di inquinamento ambientale non farà fare passi avanti a nessuno.Su OLI avevamo scritto cosa i politici genovesi presenti in sala – Biasotti e Bernini – dicevano del rapporto con Riva a Genova, dell’accordo di programma, e dell’occupazione sulle aree di Cornigliano. Grazie ai dati forniti da Federico Valerio, chimico ambientale, chi era presente in sala ha potuto cogliere le differenze a livello sanitario tra il prima (area a caldo e cokeria) e il dopo (siderurgia a freddo). Dalla scorsa settimana la cronaca ha registrato la morte di Claudio Marsella, avvenuta al movimento ferroviario dello stabilimento di Taranto martedì scorso. Si tratta della quarantatreesima vittima del siderurgico dal 1992 ad oggi. Una disgrazia che ha acuito lo scontro tra Usb e Comitato dei Liberi e Pensanti da un lato e Fim, Fiom, Uilm dall’altro. La Repubblica ed. Bari scrive che sotto accusa è un accordo firmato “nel 2010 che prevedeva un solo addetto a guidare le macchine di reparto”. Lo scontro, martedì sera, per poco, non è diventato fisico.
La morte di Claudio impone una riflessione totale, molto seria su tutti gli stabilimenti, sulle relazioni umane, sindacali e sulla sicurezza tra tutti i lavoratori. Anche per questa ragione, l’intervento di Federico Pezzoli – RSU Fiom Ilva Cornigliano – all’incontro del 26 ottobre merita una riflessione a parte. (continua)
(Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)







