Autore: Redazione

  • TAV a rischio/2 – Si chiama Terzo valico ma si legge Sesto

    Molti (non solo la solita “sinistra radicale”) ricordano che, per l’esattezza, il Terzo valico dovrebbe chiamarsi Sesto perché ci sono già cinque valichi ferroviari che attraversano l’Appennino: quello di S. Giuseppe di Cairo (Savona-Torino), la Voltri-Ovada-Alessandria, le due linee ferroviarie dei Giovi (Genova-Milano) e la Pontremolese (La Spezia-Parma). Il richiamo non sembra un mero puntiglio filologico. Dicono che prima di sobbarcarsi a un’impresa così costosa (oltre cinque miliardi di euro, tanti quanti quelli che erano necessari per il faraonico ponte sullo Stretto), altre dovrebbero essere le priorità.

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  • Minori – I soldi senza pensiero servono a poco

    Se dovessimo sintetizzare in poche righe il frutto degli incontri che abbiamo avuto in questi mesi con funzionari ed operatori pubblici, ricercatori ed educatori a proposito di “minori stranieri non accompagnati” utilizzeremmo le parole di uno dei nostri interlocutori: “nei nostri enti pubblici non è mai stata fatta una grande elaborazione di pensiero, tutto è delegato agli operatori. I soldi sono pochi. Altre regioni fanno di più, anche in termini economici. Ma i soldi senza pensiero servono a poco”.

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  • Cose da Pera – L’invito a votare contro coscienza

    Tempo fa un giornale ha pubblicato la notizia che l’ex presidente del Senato Pera ha tuonato contro i suoi in materia di leggi su coppie di fatto e altro di simile, chiedendo loro di votare anche contro coscienza (sic) nel caso fossero chiamati a farlo. Da un personaggio che va predicando da tempo le radici cristiane senza sicuramente aver mai visto una pianta e conoscere le funzioni delle radici, che ha promosso crociate contro chi inquinerebbe la nostra cultura (abbiamo ancora una cultura?), che ha portato il suo bel programma addirittura alla conoscenza del Papa, allo scopo di formarsi una bella cintura di castità preelettorale, c’era da aspettarsi di tutto.
    Non però che osasse mettere in dubbio quello che ogni essere umano ha di più sacro, tanto che la stessa Chiesa ne ha rispetto (ed è tutto dire): la libertà di coscienza. Che costui abbia attorno gente tanto pavida da aggregarsi attorno a idee a dir poco strampalate, storicamente fuori squadra, e quest’ultima a dir poco immorale?
    (Giovanni Meriana)

  • Passato/1 – Se Renato Curcio si fosse pentito

    Esiste un rapporto tra passato, abiura e ricerca sociale? Nessuna meraviglia se la destra tuona contro un ricercatore che, pagate le tasse e ogni debito con la giustizia, espone i risultati di una ricerca, rigorosa sul piano metodologico, su un tema molto attuale: “il precariato”. Meno comprensibili le esternazioni del sindaco di Bologna: “Non è in discussione la liberta di un cittadino di fare o muoversi. Ma la mancanza di un’esplicita condanna del terrorismo passato e presente da parte di Renato Curcio rende inopportuna e fuori luogo la sua presenza e l’iniziativa che lo ospita.” (Repubblica, 2 marzo 2007).

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  • Passato/2 – La pervicacia del capo non è una virtù

    Cofferati, “il cinese”, che diventa il Ruini della sinistra, prima perché a Bologna vuole mandare i ragazzi a casa a una cert’ora della notte e poi perché non condivide gli onori resi a Curcio quale autore librario, è indubbiamente una forzatura, ma a suo modo efficace, come certe vignette.

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  • Case all’asta – Quanti sciacalli del quartierino

    L’ultimo richiamo ammicca ai passanti dal bordo strada, proprio come certe signore, e promette: Noi la tredicesima te la raddoppiamo… Continua, orchestrata a vari livelli, con inviti subdoli o sfacciati, la campagna che dagli anni della finanza creativa bombarda i meno abbienti, spingendoli a indebitarsi. Per i buon i affari di banche, finanziarie e usurai.

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  • Comune & C./1 – Le società partecipate senza partecipazione

    “Società partecipate”: intanto è già un bel nome. Perché dà l’idea della democrazia (ricordate la canzone di Gaber “La libertà è partecipazione”?). Poi sembra che abbiano contribuito a migliorare la finanza dei Comuni. Che erano diventati dei carrozzoni dove le spese del personale assorbivano tutto il bilancio. Invece con le “partecipate”, quote di risorse finanziarie e umane sono state predestinate a servizi, infrastrutture, progetti economici vari e così sottratte alla voragine comunale. L’intenzione era buona e i risultati, dicono gli amministratori di tutta Italia, sono stati ottimi. Il comune di Genova, per esempio, aveva, fino al 1996, 80 direzioni generali e affogava nella burocrazia laddove ora le stesse sono ridotte a 15 e “le cose funzionano egregiamente”.

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  • Comune & C./2 – Ma chi controlla i controllori?

    Chi sono i manager (ma non mancano i portaborse, i tirapiedi e i riciclati) chiamati a Genova a dirigere o partecipare al governo delle “partecipate”, a quali clan politici, partitici e d’affari appartengono?
    Il Comune di Genova in 18 delle società che ha figliato provvede a 58 consiglieri su 103 (Secolo XIX, 9, 10, 14 febbraio ’07). Come? Pagando 350 mila euro l’anno alla voce presidenti, 900 mila amministratori delegati, 435 mila senza grado. Per un totale di un milione e 685.000 euro lordi (annualmente, ai singoli presidenti tra 10 e 80 mila euro, agli amministratori delegati tra 30 e 200 mila, ai consiglieri una media di 7.600 euro l’anno).

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  • A volte ritornano – Come aprire il palazzo ai vecchi fantasmi

    Chi non ha del tutto rimosso l’abitudine un po’ masochista all’autocritica, può aver avuto un momento di dubbio: non sarà che stavolta hanno qualche ragione anche “loro”, quelli che rimproverano al centrosinistra di essere diviso da cento motivi almeno e unito solo dall’antiberlusconismo? E non è forse un limite pesante, segno di debolezza, l’estrema personalizzazione della lotta politica, ossia la “demonizzazione” dell’avversario, tipica arma degli arruffapopoli di tutti i tempi? Così ripetevano in coro i berluscones, mercoledì sera in tv, a Ballarò, mentre sullo sfondo suonavano a stormo le mille campane del moderatismo mediatico, liberate dalla caduta del governo Prodi in Senato.

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  • Mode – L’ambiguità nera della pubblicità

    Dolce & Gabbana sono due famosi stilisti che ci propongono senza tregua immagini di giovani discinti, un po’ ambigui, visibilmente ricchi, nullafacenti e perciò annoiatissimi, usualmente stravaccati “in posizione scomposta”, come si sarebbe detto a scuola negli anni ’50. Ora però si cambia: questa volta in posizione scomposta c’è una donna, uno sta per violentarla, gli altri intorno, in piedi, guardano con distacco. Forse aspettano il loro turno. Il tutto è molto estetico, si intende. E magari è solo un gioco, forse sotto sotto lei ci sta, dopotutto porta una vertiginosa minigonna e i tacchi a spillo.

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