Tempo di Morire – Accompagnami e poi lasciami andare

Mi chiamo Alma, sono nata settantasei anni fa a Sturla, da casa nostra potevi, di sbieco, toccar il mare con un dito. Terza di quattro fratelli, cullata dai primi, custode dell’ultimo. Adesso e’ lui ad esser qui accanto a me in ospedale. Non posso ascoltare le sue parole, ne vederlo, ma lo percepisco dalla mano che si affanna, affettuosa e maldestra, attorno al cuscino che mi sorregge la testa.
Ho abbandonato udito e vista da alcuni giorni. Devo ridurre al minimo le fatiche di questo corpo. C’è sempre più spazio tra la mia coscienza e i contorni della mia sagoma.


Chissà cosa è accaduto nel frattempo alle mie due vicine di letto. Chissà se le richieste d’attenzione di Delia, alla mia destra sono state esaudite. L’egoismo bianco della solitudine la portava ad introdursi nei discorsi altrui, a lamentarsi della bava d’aria che entrava dalla finestra, a raccontare di una giovane nipotina responsabilizzata dalla madre alle faccende di casa, che forse avrebbe potuto lavarle il cambio. Chissà se Rita alla mia sinistra e’ tornata a parlare oltre che con gli occhi liquidi ed azzurri di lacrime. Aggrappata al mondo con i cinque sensi, non poteva comunicare che con lo sguardo. Il corpo l’ha sorpresa abbandonandola, non era preparata, non vuol lasciarsi andare. Saranno forse i suoi familiari che la trattengono, affannandosi attorno a lei come api operose che sbattono contro il vetro dell’incomunicabilità personale? Chissà se e’ poi vero che chi semina raccoglie: solidarietà a solidarietà, generosità a morte serena. Ho già sciolto questi interrogat ivi dentro di me, li comprendo tutti, ecco la risposta. Che sollievo questa mano che corre su viso e i capelli e accomoda la camicia da notte. Mi stupisce quanto mi conosca anche se la vita insieme sia solo storia recente. Guarda le mie mani tra le sue, pensando a voce alta a tutto il lavoro che hanno fatto. Adesso sono stanca, voglio fermarmi. Blanca, disinteressata, accompagnami e poi lasciami andare.
(Ariel)