Categoria: Giulia Richebuono

  • OLI 388: VIAGGI – Il diario di Giulia

    Lampour sur mer 7 maggio martedì

    Mentre andiamo al mare vedo uomini e donne con abiti eleganti e luccicanti. Sembrano luminosi dalle scarpe ai capelli.
    Esattamente una settimana fa è nato un bambino e tradizione vuole che dopo sette giorni si uccida un animale rispettando il racconto di Abramo che avrebbe sacrificato il figlio se Dio non lo avesse fermato all’ ultimo momento.
    La festa è solo per i parenti quindi proseguiamo e Ibu mi porta a vedere il suo jardin bello e ordinato. Ogni quadratino di sabbia e conchiglie è rimboccato come una pasta alla crema e contiene una piantina di pomodori bassi. Ci sono anche fagiolini, melanzane e frutti che non conosco.
    Ogni orto è delimitato da siepi di fichi d’ India che nemmeno qui mangiano abitualmente. Anche il suo pollaio è pulito. Glielo cura un uomo del posto.
    Torniamo sulla strada e la visione si apre su una pineta che in quel punto ci separa dall’ Oceano immenso, bellissimo e porta sulla spiaggia conchiglie enormi.
    Le piroghe sulle loro fiancate raccontano storie come i carretti siciliani. Qualcuna riporta la faccia del Marabout nazionale o di suo figlio. Sulla prua, sopra sculture stilizzate, sventolano bandiere.
    Man mano che si avvicinano a riva, gli uomini delle piroghe chiamano quelli di terra.
    E’ faticoso tirarle sulla sabbia. Si fanno ruotare su sé stesse mentre il peso degli uomini si sposta da un capo all’ altro. Poi con l’aiuto di lunghi bastoni, corde, grida cadenzate, le piroghe rotolano su tronchi di palma fino all’asciutto.
    Allora sopraggiungono, su carretti tirati da asini o cavalli in corsa,  uomini ritti in piedi per prendere cassette di pesce già preparate per loro. Subito dopo donne con lunghi coltelli, secchi e bambini, coloratissime sempre, accerchiano le piroghe che tirano loro i pesci rimasti sul fondo, che vengono puliti subito Le teste e quel che non serve lo si rende al mare.
    Lasciamo i pescatori per andare sotto la tettoia con le pese e un piccolo mercato ortofrutticolo con anche le tipiche ceste alte fatte con foglie di palma intrecciate con dentro i manghi.
    Vicino c’è un grande essiccatoio per i pesci costruito da giapponesi, vi lavorano solo donne della zona. Si tratta di pulire il pesce, aprirlo, salarlo, stenderlo su griglie assolate. Sono tante le donne con i visi stanchi,  accucciate o piegate come solo loro sanno fare con i bimbi incollati alla schiena che dormono sotto a un berettino magari di lana con tanto di pon pon.
    Con gli occhi pieni di colori, grida di uomini e rumore di mare saluto Ibu e vado da Cristiana e Giuliano.  Oggi fusilli al dente con zucca! Porto un’anguria.
    La loro casa è sul retro del magazzino. Il tetto è in eternit, l’arredo è spartano ma c’è quanto basta. Hanno anche un congelatore , il frigo no (penso non lo abbia nessuno in paese). Ogni tanto arriva qualcuno per chiedere spazio nel congelatore già strapieno o per farsi una doccia. I bambini della zona sono nella saletta con divano per vedere cassette di cartoni animati in italiano alla televisione. Giuliano ha la mente del piccolo imprenditore . “Faccio girare l’ingranaggio della mente, crac crac ” mi dice, accompagnando la frase con le mani che ruotano l’una nel senso inverso all’altra , “Oggi facciamo anche la pizza. Un po’ la mangiamo noi – io sono invitata – un po’ la diamo alle boutiques che ce la vendono. Ci guadagno sopra ogni pezzo il 75% e mi diverto. Questi del posto prima non la conoscevano. Ora piace” Le cuocerà il fornaio in fondo alla via .  Al giovedì, giornata di mercato, la vendono direttamente davanti al magazzino.
    Giuliano è arrivato qui 6 anni fa invitato dal suo amico Aziz che faceva il “vu cumprà” a La Spezia. Per qualche anno è venuto in vacanza poi, visto che in Italia non c’era lavoro, ha aperto una società con lui e ora ci abita e fa affari. Dallo scorso anno l’ha raggiunto la sua compagna Cristiana. Ha aperto due magazzini con tutto per l’agricoltura che funzionano bene, perché Aziz ci sa fare. Ha anche comperato pezzi di terra edificabili e per coltivazioni e poi ha una barca che lavora per lui. Ha provato pagare gli uomini a mese come usa in Italia, ma qui preferiscono la mezzadria . Meglio pochi soldi e una parte del prodotto. In questo modo il lavoro lo fanno bene, altrimenti non mangiano nemmeno loro. Commercia anche metalli preziosi che arrivano da nazioni vicine.
    Ha buoni rapporti con tutto il vicinato, per i quali ha fatto anche lavori importanti:  alla famiglia che aveva l’abitudine di fare i loro bisogni vicino alla porta di casa sua gli ha costruito un grande bagno con doccia. Il problema è che sono tanti e a volte vengono a usare anche il suo di bagno.  Ha anche fatto in modo che l’ENEL locale mettesse una lampadina stradale davanti al magazzino, così ci hanno guadagnato anche le boutiques vicine che consumano meno candele.
    La porta di casa di Giuliano è quasi sempre aperta. Arriva un uomo con l’aria stanchissima vestito con una tuta gialla impermeabile:  “ Ti ho portato la barca, vado a dormire” dice. E’ uno con cui sta entrando in società. E’ stato in mare tre giorni per andare a prendere la barca in Gambia, dove la manodopera costa meno.
    In Italia tornerà nella stagione delle piogge, a Monterosso, dove aiuta nell’alberghetto di sua madre.  Ci sono stati super disastri per le alluvioni di due anni fa e dello scorso anno.
    Torno a Casa Maissa che è a un quarto d’ora dalla loro abitazione. Poso conchiglie, manghi e banane e sono nuovamente da loro per aiutarli a portare le teglie con le pizze al forno vicino alla spiaggia.
    Vado a vedere gli essiccatoi del pesce con pesci di ogni misura e forma. L’odore è fortissimo. Alcune piroghe sono state portate nel bosco lì dietro dove i multicolorati sacchetti di plastica usati hanno preso il posto dell’erba. Nemmeno le capre li mangiano. All’ombra dei pilastri alcuni gatti si lavano. Le pizze sono pronte . Ne mangiamo subito un po’; gli altri pezzi li confezioniamo in piccoli sacchetti perché restino morbidi. Li distribuiamo alle boutiques che li venderanno.
    A Cristiana e Giuliano vorrei offrire un caffè tube (caffè speziato), ma la boutique invece del caffè ha pronte le frittelle ripiene di salsa di cipolla . Mangiamo quelle. Assieme ad altri. Ancora due chiacchiere, qualche “sa va” e “sa va bien”, ci presentiamo “ comme t’ appelle, moi Julì et toi? e torno a casa con la pila .

    (Giulia Richebuono – foto dell’autrice)


  • OLI 385: VIAGGI – Il diario di Giulia

    Lampoul sur mer 6 maggio lunedì

    Sono qui da 12 giorni, e sono le 10 del mattino. Io e Mariella stiamo aspettando Djiby che è partito da Pekini prima delle 7 e non è ancora riuscito a percorrere 30 Km.
    Alla fine partiamo. Anche in questo viaggio con 46° all’ ombra abbiamo avuto un’ avventura con la macchina. Stiamo girando senza targa e la polizia stradale ci ha fermati. I nostri eroi sono riusciti a trattare sulla multa, ma siamo di nuovo a corto di benzina. Nel frattempo noto una fila fitta di uomini con vestiti verdi e cesti pesanti in testa e vengo a sapere che in Senegal ci sono i lavori forzati.
    Arriviamo a Lampoul sur mer verso le 17.
    Sono l’ unica ospite di Casa Meissa gestita da Ibrain detto Ibu: Parla italiano, perché suo fratello lavora come mediatore culturale a Torino. E’ lui che ha fatto costruire queste sette casette tipiche da una ONG italiana. Il costo è di 11.000 franchi senegalesi compresa la colazione.
    Djiby è stanco e gli offro il mio letto per dormire un poco, mentre Lamine va alla ricerca di un ristorante per il riso e pesce.
    Anticipa i soldi Ibu li metterà sul conto che pagherò quando Mariella tornerà a riprendermi fra un paio di giorni. Io dopo le spese di viaggio ho i soldi contati.
    Esco per vedere il villaggio, da sola. E’ una stradina dritta piena di boutiques di ogni genere che porta alla spiaggia dei pescatori. AI lati si spalmano a perdita d’ occhio casette fatte di canne, assi di legno e mattoni. Capre, pecore, galline asini ovunque.
    Incontro due italiani Cristiana e Giuliano di La Spezia. Vendono, in società con Aziz (uno del posto conosciuto sulla spiaggia di Monterosso), materiale per agricoltura: trivelle, semi, concimi… In Italia non trovavano lavoro e qui non ci sono tasse da pagare.
    Mi offrono un caffè versato da un thermos ambulante. Ci rivedremo domani a pranzo.

    Sta venendo buio e Casa Meissa è in fondo alla stradina. Non è ancora pronto il riso e pesce, ma Djiby si è riposato e rinfrescato. “Non è un robot” diceva oggi Lamine riferendosi a lui.
    Se tutto va bene rientreranno a Demi dopo la mezzanotte, lui a Pekini più tardi e questa mattina prima di partire ha portato il suo bambino in Ospedale.
    Qui la luce elettrica c’ è, ma mancano le lampadine. Si usa la pila.
    Mangiamo con appetito e ci salutiamo.
    Come ospiti, prima di me, quest’ anno ci sono state le mamme di Cristiana e di Giuliano.
    Mi fermo a Casa Meissa per guardare la televisione. Questa sera c’è lo sport nazionale: lotta libera. I campioni grandi e muscolosi come gladiatori romani avanzano pieni di catene,amuleti , frange e tatuaggi. Hanno con loro un Marabout personale e un corpo di ballo maschile che imita i movimenti di lotta che il campione improvvisa. Poi nell’ arena l’incontro fra i due. Con passi cauti e braccia protese si studiano senza toccarsi per minuti, finché zac uno entra nello spazio dell’ altro. Ora sono un unico corpo a quattro gambe che compie piccoli passi faticosi finché con una capriola uno dei due cade a terra sotto l’altro che ha vinto.
    Al telegiornale sullo schermo passano immagini di una Dakar paludosa. Le piogge del luglio scorso hanno

    fatto crollare case costruite vicino al fiume, mi spiega Ibu, e le acque non sono ancora defluite. Oggi le zanzare della malaria hanno fatto morire un altro bambino. Vado nella mia capanna. Mi sorprendono degli insetti grossi e neri che corrono sul pavimento. Chiamo Ibu “sono scarafaggi.?.” “Si”, mi risponde uccidendone un po’, “ma non pungono.” Lo so anche nelle corsie del vecchio Ospedale S. Paolo di Savona giravano tranquilli mentre mio padre stava morendo.
    Forse Djibìy si è messo comodo per dormire. Le lenzuola a una piazza nel mio letto matrimoniale sembrano già vissute. M’infilo sotto alla zanzariera con il completo che mi ha regalato Mariella i calzini e la pila sotto al cuscino. La luce è solo centrale. La giornata è stata piena e soddisfacente. Stendo le gambe finalmente. Una mi formicola e fa male.
    (Giulia Richebuono – foto dell’autrice)

  • OLI 384: VIAGGI – Diario di Giulia

    Demi, domenica 5 maggio

    Nel dormiveglia, questa mattina il rumore dell’ Oceano mi sembrava quello del treno…
    Ero contenta di scendere a Genova  rivedere la mia micia, le amiche, i gauchos.
    Nella notte è morto un capretto da latte. Il lamento della madre è uno strazio, gli altri animali sembrano spaventati.
    Do a Lamine 10.000 franchi senegalesi  perché vada subito a comprare fieno o quel che trova. Più due quaderni..Con Mariella liberiamo gli animali e diamo loro quel che troviamo in casa.
    Da quando, con i locali, maneggio soldi con quattro zeri, mi sento più esposta.

    Stacco e vado all’ Oceano. Mi siedo alle spalle di un pescatore con la rete avvolta attorno al braccio che, in acqua fino al ginocchio, aspetta l’ onda giusta. Solo allora con un gesto sicuro la tira lontano.
    Il ventaglio trasparente si apre e dentro resta un pesce. Impiega minuti per stenderla e ritorcerla con sapienza intorno al braccio. Si allontana alla ricerca di un’altra onda con pesce.
    Non ho voglia di rientrare. Mi arrampico su una duna e passeggio all’ ombra di conifere.
    Non sono più in armonia con questo luogo e da sola non so muovermi.
    Non so il perché, ma mi viene in mente Bersani “Non è facile far volare i tacchini sui tetti”  ma qui mi pare persino difficile riuscire a credere che i tacchini locali possano fare la ruota
    Nel mondo degli uccelli oggi mi sento un’anatra selvatica pronta per migrare.

    Mi vengono incontro due bambini che smettono di fare la lotta libera, “cadeau, cadeau” mi dicono. “cadeau”  fanno eco tre ragazzine con una fascina di legna in testa, “cadeau”, mi ripete un ragazzo indicando i miei occhiali. “ce n’est pas possible” rispondo, mentre sotto allo sguardo di Hallah i parà francesi continuano a esercitarsi.
    Passo da Aidà che non c’è. E’ andata con i bambini in una città vicina.
    Parlo col marito. Mi fa vedere le foto di lui sulla petroliera ad Hong Kong, della sua festa di matrimonio con Aidà, dei genitori morti e del figlio più grande, ora in collegio a Dakar per studiare francese. Ha 12 anni e tornerà per le vacanze.
    La sera dico a Mariella che ho voglia di muovermi da lì. Mi consiglia un alberghetto a Lampoul sur mer. E’ gestito da una Associazione italiana di turismo responsabile Domani dormirò lì.
    (Giulia Richebuono – foto dell’autrice)

  • OLI 383: VIAGGI – Il diario di Giulia

    Demi, sabato 4 maggio

    I tempi dell’ Africa sono lunghi?
    Noi ci abbiamo messo cinque ore per percorrere i 30 Km che ci separano da Dakar.
    Stop per le sigarette; ci è finita la benzina fuori dal villaggio, ci siamo fermati per ritirare i soldi da un bancomat, ed è prevista una visita da un medico della medicina tradizionale per Mariella. Ha lo sguardo dolce questo guaritore che ci accoglie in un cortile sotto a un tetto di paglia seduto su una stuoia con a fianco barattoli e bottigliette. Impolvera con chissà cosa lo sfogo di Mariella, le raccomanda di ungersi con olio di palma e lega attorno alla sua vita un cordoncino colorato con dei nodi sul quale ha recitato formule e preghiere.

    Moschea di Mamelles

    La aspetta per lunedì prossimo. Insha Hallah Dù fa un’offerta e nell’ uscire alcuni uomini ci chiedono
    attenzione per non calpestare la stuoia di preghiera.
    A parte i mercati caotici, tutto è chiuso a Dakar. Lamine dalla macchina mi indica i palazzi del potere una cattedrale e la facciata elegante di una stazione ferroviaria. Non ci sono più i treni e sui binari vendono un po’ di tutto. Io compro mezza zucca svuotata. Mariella altro…
    A lei piacciono i mercati, lì diventa vitale, contratta, lascia, cambia.
    Sceglie con Lamine un piatto al riso e sugo per loro tre,da mangiare quando ci fermeremo.
    Io non lo voglio.
    Tutti i piatti in metallo, vengono lavati in una bacinella e sciacquati in un’altra. L’acqua non viene mai cambiata Le lavapiatti non vogliono si facciano foto. Nemmeno la cuoca.

    Mercato di Dakar

    Ne vedremo altri due o tre di mercati più una sartoria che sfoggia una ventina di sarti in fila al lavoro dietro le macchine da cucire. Vende pezzi di stoffa a metraggio stabilito per pantaloni, tuniche, camice: taglia unica.
    La miseria e il caldo di questi mercati mi mette disagio, comunque compro quello che mi è stato richiesto da Genova e per me banane, prima di cadere svenuta….
    E’ pomeriggio inoltrato, forse potremmo tornare, ma Djiby è sparito e con lui le chiavi della macchina. Quando riusciamo a partire, Lamine mi fa scendere davanti al palazzo del Presidente per fotografarmi con un soldatino vestito di rosso che monta la guardia come fossimo a Londra. Qui e là i soldati hanno lo stesso sguardo vuoto.
    Dalla macchina guardiamo i quartieri eleganti il faro, la moschea di Mamelles che sorge su pietra vulcanica in riva al mare. Ci fermiamo in un barbeque gestito da donne della Petite Cote per  mangiare io muscoli allo spiedo, loro il piatto del mercato.

    Pedicure

    Dopo l’ascolto dell’ultima preghiera recitata in riva al mare prima dell’oscurità e la ricerca di un caffè touba caldo (caffè speziato), si va.
    Arriviamo a casa dopo la mezzanotte.
    Ci accolgono le anatre che sono riuscite a volare fuori dal recinto, le caprette belano.
    Djibi, l’autista, è a nostra disposizione dalle 8 di questa mattina per 20.000 franchi senegalesi (la metà li diamo a Dù che glieli darà un po’ alla volta. Per Lamine, la guida turistica il compenso è uguale. (650 franchi senegalesi equivalgono a 1 euro)
    Djiby è visibilmente stanco e io esprimo nuovamente il mio disappunto a Mariella, perchè la disponibilità dello chaffeur mi fa sentire quello che non sono:la turista pretenziosa.
    Mariella mi ripete che gli africani non si stancano a guidare eppoi è amico di Dù
    Vado subito a letto per non allungargli altri soldi come la volta scorsa quando l’ho visto addormentarsi sdraiato su una moto dopo tante ore di guida.
    Da allora è molto gentile con me e non mi va.
    (Giulia Richebuono – foto dell’autrice)

  • OLI 382 – VIAGGI: Il diario di Giulia

    Demi 3 maggio venerdì
    A Mariella è rispuntata la malattia della pelle, dormirebbe tutto il giorno al sole.
    Ho pensato che la pelle è, fra i cinque sensi, il più diffuso del nostro corpo e separa la nostra interiorità da ciò che è esterno e spesso se l’energia è bloccata, manifesta disturbi.
    Il mio retropensiero è che lei si sta richiudendo in sé e i nostri progetti di viaggio stanno svanendo. Alcune persone col capo coperto di bianco sono venute per ascoltare la preghiera del venerdì trasmessa dalla radio messa fuori casa.


    (Aidà va all’orto con i bue bambini)

    Lamine, che prima della crisi economica mondiale era guida turistica, ora segue qui gli affari di Dù. Dice che domenica è la giornata migliore per visitare Dakar, perché c’è più tranquillità il giorno dopo la festa che è di sabato. Decidiamo di partire domenica mattina.

    E’ passata Aidà con un cesto di carote per noi.
    Al mare, sulla battigia alcuni giovani si esercitano nella lotta libera, altri si esibiscono in esercizi ginnici.
    Seguo un uomo che cammina in direzione Dakar cantando mentre sgrana il suo “corto rosario”. Mi fermo per guardarne un altro che sta facendo un falò per il suo pesce.
    Rientrando passo da Aidà. E’ stanca, ha dovuto dar da bere anche all’orto di un suo zio e il piccolo sta male.
    Le propongo di aiutarla, domani. A Dakar andremo domenica. Invece no, domenica la macchina serve a Dù quindi a Dakar ci si andrà domani.
    A fine giornata penso che per me nove giorni sono abbastanza qui a Demi.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 381: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Demi 2 maggio, giovedì.
    La sabbia è ancora bagnata quando indirizzo i miei piedi verso l’Oceano, ma prima passo da Aidà per un saluto. Sulla spiaggia una riga di ragazzini sfila sulla passerella del bagnasciuga con in mano pezzi di polistirolo, di reti e pesci fatti come quelli della lettera P nell’alfabeto dei bambini.
    Torno a casa. L’acqua che abbiamo ci deve bastare finché non torna Dù ad azionare la pompa elettrica. Mi guardo allo specchio e mi sembra di somigliare a quell’arabo avvolto in una tunica blù, seduto sopra al bancone di una boutique ombrosa piena di pacchettini e stoffe colorate. Non ha voluto lo fotografassi, ‘sono vecchio’, mi ha detto sorridendo e guardandomi col suo sguardo intenso. Anche io a volte uso l’età per proteggermi.
    Sotto lo sguardo di Hallah i parà francesi si esercitano su aerei militari provenienti da Dakar. Vestita di karitè aspetto che l’azzurro del cielo me lo trasformi in olio per massaggi. Ho un appuntamento con Aidà, alle cinque. Mi porterà a vedere les jardins (gli orti) del deserto. Mi lavo con l’acqua del pozzo e vado. Indosso l’abito afro comprato al Suq di Genova. Abita nell’ultima casa del villaggio verso il mare ed è la responsabile della Maison de Santé. Chiacchieriamo in francese. Il figlio più piccolo soffre d’infiammazione alla vescica. Gli amuleti di protezione legati con un cordoncino di cuoio alla vita e al collo sono lenti ad agire e la schiena di Aidà è spesso bagnata. E’ esperta nella medicina tradizionale ed usa, in genere, piante locali. Mi fa vedere l’albero antibiotico, la pianta per far venire le mestruazioni, quella per abortire. Il come usarla è un segreto di poche. E’ pericolosa anche se molto richiesta.
    Mi conduce dai genitori. Suo padre maestro di Corano sta insegnando a un ragazzo la scrittura araba. La madre lavora il miglio fino alla consistenza della sabbia: c’è lì anche una giovane venditrice di liscivia, prodotta da lei. Ogni sacchettino peserà un etto. Gli orti sono in una località fuori dal villaggio con tanti pozzi scavati nella sabbia. Ogni famiglia ne ha uno dato in dotazione dal governo. Il marito, con i soldi guadagnati lavorando per cinque anni nel porto di Hong Kong ha comperato altri terreni. Ora vendono i loro prodotti a Dakar o nei mercati vicini. I cavoli saranno pronti fra venti giorni. La terra è cosparsa di conchiglie, pare sia un buon concime. Strappiamo erbe infestanti mentre Mohamed, il secondo figlio, si diverte a pisciare o sputare nei pozzi. Ha otto anni, ride, sa che non dovrebbe farlo. Arriva il marito, mi riconosce per quella che si era persa. E’ stato lui ad indicarmi la direzione di casa. Ha un fratello a Napoli e mi chiede se conosco Mario Balotelli. Pensa che la capitale d’Italia sia Milano. No, chiarisco, Milano ha due aeroporti, ma la capitale è Roma anche se ne ha uno solo. “Quanti aeroporti ci sono in Italia?”, mi chiede, “Non saprei quanti, tanti”, “Qui l’aeroporto è solo a Dakar,” dice.
    Torno a casa con Aidà, i bambini e il cappello pieno di peperoni. Incontriamo montagne di conchiglie, capre d’appetito che mangiano anche carta, donne con abiti sgargianti e secchi ricolmi in testa, altre che cucinano couscous di miglio dentro a capanne scure piene di bambini. Oltre la strada mi indica un villaggio abitato da gente di un’etnia diversa che comunica poco con loro.
    Dù ha preparato riso e gamberi. In una scatola di polistirolo con ghiaccio ci sono un mucchio di pesci. C’è anche una bottiglia di olio extravergine d’oliva comprato a Genova da Teresita in Vico delle Vigne. Ci rimprovera di non aver messo in valigia anche il pesto. Il solo pensiero gli mette appetito. Sa che con Mariella faremo un giro per conoscere altro del Senegal?
    Hanno portato sei caprette, due ancora da latte. Dù, cosa se ne fa? Dice che è cresciuto con le capre e gli fa piacere averle vicine. Sfoglio il giornale che ha portato: L’Observateur. “M.le President, les femmes ne son pas contentes” scrive Odile Ndoumbe, presidente del consiglio senegalese per la parità femminile” “C’est la plus malheureuse Fête du Travail” dice Baklaw Dioungue, segretario nazionale dei lavoratori del Senegal.
    Metto il giornale in valigia e vado a dormire con i belati nelle orecchie.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 380: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Demi 1 maggio mercoledì
    Festa dei lavoratori.
    I miei piedi rifiutano camminamenti conosciuti, sono desiderosi di altri sentieri.
    Questa mattina ho fatto il giro dell’oca nel deserto prima di arrivare al varco fra le dune.
    Leggevo sdraiata quando è arrivato Aziz sotto ad un capello di tipo cinese. Ieri mi si era affiancato con un suo monologo interrogativo nella passeggiata sul bagnasciuga in direzione Dakar.
    Ha guardato la copertina del mio libro di Dacia Maraini. “Espagnola!” ha sentenziato squadrandomi come se gli avessi detto una bugia. “Italiana” ho ribadito.
    Mi ha chiesto se conoscevo il suo di libro, e si è seduto accanto leggendo il Corano in arabo a voce alta. L’ho salutato con mussulmana tolleranza. Difficile spiegargli che il Corano l’avevo già letto in italiano ma che io sappia nessun dio si è messo a scrivere qualcosa di suo pugno.
    Gli dei, parlano a profeti o indovini. E a noi arriva l’elaborazione di quello che pensano, ma una volta scritte le parole, diventano pietre, costruzioni che creano muri, protezioni, ponti.
    Meditazione sulla via del ritorno.
    C’è qualche scrittura che dica:
    – la donna che sa nutrire, generare, essere due in un solo corpo è importante come lo è la terra che, nel rispetto delle leggi delle stagioni, ci sostiene e mantiene;
    – in natura non esistono gerarchie, ma differenze che vanno rispettate
    – tra gli esseri viventi bisogna coltivare la solidarietà
    – chi farà del male intenzionalmente vivrà infelice fino alla fine dei suoi giorni, perché la divinità che è dentro a ogni essere non può essere offesa?
    Alla sera Lamine torna a Pekini. Aidà manda a chiedere se vogliamo del pane.
    Mangio un panino con la cipolla e a Papà ne diamo uno con la chocoleca.
    Questa sera siamo sole con Papà, di otto anni.
    Abbiamo una bombola col gas. La si può usare con un aggeggio che non abbiamo. Mariella che qui è quasi di casa, chiede a Papà di andarcelo a procurare. Ceniamo con riso e zucchini dell’orto del papà di Papà. Io su quella bombola non saprei cucinarmi un uovo sodo,
    Con Mariella facciamo un piano di tour turistico da realizzare al più presto
    Forse perché assieme a Mariella e Lamine avevamo voluto vedere su Earth dove mi ero persa ieri, poi hanno cercato la casa dove abita Dù con la sua famiglia allargata, il mercato, lo stadio…
    Li avevo lasciati a guardare il mondo dall’alto.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 379: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Demi 30 aprile Dù, che oggi ha l’esame per prendere la patente, è partito con Djiby (un amico chaffeur che non ha più né macchina, né lavoro e ora è a sua disposizione in cambio dell’uso della macchina per lavori che possono capitare.)
    Con noi si è fermato Lamine, il cugino di Dù . Ho diviso con lui il mio riso e pesce. Non c’è altro e non saprei cucinare nemmeno 1 uovo su queste stufette a carbone.
    Sembra diverso il modo di pensare qui: non c’è l’accumulo, c’è l’ oggi: mezzo Kg di carbone, un etto di olio in bustine, quattro biscotti, mezzo etto di caffè, quattro pizzichi di tabacco… come se le boutiques (i negozi) fossero dietro l’ angolo; invece questa mattina andrò con Lamine e Gheddafi, che fa il taxista, a 7 Km da qui per comprare.
    Io, abituata alle scorte, prenderò cinque Kg di manghi e cinque Kg di arance locali, sperando che i non accumulatori me ne lascino un po’.
    Abbiamo attraversato paesini costieri passando per il lago Rosa che è 10 volte più salato dell’ Oceano ed è davvero rosa quando il sole lo illumina. Appare all’improvviso dietro a dune e montagne di sale che sfoggiano, a volte, il nome del proprietario su un cartone infilato in una canna.
    A Babilone compro tutto quello che mi chiede la nostra variabile famiglia (possiamo arrivare ad essere anche una decina) che è parca nel comprare, ma che si nutre abbondantemente se può farlo, quasi per esorcizzare memorie di fame.
    Siamo stati anche in un bel jardin (orto) con manghi, papaie, verdure sconosciute, la menta (nanà)e il basilico che ho piantato appena siamo arrivati a casa. Lamine, mi ha presentato anche un amica parrucchiera che avrebbe voluto farmi le treccine. Ho risposto “Apres”.
    Qui sì che ho fatto le foto, chiedendo il permesso, perché alcuni non vogliono sia ripreso nemmeno l’asino. Domani è il 1° maggio. Dù dice che gli statali vanno in pensione a 50 anni, i privati a 60, ma devono essere davvero pochi quelli che la prendono in questa zona, perché la gente sembra poverissima.
    Tornati a casa, le oche per prime chiedono cibo a gran voce; allungo il loro pastone con acqua. Noi, alle cinque, riso e pesce e a Papà – il bambino silenzioso-, pane e chocoleca.
    Non devo più andare senza scarpe all’Oceano. Il deserto nella notte cambia forma e non trovavo più il varco fra le dune. Mi sono ritrovata in un bosco di palme da cocco e conifere. Scalza temevo di calpestare piante con spine coperte dalla sabbia. Ho incontrato un uomo “Vous conocè Dù?” “Oui ce ne pas sa la route ce par là”. Ho seguito la direzione del suo dito senza staccare gli occhi da due immaginati tetti bassi e rotondi et voilà il miraggio si è concretizzato.
    Je vai ad arrosez le piante prima che spunti la luna rosa rosicchiata dal sole.
    Informazioni : il 43% della popolazione ha meno di 14 anni e il principale gruppo etnico è il wolof. Non so com’è a sud, in Casamanche, dove abitano i fula,  ma qui tutto sembra in mano alle donne e ne sembrano consapevoli. Parlano e commerciano a voce alta guardandoti negli occhi con i loro grappoli di bambini appesi ai loro abiti lunghi o incollati sulla schiena fino ai due anni. A una di queste,ora morta, 13 anni fa, Dù ha lasciato 4 bambini; la più piccola era di un anno. “Ci vorrebbe qualche progetto per l’educazione sanitaria e sessuale” pensa ora, “ Come fare?” “ Ci vorrebbe un’ ambulanza “, aggiunge Lamine. Entrambi sono mussulmani tolleranti. “Come te” mi dice Dù che porta le trecce rasta.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 378: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Demi, 29 aprile
    Ieri , per cena, Dù ci ha preparato patate fritte e omelettes
    Si è fermato con noi un bambino silenzioso con la maglia da calciatore.
    Gli ho offerto parte della mia omelette ripiena di uova fritte.
    “Sa và?” “Oui sa va bien.”
    Niente sonno questa notte. Le uova di ieri o le zanzare? Dormo con il lenzuolo rimboccato sotto al cuscino. L’aglio che ingoio mattina e sera non basta a proteggermi, mi gratto sprigionando afrore di Karitè. Ho un labbro gonfio, ma da questa sera avrò una zanzariera.
    Questa mattina ho percorso una strada diversa per l’Oceano. Ho trovato sulla riva, un pesce palla svuotato. A casa l’ho messo su un muretto al sole perché finisca di essiccare, lo porterò a Genova.
    Ho trovato anche una borsa di plastica traforata con la pubblicità dei dadi Maggi e un contenitore giallo che appenderò sopra al lavandino. Ora anche la nostra cucina sta diventando colorata. Il cesto intrecciato con foglie di palma che avrei voluto aggiustare, è stato gettato via: puzzava troppo di pesce, hanno detto. Ho incontrato un pescatore che riposava le mani su un bastone tenuto orizzontale dietro le spalle.
    Il pesce, in una rete, penzolava sulla schiena
    Nel pomeriggio sono venuti parenti e amici di Dù per delimitare una stradina verso una porta che non c’è ancora.
    Ai lati sono state messe piante grasse. Poi si andranno a prendere le conchiglie per lastricarla. Usa così dove le onde del deserto e del mare s’incontrano.
    Io che do da bere a piante e oche, ho seminato semi di mango con la luna piena
    Curiosità: la ricchezza qui si misura in mucche.
    L’uomo che ha venduto a Dù questo quadrato di sabbia ne ha 150. Non so dove siano adesso. Torneranno dopo la stagione delle piogge, che qui va da luglio a settembre, quando tutto sarà verde. Così si dice.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 377: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Pubblichiamo a partire da oggi, il diario che Giulia Richebuono ha condiviso in rete con gli amici sul suo viaggio in Senegal. 

    28 Aprile 2013
    Eccomi qui che conto i giorni. Sono nel deserto e arrivo al mare in quindici minuti. Bello l’oceano Atlantico. Fa mostra di onde schiumose che vengono da lontano e s’infrangono a riva forti e sguince.
    Mi bagno fino alle ginocchia come fanno i locali, ma prima o poi proverò a vedere se la sabbia che va in là è lunga come nell’ Adriatico o ci sono scalini. Sul bagnasciuga ci sono tantissimi molluschi impauriti e tanti uccellini che li cacciano. Anche qualche pesce morto strano e lungo.
    Ogni giorno mangiamo pesce pescato qui, a volte lo portano dal villaggio già cucinato col riso, altre volte, come questa sera, lo cucina Dou, il compagno di Mariella che ci sta ospitando.
    Abbiamo un pozzo fuori casa usato anche da alcune donne del villaggio: dicono che quest’acqua è più buona della loro. Arrivano con grappoli di bambini attaccati ai vestiti o legati sulla schiena. Nel cortile ci sono 1 oca, 1 oco e 1 geco che ravatta nel compost come il gatto che ogni tanto spunta dal niente. Ci sono anche tante zanzare e tanti amici di Dou che chiedono “Sa và?”. Si risponde “Bien” e la conversazione più o meno finisce lì.
    Oggi ho fatto due cestini di plastica, in uno ho messo aglio e cipolle, nell’altro spezie varie. Fuori crescono un sacco di fichi d’india rossi e aciduli che hanno meno spine dei nostri. Tutto sommato mi riposo molto quando non leggo, ma spero presto di fare qualche uscita e conoscere altro.
    (Giulia Richebuono)