Che con le Primarie si sentiva imbarazzato;
Guardava i contendenti fare zuffa
Su questioni che sapevano di muffa,
Quel perplesso Elettore Impegnato
(GU.R)
Fa piacere constatare che, almeno per una volta, i profeti di sventura sono stati clamorosamente smentiti. Nell’occasione, il gufo è Luigi Barile, revisore dei conti della Margherita. Sul Secolo XIX del 22 luglio scorso apparve una sua letterina a Romolo Benvenuto, di fresco approdato agli scanni del Parlamento. In essa si esprimevano vive preoccupazioni sul futuro della Margherita a Genova. Dopo aver ricordato a Benvenuto lo sconcerto nell’elettorato del partito, a causa della candidatura dello stesso Benvenuto al posto di Zara, e la confusione causata da autocandidature, come quella di Massimiliano Costa a futuro sindaco di Genova, seguite da furibonde polemiche, Barile osservava che l’assemblea regionale del partito sarebbe il luogo deputato a tali dibattiti, ma: “L’assemblea regionale della Margherita…non riesce a riunirsi in modo legale da mesi”.
Repubblica-il Lavoro nulla ha pubblicato sull’incontro con Giulietto Chiesa di venerdì 13 ottobre al dopolavoro ferroviario. Peccato. Perché nel dibattito è stato lanciato il “Manifesto per un’amministrazione trasparente e partecipata” che propone ad elettori, partiti e candidati locali un metodo nuovo per gestire la cosa pubblica(www.genovapartecipata.it). Si parte dal presupposto che il cittadino debba essere interpellato su decisioni che lo riguardano: candidature, trasporti, progetti urbanistici, gestione dei rifiuti e molto altro. La proposta suggerisce un’informazione trasparente su gare d’appalto, consulenze, relativo finanziamento, con un taglio ai costi della politica e l’adozione del bilancio partecipativo. Il manifesto evidenzia nero su bianco quello che Repubblica-Il Lavoro ha denunciato in tanti anni di inchieste. Il Secolo XIX ha pubblicato la notizia dell’incontro nella rubrica Primo Piano. E le cento persone presenti in sala sembravano chiedersi perché tanta fatica ad aver spazio sul quotidiano locale di centro sinistra.
La cronaca non scritta, quella che sta dietro le notizie, manipolate o censurate, è certamente la più interessante per cogliere qualche brandello di una verità che spesso l’informazione nasconde. Solo che generalmente devono passare anni, decenni, per vedere aprire qualche spiraglio, come è accaduto col recentissimo libro “Petrolio e politica”, scritto da Mario Almerighi, uno dei tre “pretori d’assalto” (gli altri erano Carlo Brusco e Adriano Sansa) che da Genova fecero scoppiare nel 1973 lo scandalo dei petroli, il padre di tutte le tangentopoli.
Per la sua immagine ha scelto la bitta. Quella protuberanza di ghisa, tozza, con la testa un po’ piegata di lato, che sui moli serve a trattenere cime e catene delle barche all’ormeggio. Lei, la Carige, è la bitta dei genovesi, dei liguri specialmente di quelli di Imperia per via di Scaiola. Ma gli affari sono affari e, in proposito, il suo presidente Berneschi ha sempre detto chiaramente come la pensa. Non era un caso se Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2005 gli aveva dedicato una intera pagina titolando “Carige crocevia delle scalate bancarie. La regia di Fazio e il ruolo di Grillo. I legami con gli immobiliaristi”; che poi erano Ricucci, Fiorani, mica persone da niente! E la bitta? La bitta c’entra: è il simbolo della costanza e della determinazione con cui la Carige e il suo presidente perseguono, da anni, il solo piano per il quale sono disposti a reinvestire i quattrini pompati ai loro clienti.
La filosofia Berneschi trova ampi consensi a Genova. Anche la nuova giunta regionale, nella persona di Burlando a novembre 2005, a Palazzo Ducale, incorona il presidente Carige con un premio; speciale perché lui non rientra in nessuna delle categorie previste (letteratura, solidarietà, spettacolo ecc.) ma in un certo senso le comprende tutte: è un esperto di soldi.
A Repubblica ci sono rimasti male. Ma come – scrivono (16 ottobre 2006) – noi ci spendiamo a far conoscere il Berneschi-pensiero e tutti fan finta di niente. Mobilitazione imprenditoriale zero; non si è mosso foglia. Conclusione? “A Genova non c’è una classe dirigente distinta dalla politica e dai suoi apparati in grado di organizzare una battaglia vera e propria per spingere un progetto”. Niente leadership imprenditoriali e neppure sindacali? Principale colpevole la classe politica, mai così potente come oggi, che mentre fatica a trovare chi candidare a sindaco tiene sotto controllo tutto il resto.