In due articoli, usciti lo scorso 2 luglio su Il Secolo XIX (“Allarme cinghiali, strade chiuse e caccia grossa a Castelletto”) ed il Corriere Mercantile (“Cinghiali a spasso in centro città, presi e abbattuti”), è narrata la triste vicenda di una famiglia di otto cinghiali in Corso Carbonara. Dell’episodio si è occupata anche la sezione genovese del sito di Repubblica (http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/07/02/news/cinghiali-18509601/).
La storia è scarna, i cinghiali girano in zona cittadina, tra auto, bus, moto e pedoni, vicino alla scuola media Don Milani, nella giungla raramente falciata di quelle che erano un tempo aiuole curate: segnalati, vengono costretti in una piccola zona e quindi abbattuti, otto animali, una femmina sui 70 kg e sette piccoli sui 25 kg; ad agire sono gli agenti della Polizia Provinciale coadiuvati da Polizia Municipale.
La cruenta conclusione sembra però lasciare aperta qualche polemica: era proprio necessario uccidere tutti gli animali? Anche i piccoli? Dal resoconto emerge come la Prefettura avesse dato indicazione di catturare gli animali, per decidere solo in seguito il da farsi, mentre gli eventi hanno poi preso la mano (“ha caricato e siamo stati costretti a fare fuoco”), per arrivare alle dichiarazioni dell’assessore provinciale Piero Fossati. L’assessore, mentre ricorda l’esistenza di due leggi regionali che obbligano ad uccidere gli animali sul luogo della cattura invece di trasferirli altrove (per evitare il diffondersi di epidemie, nel caso gli esemplari fossero malati), invita i genovesi a non dare cibo ai cinghiali in città; ma, evidentemente, sente il peso dell’uccisione degli animali (“non sono contento di queste scene”), infatti “la voce si fa seria quando spiega che catturati vuol dire abbattuti”.
Nella vicenda si affrontano due esigenze, la sicurezza di un ambiente cittadino e la salvaguardia degli animali: se da un lato i cinghiali non sono certamente mansuete bestiole, d’altro lato una femmina adulta, ma comunque di piccola taglia, e sette piccoli in cerca di cibo non dovrebbero essere poi così difficili da gestire, da un corpo (la Polizia Provinciale) che ha proprio questo tra le proprie mansioni (http://it.wikipedia.org/wiki/Polizia_provinciale).
La notizia ha suscitato in molti sconcerto e rabbia, ma c’è anche chi ha mostrato comprensione per una scelta di sicuro impopolare, ma che forse era l’unica praticabile nel nostro alterato equilibrio ecologico.
Vale la pena di scorrere i numerosi commenti – 31 per l’esattezza, a tutt’oggi – in calce al citato articolo on line di Repubblica. Ben 21 sono quelli che esprimono indignazione per la soluzione adottata, con toni più o meno aspri, e solo 5 l’accettano come ineluttabile. I rimanenti 5 sono interventi di Eraldo Minetti, il Commissario Superiore della Polizia Provinciale di Genova che ha gestito l’operazione e che cerca di renderne conto, con ragionevolezza e non senza amarezza.
In ogni caso non se ne esce bene. Non occorreva certo questo episodio per evidenziare che nel sistema in cui viviamo qualcosa si è rotto da tempo, ma può essere un’occasione in più per riflettere. Come nella Danimarca di Amleto, “something is rotten…”, c’è qualcosa di marcio, di corrotto. Stavolta nel rapporto tra l’uomo e il resto della natura, un tempo assai più sano di oggi. Non solo in certe soluzioni sbrigative per risolvere problemi complessi, ma anche nell’approccio di tanti animalisti che con le loro azioni in buona fede spesso arrecano in realtà danni agli oggetti delle loro attenzioni, fornendo cibo fuori luogo e con altri comportamenti.
Correndo il rischio di sembrare sentimentali o idealisti, non si riesce comunque a trattenere un moto di tristezza cercando “cinghiale” con Google, al veder apparire molte proposte gastronomiche (“in umido, brasato, in salmì…”), né a togliersi dalla mente un’immagine evocata da uno degli articoli, “i cuccioli dietro la mamma, a seguire un pezzo di pane”.
(Ivo Ruello e Ferdinando Bonora)
Categoria: Ambiente
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OLI 308: AMBIENTE – Safari in città
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OLI 303: PAROLE DEGLI OCCHI – Il silenzio della città parlante
Foto di Giorgio Bergami ©Genova narra se stessa senza bisogno di parole. Basta salire sul belvedere di Castelletto, inerpicandosi su per antiche creuze o coi più comodi ascensori pubblici, per godere una vista in cui epoche e stili si rincorrono dando luogo a uno stupefacente spettacolo senza fine. Con la buona stagione, sempre più numerosi sono i cittadini e i forestieri che vengono ad assistervi incantati.
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OLI 301: CITTA’ – Tutti in piazza
Sabato 14 maggio. Piazza De Ferrari, cuore della Genova moderna, ospita come sempre la variegata complessità di situazioni di cui è fatta la città. A distanza di poche ore, manifestazioni assai diverse per spirito, stile, modalità e partecipanti.In mattinata, nell’ambito del convegno “Unità, Federalismo, Fraternità: un percorso possibile”, promosso a Palazzo Ducale dal cattolico Movimento dei Focolari in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato predisposto uno “stand artistico-creativo per coinvolgere i passanti”, con un grande icosaedro troncato cosparso di variopinte impronte di mani e alcune gioiose ragazze che dispensano in letizia abbracci alla gente.
http://www.focolare.org/it/news/2011/03/22/convegno-%E2%80%9Cunita-federalismo-fraternita%E2%80%9D/
Nel pomeriggio, un’affollata vivace protesta che ha unito diversi comitati sorti contro una certa modernità che avanza proponendo in tutta Italia innovazioni lusinghiere, che però non convincono tutti: a molti esse appaiono soltanto opportunità di arricchimento per pochi speculatori e cause di irreparabili devastazioni del patrimonio comune.
http://www.dibattitopubblico.com/genova/
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OLI 301: AMBIENTE – Tutti al mare?
IL CIRCOLO NUOVA ECOLOGIA DI LEGAMBIENTE GENOVA ORGANIZZA PER DOMENICA 29 MAGGIO PRESSO LA SPIAGGIA PUBBLICA DI SAN GIULIANO L’INIZIATIVA SPIAGGE PULITE (ANCHE DAL CEMENTO).Nel corso della manifestazione si terrà un corteo che percorrerà tutto il bagnasciuga verso ovest con la ferma intenzione di eliminare tutti i muri di cemento che impediscono la libera fruizione delle spiagge ai genovesi.Ricordiamo che Legambiente e tutte le associazioni ambientaliste e dei consumatori sono fermamente contrarie ad DL che riguarda il demanio costiero italiano e in particolare chiedono di:
– fermare le previsioni del DL Sviluppo che riguardano il demanio costiero italiano.
– stabilire l’obbligo delle gare per tutte le concessioni balneari, con un tempo massimo delle concessioni di 6 anni.
– garantire che almeno il 50% delle spiagge in ogni Comune sia lasciato per la libera fruizione dei cittadini (a Genova siamo al 40% se contiamo gli scogli e le spiagge vicine ai depuratori e al porto).
– tutelare le coste italiane da qualsiasi nuovo intervento edilizio.Il paesaggio costiero rappresenta un patrimonio inestimabile che appartiene a tutti gli italiani. Le spiagge e le coste devono essere accessibili e fruibili da tutti i cittadini e non possono essere cedute ai privati in cambio di pochi euro allo Stato o alle amministrazioni locali. Se fino ad oggi alcuni imprenditori balneari hanno guadagnato somme enormi pagando al Demanio cifre irrisorie, con il Dl Sviluppo approvato dal Governo, le spiagge verrebbero concesse per molti anni senza alcuna gara o controllo. Attraverso il diritto di superficie, inoltre, si potranno aggirare le normative di tutela legalizzando persino costruzioni abusive e aprendo le porte a nuove edificazioni nella fascia dei 300 metri dalla battigia. Tutto ciò senza che i Ministeri dei Beni culturali e dell’Ambiente siano in alcun modo coinvolti nelle autorizzazioni, perché a gestire il tutto sarebbe l’Agenzia del Demanio, con Regione e Comune che si spartirebbero gli introiti. La Commissione europea è già intervenuta per chiedere che le concessioni demaniali agli operatori balneari siano affidate con gare pubbliche e trasparenti e tempi limitati, in modo da garantire sia gli imprenditori onesti sia il diritto dei cittadini a poter fruire delle spiagge e degli scogli.(a cura di Bianca Vergati)
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OLI 300: AMBIENTE – Alcune chicche del Decreto Sviluppo
L’Ucina, Unione nazionale cantieri navali ed affini con sede a Genova, ha spiegato che, fra le misure varate dalla “frustata “ epocale del Decreto Sviluppo, assume un particolare rilievo la destinazione al diporto delle aree inutilizzate dei bacini portuali esistenti perché “consentirà di ricavare 40.000 posti barca nel rispetto dell’ambiente e 10.000 nuovi posti di lavoro nei servizi”.
Ancora l’associazione plaude all’eliminazione della licenza edilizia per i pontili galleggianti, “una inutile duplicazione [!] della concessione demaniale, che fino a oggi ha privato l’erario dei corrispondenti oneri demaniali”.
Un bel pontile non si negherà più a nessuno, ma l’accesso all’arenile è salvo, precisa il ministero.
Giusta la preoccupazione per i livelli occupazionali, davvero sfacciata la dichiarazione sul mancato gettito per un comparto dove si registra da sempre una delle più alte percentuali di evasione fiscale.In quanto ai porticcioli, solo per citare la Liguria, basta fare un giro lungo la costa…Perfino la Regione, che ne ha incentivato la costruzione a gogò, dichiarava pochi mesi fa che “era tempo di una pausa”.
Sempre in tema di mare, un evviva anche al “diritto di superficie” di novant’anni su aree demaniali, ovvero chi detiene una concessione balneare se la potrà tenere e nessuno potrà contendergliela: quasi un decreto imperiale per un bene di famiglia, per di più fatto apposta per eludere la normativa europea – che vuole gare d’appalto in libera concorrenza – e studiato per sottrarre quanto appena concesso dal federalismo demaniale. Pure se fa l’occhiolino agli enti locali, visto che il corrispettivo canone saràversato loro in parte, calcolandolo sui valori di mercato secondo nuovi studi di settore. Indubbia la necessità di disciplinare, ma sarebbe stato sufficiente ad esempio bandire la gara tenendo in giusto conto l’occupazione e gli investimenti già effettuati. E partire da qui per l’appalto.
Così i gestori esultano per il regalo, a contestare i canoni ci penseranno dopo, come hanno semprefatto, non paghi dell’esenzione dallo scontrino fiscale “per attività connesse”. Un giro d’affari stimato in 16 miliardi dall’agenzia delle entrate contro i 2 miliardi dichiarati dai gestori, mentre lo
Stato incassa 108 milioni di euro di canoni: 18 milioni di mq occupati, uno stabilimento ogni 350 metri a 50 centesimi al mese per metro quadro, 900 chilometri di costa sottratta alla libera fruizione, un quarto di costa nazionale (La Stampa, 7/5/2011).
Di mettere ordine c’era effettivamente bisogno in un business per pochi con evasione fiscale almassimo. Grazie alla direttiva europea i comuni si apprestavano a gestire in via diretta territorio e introiti e a riorganizzare finalmente più spiagge libere.
“E se un comune che volesse realizzare un porticciolo si trova davanti un circolo con sessanta posti barca che si tiene per un secolo?” si domanda non senza ragione dal suo punto di vista l’assessore al bilancio della Regione (Il Secolo XIX, 6/5/2011). Ancora.
Il provvedimento servirà ottimisticamente anche a scovare i furbi monelli, prevedendol’emersione dei “chioschi-fantasma” e il conseguente accatastamento-legalizzazione delleedificazioni non censite sulle spiagge, come la milionata di case-fantasma insegna. Pare infatti nebbia fitta e ricorsi probabili per l’Agenzia delle entrate, scaduti ora i termini per le case suddette: incombe ad esempio un regio decreto (652/’39) che prevede la dichiarazione di abitabilità entro 30 giorni rilasciata dal Comune per emettere la rendita catastale. Ma se il Comune non ha certificato l’immobile che cosa può dichiarare e quindi tassare? (Il Sole 24ore, 4/5/2011). Potenza della normativa.Non dalle associazioni ambientaliste con il loro appello al Presidente della Repubblica a non firmare, ma da più parti si sottolinea che nessun vincolo urbanistico o paesaggistico vienerimosso, che si dovrà valutare con attenzione se ci sia libertà assoluta ad edificare con il silenzio-
assenso esteso quasi a tutto e così il sacco delle spiagge, se ci sarà, dovrà contare sulla complicitàdi comuni, regioni, agenzie del demanio. E non tranquillizza certo che a costituire il diritto di superficie debba intervenire un atto degli enti sopracitati. Resta il fatto che per la prima volta s’introduce un regime di natura privatistica nel regime demaniale che è di natura pubblicistica. In barba all’articolo 9 della Costituzione e ad ogni altro diritto dei cittadini su beni pubblici.(Bianca Vergati) -
OLI 300: SOCIETA’ – Rumenta salata
Pessimo inizio. Si sta abbondantemente superando il livello di guardia del grottesco. Almeno a quanto si legge su due articoli di Roberto Sculli sulla raccolta differenziata, su Il SecoloXIX:
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/05/06/AO8Fx4R-sacchetti_scopro_fuorilegge.shtmlLa civica amministrazione ha sguinzagliato coppie di ispettori dell’Amiu (Azienda Multiservizi e d’Igiene Urbana) a pedinare ignari cittadini con in mano la spazzatura (rumenta in genovese e in altri idiomi settentrionali). Se nel gettarla nel contenitore dei rifiuti generici s’odono rumori sospetti di vetri, plastiche o lattine, uno dei due si mette a seguire il malcapitato, mentre l’altro – in contatto telefonico col collega – apre il sacchetto e rovista alla ricerca del corpo del reato che, se trovato, costa al trasgressore 50 euro di multa. Dall’inizio dell’anno sono stati stilati circa 360 verbali, un discreto introito.
Carlo Senesi, assessore comunale al Ciclo dei rifiuti, spiega che “dove è stata istituita, la raccolta differenziata è obbligatoria. Non è solo una questione di buon senso e sensibilità ambientale. C’è scritto nel regolamento di polizia comunale”. L’ignoranza della legge non è certo una scusante, ma peccato che il regolamento di polizia comunale non sia un best seller sul comodino di tutti gli abitanti. Un po’ più di informazione preventiva sarebbe stata opportuna, soprattutto quando c’è ancora molta confusione su cosa, come e dove di debba differenziare. Continua Senesi: “Separare i rifiuti non costa nulla e aiuta tutti. Chi è messo nelle condizioni di farlo e non lo fa per partito preso è giusto che venga sanzionato. È un modo per educare”.
Qui, caro assessore, non ci siamo proprio: l’educazione si fa innanzitutto con il coinvolgimento attivo della popolazione, attraverso un’informazione semplice, esauriente e accessibile; con attività promozionali e magari anche con incentivi economici per chi pratica comportamenti virtuosi, sia pur dovuti. Non con azioni repressive che creano malcontento e disaffezione, invece del sentirsi tutti naturalmente e orgogliosamente coautori del bene comune.
Ai suddetti articoli seguono numerosi commenti ora sconcertati, ora ironici, ora irritati, ora sarcastici: a tutt’oggi 112 al primo, 47 al secondo. Non male – dopo il flop dell’assurda “rambla” di Via Venti Settembre bocciata da destra e da sinistra – per “il Comune amico dei cittadini” che vorrebbe farsi vanto della condivisione e della partecipazione dei genovesi alle proprie azioni.Il bel sito dell’Amiu http://www.amiu.genova.it/ fornisce chiare e dettagliate spiegazioni in merito, con la possibilità di scaricare dall’Area download un’esaustiva Guida pratica alla raccolta differenziata a Genova, non solo in Italiano, ma anche in Inglese, Francese, Spagnolo e persino in Arabo: http://www.amiu.genova.it/cms/php_docs/docs/multilingua_ita.pdf.
Ma finora quanti sanno e possono navigare abitualmente in internet? Non sarebbe prioritario stamparla tale guida, nelle varie lingue, ad altissima tiratura per distribuirla ovunque?Da parte sua, il Comune ha avviato l’ambizioso progetto di un “Museo della Rumenta”. Idea tutt’altro che peregrina, su un tema di vitale importanza per qualsiasi collettività, sia sotto l’aspetto attuale del suo trattamento, sia per quanto riguarda la storia, come ben sanno gli archeologi che traggono la maggior parte delle informazioni proprio dai rifiuti depositati nei secoli:
http://www.urbancenter.comune.genova.it/node/562.Aldo Padovano ha scritto un interessante libro http://www.lettureliguri.it/tag/rumenta e non si può tralasciare l’arguto divertissement di Giampiero Orselli, ricco di indicazioni utili: http://www.genova2004.it/incoscienza/dizionariorumenta.htm#necr.
Del resto, nel tardo Ottocento già il poeta dialettale Nicolò Bacigalupo (1838-1904) aveva composto l’esilarante Ö canto da rumenta (Ode della spazzatura), rifatto in tempi più recenti dal genovesissimo Piero Parodi:Ne riportiamo il testo:
A rûmenta (La spazzatura)
(Piero Parodi, con Vito Elio Petrucci)Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta questo mä ch’u v’incanta gòdivela a l’è chi:
Osci de seixe resche de pesciù, pezzi de lintime e de reganissu, sc-ciappe de ziardoe strunsci de cöu, forçinn-e strabiche balle de töu, tocchi de pippe mûggi d’armelle, trippe beï lasci intu çe intu pelle, buccõin dó preve merda de can, schitte de tõrtore crõste de pan.
Strasse e retaggi crêste e ventraggi, gh’o osci de põllo papë cò bollu, stellette çimixi trei sexendë, strapunte sucide oëgë sbëlê, dentë bavuse stuppin da lûm-me, luinë cò lepego mûggi de ciumme, carte da zeûgo setti da lêugo, scàtoe de plastica e papë da cû.Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta in õnda senza scrupoli che tútto a voé inciasträ:
Scaffi d‘armonica ma senza tasti, carte geografiche sciûscietti guasti, fêuggie de çellao çioule e scarolle, cäsette e maneghi de casserolle, çiotï savatte bocce da inguento, e reggipetti cõn e tette drentu, cõtton idrofilo ancõn bollóu galusci che navegan rognõn giasciou
Tappi de natta scarpe cò a bratta, curtelli e mazzi de fiuri pazzi, cû de fenõggio sc-ciûmma da treoggiu, tappi da bõggio e finti panë, fêuggi de meliga brûtte de piscio, bëli pé l’antega de stocchefiscio, ciumme de oxelli bocciê sc-ciappè, miande cò a ruzena e bële sûssê.Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta beato chi ghe navega meschin chi ghe neghiâ:
Teia metallica çerci da testo, e fiammangille brûtte de pesto, tòcchi de lettera scritte ai galanti, pornoriviste vitte de santi, scàtoe de pilloe vëgie siringhe, clisteri lûridi perette e stringhe, magnë de dischi a pezze da inciastro, e zampe d’anitra e de bibbin.
Gaggie da grilli ratti e mandilli, scàtoe e sardenn-e stecche e balenn-e, põnti cõi denti pëteni senza, fiõri in semenza ghiaia e ronfò, çiotï pei calli scösê e braghette, sgûsci d’anguria fî de trenette, piroconofoni ventóse ûsè, oxelli esotici e gõnduin sc-ciûppe.Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta se a crescie ancûn salvatevi a l’è zà in scià Nunziä.
Qui ce ne sarebbe eccome da differenziare, per non correre il rischio di prender multe salate…
Ma per favore, Civici Amministratori, non mettete il carro davanti ai buoi: prima informate (per davvero, in modo esaustivo e capillare, raggiungendo tutti gli utenti con stampati porta a porta e anche con messaggi radiotelevisivi, oltre che con interventi a tappeto nelle scuole di ogni ordine e grado, sensibilizzando gli studenti e di conseguenza le loro famiglie e gli altri adulti di riferimento) e solo dopo, se necessario, si comminino le giuste sanzioni ai trasgressori.
(Ferdinando Bonora) -
OLI 299: PARCO CINQUE TERRE – Have you verified?
Giovedì 21 aprile, il ponte di Pasqua è alle porte, le scuole in vacanza, molti italiani e moltissimi stranieri scendono dal treno alla stazione di Monterosso. C’è chi si ferma alla spiaggia e chi si avvia a percorrere il famoso sentiero, e così noi. Ma dopo una decina di minuti di salita insieme ad altri gruppetti di camminatori ci ammucchiamo contrariati di fronte ad uno sbarramento che impedisce di proseguire. Il cartello è categorico: “Il sentiero Monterosso – Vernazza non è percorribile perché interrotto completamente per frana, non avventurarsi perché pericoloso”.
Delusione e progetti per itinerari alternativi: “Si potrebbe salire fino a Soviore e poi prendere il sentiero n. 1, che passa più alto”, “Sì, ma diventa davvero lunga!”, “Oppure cambiare, e fare il sentiero Monterosso – Levanto … “. Mentre le conversazioni si intrecciano arriva un camminatore inglese, che chiede: “Have you verified?”. Lui, infatti, aveva verificato, ed era venuto a sapere che il sentiero è perfettamente percorribile: in serata gli sbarramenti sarebbero stati rimossi, e dalla mattina dopo il sentiero sarebbe stato aperto. A pagamento.
Commenti, ribellione, e decisione unanime: si va! let’s go! Ci si aiuta a vicenda per tenere sollevato lo steccato e si striscia al di là: il sentiero si apre amichevolmente allo sguardo. Per tutte le due ore di percorso nessuna traccia di lavori in corso. Nel corso del tempo sono stati fatti lavori di sistemazione e di contenimento dei punti franosi, ma il tutto appare assestato da tempo. Il sentiero è tutt’altro che deserto: veniamo superati da schiere di tedeschi, e altrettanti se ne incrociano in direzione contraria, finché si arriva in vista di Vernazza e si incontra il cartello simmetrico; una signora cinese lo osserva perplessa e ci chiede “Vi vedo venire di là, ma si può passare? Non è pericoloso?”, “No, tranquilla, si passa benissimo! Nessun problema … “ “Ma allora … it’s a big lie!”. Una grande bugia, appunto. Una bugia irrispettosa, che per tirar su un po’ di soldi avrebbe lasciato centinaia di persone venute da molto lontano deluse e prive di uno dei pregi decantati di questo pezzo di Liguria, la camminata che ti porta da un paese all’altro tra mare e ulivi.Un cartello piuttosto malpreso informa sulle tariffe della “Cinque terre card”. Più informazioni si trovano sul sito http://www.parconazionale5terre.it/5terrecardsnuovo.asp: varie possibilità a seconda che si includa o meno il biglietto del treno, che si sia adulti, anziani o ragazzi. Resta il fatto che anche chi non intenda usare pulmini ecologici, non sia interessato al museo dello sciacchetrà, e se la voglia fare tutta a piedi, di giorno festivo deve pagare 7 euro. Anche se – ammettiamolo – c’è una apertura di non poco momento, infatti “è possibile camminare su tratti di sentiero senza l’obbligo della card dopo le 19.30”. Grazie, Parco!!!
E’ un po’ come la privatizzazione dell’acqua, non vi pare? Si dirà: ma il sentiero richiede manutenzione. Già, ma non ci sono le tasse, per questo? Non c’è una ricaduta economica, per quel territorio, dalle migliaia e migliaia di persone che ci vanno? E poi, è quello l’unico sentiero della Liguria? Qualcuno ha mai pagato per camminare nel parco del Gran Paradiso?
Che dite, sarà questa la vocazione turistica della Liguria?(Paola Pierantoni – Foto Giovanna Profumo)
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OLI 296: NUCLEARE – No e basta.
Passato un po’ di tempo dalla catastrofe del terremoto giapponese, si possono tirare le prime somme, usando il linguaggio molto diretto di chi è preoccupato per la nuova svolta nuclearista del governo italiano. E’ mia convinzione che dietro l’apparente gentilezza del modo di pensare comune a chi lavora con una formazione tecnica universitaria e legato a concetti economici e affidabilistici, si nasconde in realtà la determinazione di imporre il nucleare in modo paternalistico, come risultato di un processo di analisi alterato per farlo suonare come logico ed apparentemente inattaccabile. Invece, fuori dalle considerazioni economiche ci sono, tanto per iniziare, quelle sanitarie, che hanno già ampiamente dimostrato che il nucleare, in realtà, è letale per fondamento stesso, al di là delle ipotesi incidentali, ad esempio come quando (non) si parla dei rifiuti, che rifiuti restano anche se prodotti da centrali di ennesima generazione. Per quanto riguarda la sicurezza, avere avuto tre incidenti “top” nel giro di poco più di trent’anni lascia presumere che i valori di frequenza attesa siano stati a dir poco sottostimati. Certo, a posteriori, sia Three Miles Island, che Chernobyl e adesso Fukushima, così come le centinaia di piccoli eventi “minori” silenziosi (per questo a mio avviso ancora più inaccettabili), innestano il ciclo virtuoso di analisi che consente di capire i difetti degli impianti per renderli “un po’ più sicuri”.
Però, quando poi si scopre che un’ondata d’acqua, per quanto gigantesca ma comunque prevista in quella zona, mette in ginocchio 4 reattori, allora il parere anche dei tecnici dovrebbe cambiare. Cosa sarà stato questa volta? I muri hanno dimostrato di reggere perché l’ondata era prevista, quindi cosa scopriremo? Che si sono staccati i serbatoi del gasolio dei generatori, galleggiando sull’acqua? O che le prese d’aria non sono state previste ad un’altezza tale da garantirne il funzionamento con i motori sommersi? Non mi stupirebbe che particolari tanto semplici possano aver causato un effetto domino di tale dimensione, i generatori erano molti e che tutti siano saltati lascia presupporre ad un problema di progettazione comune legato all’inondazione o ad un punto critico non previsto nell’analisi di rischio. Diversamente da così sarebbe ancora più preoccupante, perché la stupidità di un particolare purtroppo esiste al di là dei calcoli generali più esatti, mentre un evento dovuto ad un problema “di fondo” sarebbe davvero inaccettabile e criminale. E nel caso di Fukushima, il progetto ha affidato la vita della centrale ad un sistema non a sicurezza intrinseca, direi quindi che si è trattato di un problema “di fondo”: il flusso d’acqua legato ai generatori (sicurezza attiva) è un errore lampante, una scelta operativa sicuramente dettata dai famosi “costi inaccettabili” di una centrale più sicura. Ricordo che un giorno proposi ad un’assicurazione di legare il premio della RCT al livello di attenzione che l’azienda poneva nella gestione degli impianti, in quel caso dei semplicissimi stoccaggi di gas, e della loro conformità ai gradi più elevati della tecnica migliore. Ricevetti un diniego, perché, mi spiegarono, le assicurazioni lavorano proprio sull’imprevedibile, basandosi su un’analisi statistica dei dati a posteriori, sull’esperienza. E i dati storici sul nucleare, al di là dei numerini “dieciallamenoqualcosa”, delle promesse dei progettisti, delle parole dei politici, dicono che è l’ora di smetterla.
Votai a sfavore del nucleare nel 1987, allora non tanto perché non credevo nella capacità della tecnica in sé stessa, quanto per una basilare sfiducia di una gestione così complessa in un paese come il nostro (non credo di dover citare i motivi, sono evidenti, ed oggi siamo peggiorati). Adesso, invece, si scopre che questa tecnologia è “troppo complessa” anche per un popolo come quello giapponese, esempio di efficienza e dove l’amministratore delegato della Tepco va in giro per i campi profughi a scusarsi personalmente per il *casino* che hanno combinato (scusate il termine, ma è davvero appropriato).
Comunque, arrivati a questo punto non credo che ci sia più spazio per una discussione su questo argomento, chi ancora è convinto che si possa fare e gestire la fissione, vive in un passato di illusione ingegneristica sconfessata dai fatti. Per noi, antinuclearisti della prima ora, resta solo di avvisare che difenderemo duramente il nostro diritto alla vita. Il vecchio motto del “Nucleare, no grazie” da oggi diventa un esplicito “Nucleare, no e basta!”. Pazienza se saremo tacciati di non essere democratici come le nubi radioattive, quando sorvolano il mondo inquinando ricchi e poveri in egual misura.
E non si venga a dire che “tanto le centrali straniere sono a pochi chilometri fuori del confine”: chi vuole cambiare il mondo, cominci a cambiare sé stesso.
(Stefano De Pietro) -
OLI 294: NUCLEARE – La catastrofe necessaria
Caorso, maggio 1987 – catena umana contro il nucleare – Foto Pierantoni Per prendere atto delle conseguenze di quel che fanno pare sia indispensabile agli uomini che si compiano le catastrofi. E qui uso il termine “uomini” non per indicare l’umanità tutta, ma con un peso fortemente sbilanciato verso il maschile.
Riprendo in mano gli atti – mai pubblicati – di un corso di formazione – otto incontri nell’arco di un mese – che alcune donne della Fiom organizzarono a Genova esattamente 20 anni fa, nel 1991.
Il titolo era “Donne e innovazione tecnologica”. Si partiva dalla “estraneità” delle donne verso un sapere tutto maschile, per tentare di trasformare questa estraneità in capacità di agire sulla realtà, e modificarla.
Parteciparono delegate sindacali da tutto il Nord Italia. Le docenti erano donne di grande livello professionale e intellettuale.
Tra loro Elisabetta Donini, docente di Fisica alla Università di Torino, che metteva in discussione, con molta radicalità, “Lo spirito prometeico per cui la sfida al rischio, la volontà di superare tutte le barriere continua a indurre gli uomini ad esaltare come coraggio la capacità di affrontare dei pericoli”, e la conseguente ossessione “che le difficoltà si possano sempre dominare con il successivo passo scientifico-tecnologico, acquisendo maggiore capacità di dominio”. Ma dove sta la saggezza di questo coraggio? si chiedeva la Donini, quello che bisogna rivendicare è invece “la saggezza della paura”, la “coscienza del limite” e la “amichevolezza verso gli errori”, cioè saper rinunciare alla pretesa di non commettere errori, e imparare a “convivere con gli errori, rendere gli errori i più riparabili possibile, e nel possibile”. Rinunciare alla pretesa della onnipotenza, per cui “ogni sconfitta viene elaborata in: bene, adesso diventiamo più bravi e lo facciamo meglio”.
Ma le discussioni appassionanti di quelle otto giornate sono rimaste chiuse nella memoria e nelle emozioni delle donne che vi parteciparono, e in un plico di fogli depositati in un archivio. A Genova, e in chissà quante altre parti del mondo.
(Paola Pierantoni)