Categoria: Eleana Marullo

  • OLI 348: CULTURA – Berio, femminismo in biblioteca

    Alla Berio, il 13 giugno, è stata presentata la nascita di una biblioteca femminista, che ha avuto origine dalla donazione dei “Libri di quegli anni” da parte del gruppo Generazioni di donne ad Archimovi. “Quegli anni” è un’espressione sinteticamente efficace per indicare gli anni dal 1975 ai primi anni ’80, periodo in cui nacque il “Coordinamento donne” nelle fabbriche e nel sindacato e maturarono le esperienze delle 150 ore. Le esperienze che seguirono fecero nascere incontri e relazioni tra donne che agirono insieme, perseguendo ideali comuni all’interno del rapporto donne-lavoro, donne-politica. A distanza di qualche decennio, i documenti prodotti sono stati recuperati e resi fruibili attraverso il recupero dell’Archivio Donne FLM, mentre il riallacciarsi di contatti ha prodotto la nascita del gruppo Generazioni di Donne: proprio in questo ambito, di riflessione e contatto tra donne di età e percorsi differenti, è maturata l’esigenza di raccogliere e rendere disponibili le letture che avevano contraddistinto, ma anche anticipato, preparato e seguito “quegli anni”; il periodo di tempo toccato dalle pubblicazioni quindi, in alcuni casi si dilata fino a toccare gli inizi del 2000, in altri affonda le radici alla metà del Novecento.

    I libri donati sono circa trecento (l’elenco è disponibile sul sito di Generazioni di donne), testimonianza di percorsi collettivi ma anche individuali. I temi toccati vanno dal rapporto donna e lavoro, alle lotte nelle fabbriche e nel sindacato, alla sessualità, alla devianza, ai diari di donne, ad approfondimenti in campi specialistici, come la psicoanalisi, la storia, il diritto. Alcuni libri vengono citati più volte dalle relatrici invitate a presentare la nascita della biblioteca (Livia Botta di Generazioni di donne, Ferdinanda Vigliani di Pensiero Femminile, Paola De Ferrari di Archimovi): titoli come “L’acqua in gabbia” o “Noi e il nostro corpo” oppure “Sputare su Hegel” o autrici come Muraro e Irigaray ritornano spesso, puntellando come capisaldi la struttura della biblioteca che poi si diversifica, fino a trattare argomenti come la storia della caccia alle streghe, lo yoga o la condizione della donna nell’Islam. I libri hanno quindi lasciato scaffali e cantine per confluire alla sede di Archimovi, nella biblioteca Berio, a disposizione di chi vorrà consultarli, rileggerli o rifletterci su, ma anche per creare uno spazio di riflessione e di pensiero che prima non c’era: dal personale al politico, anche oggi, come “in quegli anni”.
    (Eleana Marullo, foto di Ivo Ruello)

  • OLI 343: TRASPARENZA – Regione, che fine fanno i fondi UE?

    È di qualche giorno fa la notizia che l’Europa si è attivata per gettare basi efficaci ed efficienti di controllo sui fondi comunitari. Il Secolo XIX titola “Frodi e trucchi, così l’Ue regala milioni” (11 maggio 2012). L’opportunità per parlare dell’argomento è un seminario, organizzato in collaborazione con l’Olaf (ufficio antifrode dell’Unione Europea) nell’ambito del programma “Hercule II” (), che si propone di proteggere gli interessi finanziari dell’Unione. “La Liguria è oggetto di interesse della criminalità organizzata che opera in particolare dove ci sono flussi di investimenti pubblici. Vigilare è fondamentale quanto il continuo scambio di informazione e conoscenza tra i vari soggetti addetti al controllo” dichiara l’assessore regionale al bilancio Rossetti (ibid.). Ma in cosa consistono esattamente le frodi compiute sui fondi europei? Spesso coloro che hanno proposto il progetto incassano i soldi senza portare a termine l’obiettivo per cui i fondi erano stati erogati, oppure si viola la procedura o si dirotta il finanziamento ad un’altra società rispetto a quella indicata sul bando. La conseguenza è “una mostruosa dispersione di denaro”, che ancora “non viene filtrata attraverso un’adeguata rete di monitoraggio”. La Regione è l’ente che raccoglie e dà il via libera alle richieste di finanziamento: per questo nella struttura, esiste un’autorità di “Audit”, che ha il compito di vigilare sulle procedure e assicurare una sana gestione finanziaria ( ). In questo quadro, di lotta allo spreco in difesa della legalità, riesce difficile comprendere alcune scelte della Regione Liguria. Il POR FESR 2007-13 (Programma operativo del fondo europeo di sviluppo regionale) ha messo a disposizione della Liguria 530 milioni di euro per perseguire gli “obiettivi strategici comunitari di Lisbona (crescita e occupazione) e di Göteborg (sostenibilità dello sviluppo)” in diversi settori (o assi), ossia: “innovazione, energia, sviluppo urbano, valorizzazione delle risorse naturali e culturali”. In pratica, il POR FESR finanzia aiuti diretti alle imprese, infrastrutture collegate alla ricerca e all’innovazione, strumenti finanziari per sostenere lo sviluppo locale. All’interno della Commissione di sorveglianza, che ha, tra i suoi compiti, quello di approvare i criteri di selezione delle opere finanziate, compare il nome di Valerio Balzini, segretario generale di Confcooperative Liguria, che è attualmente sotto processo con l’accusa di concorso in turbativa d’asta nell’ambito di uno dei filoni di un’inchiesta su – appunto – i fondi europei. Si tratterebbe, secondo l’accusa, di appalti creati ad arte dai vertici del Cda dell’Istituto Brignole. L’indagine sul Brignole è un filone di una maxi inchiesta sulla presunta “spartizione di fondi europei che sarebbero stati pilotati grazie a stretti rapporti tra alcuni politici, consulenti e dirigenti di società cooperative” (Il Secolo XIX, 15 maggio 2012). Sul sito della Regione non sono indicati i criteri con cui sono stati scelti i componenti della commissione di sorveglianza: forse questa precisazione, in un’ottica di trasparenza, legalità e tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea, dovrebbe essere presente.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 340: NUOVO GALLIERA – Quando si specula su un ospedale

    Plastico del progetto del Nuovo Galliera, da http://www.galliera.it/

    La più grande operazione immobiliare nel centro di Genova dopo via Madre di Dio. Così i comitati di Carignano definiscono il progetto che dovrebbe far nascere il Nuovo Galliera.
    Sul sito del Galliera se ne parla invece come di un “Ospedale a misura di paziente”, modellato sulla “centralità del paziente”, e che si configurerà come “un’opera a basso impatto ambientale”.
    L’interessamento dei comitati di cittadini di Carignano ha portato a conoscenza di un progetto di dimensioni ciclopiche: un volume del costruito cinque volte superiore all’esistente, uno scavo di 25 metri nella roccia per ricavare piani e parcheggi sotterranei; i vecchi padiglioni, dismessi e in parte venduti per finanziare l’operazione. Il Pef (Piano Economico-finanziario) del progetto illustra un costo di 180 milioni di euro (113 milioni di opere edili, il resto per impianti elettrici, meccanici, attrezzature, apparecchiature, trasporti), con la copertura di spesa che segue: 51 milioni di euro coperti dal finanziamento regionale, 48 dalla vendita degli attuali padiglioni, 4 milioni e 400mila dalla vendita di beni e terreni a Voltaggio e Coronata, 75 milioni di mutuo bancario. I padiglioni che dovrebbero essere demoliti, tra l’altro, sono stati ristrutturati negli ultimi 5 anni per una cifra di 8 milioni di euro (“Nuovo Galliera, un altro piano finanziario”, La
    Repubblica-Il Lavoro, 10 marzo).
    I comitati cittadini di Carignano hanno presentato ricorso al Tar contro l’enorme costo pubblico ed impatto ambientale del progetto. La stampa ha accolto la sentenza del Tar in un primo momento come una vittoria del Galliera (“Carignano, Comitati sconfitti, il Tar sblocca il nuovo Galliera”,
    Il Secolo XIX, “Nuovo Galliera Comitato del no bocciato dal Tar”, Il Corriere Mercantile, 7 aprile 2012). Il Cittadino, settimanale cattolico genovese, titola “Tar, sentenza pro-Galliera” (17 aprile). Poi, in un secondo tempo, è apparso chiaramente che i lavori sono bloccati e la questione è tutta da ridefinire (“Stop al Galliera: De Martini e Viscardi, grande vittoria dei comitati civici”, Il Secolo XIX, 11 aprile).

    La sentenza, di fatto, da un lato ammonisce i ricorrenti (comitati di Carignano) sul fatto che non è possibile ricorrere contro un progetto preliminare e li invita ad aspettare la versione definitiva, dall’altro annulla la delibera di approvazione della variante urbanistica che avrebbe consentito la costruzione del Nuovo Galliera. Tale variante è quella che prevede di trasformare la destinazione di 5 dei 20 padiglioni in spazi residenziali e commerciali, rendendoli maggiormente appetibili sul mercato immobiliare, con un’operazione che i comitati di Carignano hanno definito “di natura speculativa” (Il Secolo XIX, 8 aprile).
    Quindi, per ora, il progetto è fermo: sarà una delle eredità roventi lasciate dalla giunta Vincenzi alla prossima amministrazione.
    (Eleana Marullo)
  • OLI 339: MIGRANTI – Il Centro Servizi più vulnerabile dei suoi assistiti

    (foto da internet)

    Nel palazzo di Via del Molo dove un tempo aveva sede l’asilo notturno Massoero, si trova il Centro Servizi integrati per immigrati. Salendo per le scale dell’edificio in ristrutturazione, si arriva in una saletta gremita: per motivi di tempo si sbrigano solo i primi venti arrivati, bisogna essere tempestivi. La maggior parte delle persone in attesa sono stranieri, ma ci sono anche italiani: chi fa le commissioni per il coniuge, chi sbriga pratiche per l’assistenza domestica. L’idea che ci si fa, osservando, è di un ufficio vitale e molto sollecitato dal pubblico. Il Centro ha una storia ventennale: nacque nel 1991 all’interno della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro, con l’intento di offrire un punto di riferimento per l’immigrazione. Si tratta di una struttura in convenzione col Comune di Genova, che offre servizi di accoglienza, assistenza per i bisogni essenziali della persona, orientamento lavorativo e consulenza legale. E’ apartitico e apolitico: chi ne usufruisce non deve versare alcuna quota associativa. Il servizio è gratuito, e coordinato con la rete di associazioni del territorio. La gratuità è un valore di non poco conto: le spese sostenute dagli immigrati sono già numerose; fra tutte, la tassa per la carta di soggiorno ammonta a 272 euro, per il permesso della durata di due anni si pagano 172 euro, per quello di un anno, 152. Per una famiglia di 4-5 persone il rinnovo del titolo di soggiorno può significare il tracollo economico e il conseguente passaggio alla clandestinità.
    Oggi il Centro servizi integrati ha un futuro più precario ed incerto dei suoi assistiti. Da principio, il Centro riceveva finanziamenti con una programmazione biennale, successivamente si è passati ad una cadenza annuale. Attualmente, il Centro presta assistenza e servizio con una programmazione mensile, senza sapere il destino che attende la struttura e le persone che ci lavorano. Al momento in cui si scrive, infatti, il Bilancio 2012 del Comune di Genova non è stato approvato e rimarrà come pesante eredità alla nuova amministrazione: nel frattempo si procede giorno per giorno. Altro fattore di debolezza per il Centro Servizi, è la sua dimensione cittadina: è una struttura piccola, che vive grazie al finanziamento del Comune e non afferisce a strutture regionali o nazionali. Si viene a creare, quindi, una situazione per cui chi assiste è in una situazione precaria e vulnerabile come chi è assistito. Ma chi lavora non sapendo se il suo ufficio funzionerà ancora dopo dieci, quindici giorni, con che tranquillità può procedere? Che servizio può offrire?
    (Eleana Marullo)

  • OLI 337: ELEZIONI – Lista Doria, la sfida della partecipazione

    Foto di gruppo delle candidate e candidati della lista Doria

    La lista viene presentata nella piccola sala del punto di incontro in salita Santa Caterina, affollata da giornalisti, simpatizzanti e da cadidate e candidati che si rendono riconoscibili appuntandosi la spilla bianca e arancione “marco Doria X Genova”.
    Il candidato sindaco ne spiega le “particolarità”. La prima è quella più fortemente simbolica: l’elenco è di 39 nomi, non di quaranta. Il quarantesimo candidato non può esserci perché la legge italiana non consente ancora agli immigrati di essere eletti ed elettori. Questa provocazione politica viene applaudita con convinzione, e troverà spazio sulle notizie di stampa del giorno dopo.
    Non trova invece spazio un’altra notazione di Doria, che commentando la forte presenza femminile, il 59 % dei nomi, dice “E’ un dato significativo, ma non è stato difficile ottenerlo, perché in giro ci sono un sacco di donne capaci, in gamba, oneste”. Certo che bisogna cercare dove non si sono già consolidati i meccanismi del potere, con i loro tetti di cristallo.
    I 39 nomi sono allineati in ordine alfabetico perché “Non esistono candidati o candidate più importanti di altri”. Doria, nel parlare, usa con attenzione i generi maschile e femminile. Aggiunge: “Sono tutte persone serie, oneste, competenti, disinteressate. Tutte con una grande passione per l’impegno civile”.
    Tra loro anche una componente storica della redazione di Oli, Eleana Marullo.
    A mia memoria la democrazia dell’alfabeto non è mai stata molto praticata nelle competizioni elettorali, e ci sarà ben un motivo. Ma questa scelta comunica un messaggio che va oltre la materiale concretezza di non favorire la piccola cerchia dei predestinati. Doria lo esplicita dicendo che la sua lista “E’ un tassello di democrazia partecipata. Sono singole e singoli cittadini non in rappresentanza di organizzazioni o associazioni”.
    La sfida ora è garantire un futuro all’esperienza di partecipazione che ha entusiasmato il popolo dei comitati per le primarie di Doria. Tutte le esperienze collettive dopo l’entusiasmo della crescita, del riconoscimento reciproco, incontrano inevitabilmente fasi di crisi, difficoltà nel riconoscere e gestire le differenze interne, nel coniugare partecipazione e democrazia con i ruoli di direzione. Questa è la sfida politica più importante, e più difficile.
    L’intenzione c’è. Doria nel suo brevissimo discorso ha detto che la spinta delle primarie “deve vivere per cinque anni”.
    L’obiettivo, dice Doria, è di “provare a rinnovare un po’ la politica cittadina, dando spazio ad una società civile che rivendicava di avere parola”.
    Ora intenzioni e speranze devono diventare vita vissuta.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 337: TRASPARENZA – La Regione inciampa sull’aggiornamento

    Dopo la tappa al Comune di Genova, continuiamo il viaggio nella trasparenza degli enti pubblici con la Regione Liguria. L’ente riporta sul sito i curriculum e le retribuzioni dei dirigenti della giunta e del consiglio regionale, i tassi di assenza e di presenza, la situazione reddituale dei consiglieri, gli incarichi esterni, le valutazioni e i criteri per giudicare la “performance” (http://www.regione.liguria.it/argomenti/ente/operazione-trasparenza/performance.html). I dirigenti della giunta regionale in elenco sono 80, la retribuzione media lorda è di circa 88.200 euro all’anno, con un premio di risultato (sempre annuo) di circa 10.400 euro, erogato, come nel caso del Comune, in base al raggiungimento di obiettivi. Né la pagina web né la tabella che è possibile scaricare fanno cenno all’anno di riferimento, anche se da una nota presente in calce si deduce che le retribuzioni siano aggiornate al 2011 (http://www.regione.liguria.it/argomenti/ente/operazione-trasparenza/curricula-e-retribuzioni-dei-dirigenti-della-giunta-regionale-.html). Tra gli ottanta dirigenti di giunta, undici (ossia quasi il 14%) non hanno inserito il proprio curriculum.

    La voce “valutazioni riguardanti dirigenti e personale di strutture e uffici di Giunta” appare come una scatola vuota: non riporta le valutazioni di personale e dirigenti, per nominativo oppure ufficio, come forse ci si aspetterebbe, ma soltanto un grafico, aggiornato al 2009, in cui si specifica la percentuale di raggiungimento degli obiettivi su un campione di 73 dirigenti (http://www.regione.liguria.it/argomenti/ente/operazione-trasparenza/valutazioni.html). La voce “incarichi professionali” è redatta per dipartimenti. In molti casi l’aggiornamento è fermo al 2007, a volte si spinge alla fine del 2009, c’è una sola occorrenza del 2010. Sempre riguardo l’aggiornamento, la Regione inciampa anche sui tassi di assenza: mentre quelli del personale della giunta arrivano regolarmente al 2011, quelli del consiglio regionale sono fermi al 2009.
    (Eleana Marullo)
  • OLI 335: COMUNE – Focus sulla trasparenza

    La legge n. 69 del 18 giugno 2009 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”) stabilisce che tutte le pubbliche amministrazioni debbano rendere accessibili al pubblico, attraverso i propri siti internet, le informazioni relative ai dirigenti (curriculum vitae, retribuzione, recapiti istituzionali) e i tassi di assenza del personale. Come è stata recepita questa norma dalle pubbliche amministrazioni a Genova ed in Liguria? Con questo contributo, primo di una serie, si verificheranno la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni, a cominciare dal sito del Comune di Genova (http://www1.comune.genova.it/trasparenza_finale/welcome.asp). Oltre ai dati relativi a dirigenti, amministratori e posizioni organizzative, il Comune di Genova pubblica anche alcune informazioni relative agli incarichi esterni, alle auto blu, alle società partecipate. Per conoscere curriculum, retribuzioni e premi dei dirigenti, si può effettuare una ricerca per area, per nominativo oppure avere una visione d’insieme suddivisa per anno (http://www1.comune.genova.it/trasparenza_finale/dirigenti.asp). Per l’anno 2010, ad esempio, i dirigenti nell’elenco generale sono circa 115, quelli accessibili per nominativo dall’elenco 99. Tra questi, 9 non hanno pubblicato il proprio curriculum (la dicitura riportata è “curriculum in fase di inserimento”), 11 ne hanno pubblicato uno quasi inesistente (ossia con l’indicazione del ruolo attualmente occupato e poco altro) oppure non aggiornato alla posizione attuale, gli altri invece hanno inserito un curriculum dettagliato ed aggiornato. Facendo una ricerca sulle retribuzioni dei dirigenti, sempre per il 2010 (i dati del 2011 non sono ancora presenti sul sito in questa sezione), si ricava una retribuzione media lorda di circa 100mila euro all’anno, nei quali è compreso un premio di risultato la cui media si aggira intorno ai 14mila euro. Un documento consultabile sul sito spiega che il premio di risultato ai dirigenti viene assegnato in base al raggiungimento di obiettivi e ai comportamenti organizzativi. Gli obiettivi possono essere al massimo 4: tre proposti dallo stesso dirigente ed uno generale (“assegnato a tutti trasversalmente”, cit.). Possono essere comunque modificati nel corso dell’anno. Nell’assegnazione del premio hanno un peso, continua il documento, anche fattori quali l’impatto esterno (ossia con i cittadini e gli utenti esterni) e quello “interno”, la “disponibilità al cambiamento”, la “comunicazione e relazione e orientamento all’utenza”. Come si evince dai dati del 2010, alcuni ruoli possono ricevere retribuzioni liberamente adeguate alla responsabilità affrontata: esiste infatti un articolo del CCNL dei segretari comunali (art. 44), per cui al segretario comunale che sia investito anche del ruolo di direttore generale “viene corrisposta in aggiunta alla retribuzione di posizione in godimento una specifica indennità, la cui misura è determinata dall’ente nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della propria capacità di spesa”. Questo è stato il caso di Genova, e nel 2010 il segretario comunale nonché direttore generale ha percepito una retribuzione lorda di 213mila euro, somma che pare lontana dalle attuali capacità di spesa del Comune di Genova. (si veda anche http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/30/danzi-addio-al-veleno-il-sindacato-attacca.html). Si chiude la carrellata sulla trasparenza del Comune di Genova con la tabella delle assenze, aggiornata all’anno in corso. Il tasso di assenza è riportato mese per mese in tabelle riassuntive che elencano tutto l’organigramma del comune (http://www1.comune.genova.it/trasparenza_finale/assenze.asp ); la percentuale di assenza va dallo 0 per cento in uffici particolarmente virtuosi e mesi particolarmente fortunati, fino a superare in alcuni casi la soglia del 30 per cento.

    (Eleana Marullo)
  • OLI 331: MIGRANTI – Al Museo Galata, la badante e il muratore

    Nel novembre 2011 a Genova ha inaugurato un’opera pionieristica: per la prima volta in Italia, in una sede istituzionale permanente, una sezione dedicata all’immigrazione. L’apertura del percorso riporta alle origini del fenomeno: le immagini del fotografo Uliano Lucas ritraggono i pescatori nordafricani di Mazara del Vallo, agli inizi degli anni ’70 del Novecento, quando ancora l’identità dell’Italia era in bilico e quelli che partivano uguagliavano il numero di quelli che arrivavano (il saldo positivo tra emigrazione ed immigrazione si ebbe soltanto a partire dal 1973), le grandi manifestazioni degli anni 90’, immagini di città il cui volto è cambiato. Successivamente, nella sezione intitolata “Cartoline di viaggio”, scegliendo una cartolina di un paese di origine, inizia il video di chi è partito e racconta la propria storia, spesso tragica e dolorosa. Le fonti utilizzate per questa parte dell’esposizione sono le ricerche di Giovanni Maria Bellu e Gabriele Del Grande, che da anni si occupano dei viaggi lungo il mediterraneo e della carneficina silenziosa che continua ancora oggi. Proseguendo nella visita, il percorso tocca tasti sempre più dolorosi: un barcone, tra i primi di quelli che dopo gli esiti della primavera araba hanno raggiunto l’isola di Lampedusa dalla Tunisia, è esposto tra alcuni espositori, intitolati “Archeologia della disperazione”, che mostrano oggetti comuni, scarpe, bambole, biberon, fotografie, che il mare ha restituito come unica traccia di chi li ha posseduti.

    Di seguito, si torna all’aspetto sociale, ed il primo messaggio è espresso con chiarezza (anche se con pessima illuminazione): il pannello “Chi ci ruba il lavoro?” tranquillizza l’animo dei visitatori italiani: gli stranieri non rubano il lavoro, perché “I lavoratori immigrati ben raramente competono con quelli italiani. A loro sono rimasti i lavori disagiati, quelli flessibili e usuranti e per di più (dati INPS) il 20% in meno rispetto agli italiani. Il lavoro femminile, in più, ha rappresentato un vero puntello per il welfare state all’italiana: la badante con l’anziano disabile a casa, e la donna italiana a lavorare in ufficio” ( http://www.galatamuseodelmare.it/cms/sezione%20emigrazione-189.html in “Descrizione del percorso”). Un gioco multimediale pone davanti alcuni oggetti, simboli del lavoro straniero in Italia: una cazzuola da muratore, una borsa Yves Saint Laurent, una scopa, un asciugacapelli: chi vuole può divertirsi ad ascoltarne la storia. Il percorso prosegue portandoci in una classe “colorata e composta”. Tra i problemi legati alla scuola ci sarebbero, secondo il pannello, le difficoltà di lingua e comprensione degli studenti di origine straniera, arrivati qui o nati in Italia. In conclusione, la “nicchia della riflessione”, dove i curatori, in video, invitano il pubblico a riflettere su alcuni punti.
    Una “nicchia della riflessione”, a questo punto, sarebbe utile anche per i curatori:
    un’istituzione culturale permanente dovrebbe stare lontana da luoghi comuni, vista la forza simbolica che qualsiasi oggetto assume se esposto in un museo: la rassicurazione sul fatto che gli stranieri non rubano il lavoro perché adibiti a mansioni usuranti e disagiate è adatta al contesto museale? E’ un fondamento sociologico? Che messaggio può trasmettere alle seconde e terze generazioni in visita al museo? Per quanto ancora i cittadini stranieri saranno visti come “la badante” e “il muratore”?
    E’ proprio vero che le seconde e terze generazioni hanno problemi di comprensione linguistica? Su che dati si basa questa affermazione? Sarebbe interessante chiederlo a qualcuno di loro.
    Manca totalmente qualche riferimento alla storia dell’immigrazione a Genova, eppure tante sono le persone che se ne sono occupate e se ne occupano, che avrebbero potuto fornire dati sulla realtà sociale della città. Perché?

    (Eleana Marullo)

  • OLI 321: FUMETTI – Pesciade, per un mondo peggiore

    Pesciade si legge con l’accento sulla i, epica come Iliade, Odissea ed Eneide, e come queste ultime descrive l’epopea di un eroe. Giacomino, stralunato predicatore, intellettuale e pacifista, cerca di muovere le masse e svegliarle dal sonno in cui le ha precipitate la religione del consumo, attirandosi gli odi di tutte le categorie sociali, padroni, servi, finti operai, cacciatori e così via. Mentre fugge dalle bastonate, vittima della consueta incomprensione tra popolo e intellettuali, trova rifugio tra le braccia di Bice, procace pescivendola “sanamente popular qualunquista”. Fa da sfondo una città soprannominata la Superba, in cui a Natale la sindaco fa impiantare abeti in lamiera temperata al posto di quelli veri, che non ricrescono più, “meglio di quelli delle ramblas di Barcellona”. Nella città, tetra e fuligginosa, la gente fa la coda per vedere quello che le è stato tolto: l’ultimo albero superstite, incapsulato dentro un’enorme palla di vetro, creazione del grande architetto di fama internazionale.
    Il popolo sfila, con i suoi finti operai in finte manifestazioni (comparse per ricordare un’epoca che non torna più), con i precari lamentosi e azzimati in abito firmato, e non è pronto al messaggio del profeta Giacomino, che dal pulpito predica “ritornate agli stenti, ad una sana miseria”.
    Quando Giacomino sarà sul punto di sacrificarsi e darsi in pasto al mondo per alleviare la fame e la povertà, un intervento divino lo salverà lo riporterà nei ranghi della società, grazie ad una drastica rieducazione.
    La storia è un fumetto che gli autori definiscono “incazzoso, sporco e cattivo come quelli che si facevano negli anno 60/70”, che ha l’obiettivo di non salvare nessuno, tra destra e sinistra, ambientalisti, chiesa e civiltà del consumo, per far riflettere e sorridere con amarezza. Pesciade, per un mondo peggiore, è opera di Gianfranco Andorno e Gino Carosini, edita nel 2011 da Liberodiscrivere.

    (Eleana Marullo)
  • OLI 310: CENTRO STORICO – La Maddalena dimenticata?

    Nel 2009 un bando di riqualificazione cercava di risollevare le sorti di via della Maddalena, a Genova. A fine 2010 un articolo di Repubblica rilevava che il bando era andato deserto: i pochi commercianti che resistevano denunciavano le condizioni di degrado a cui è abbandonata la strada, scarsa illuminazione, assenza delle forze dell’ordine, spaccio ( http://genova.repubblica.it/cronaca/2011/03/14/news/negozi_in_fuga_dai_vicoli_l_ultima_lacrima_della_maddalena-13577517/ ).
    A febbraio 2011 l’assessore alla sicurezza Scidone, durante una passeggiata organizzata dal regista Sergio Maifredi, affermava, constatando il deprimente susseguirsi di serrate “E dire che abbiamo messo in campo varie iniziative, a partire dall’incubatore d’imprese. Servono tanti negozi normali, supermercati, fruttivendoli dove possano rifornirsi le famiglie” (Corriere Mercantile 10/2/2011).
    In effetti in questi giorni, camminando per via della Maddalena, sembra essere apparso qualche nuovo negozio, un paio di sartorie che richiamano l’antico nome “contrada di sartoria”, proprio perché quartiere specializzato in questa attività.
    Eppure il degrado è palpabile e commercianti ed artigiani, da soli, non possono opporsi ad esso.
    Nel 2005 un articolo di Marco Preve (http://www.casadellalegalita.org/index.php?option=com_content&task=view&id=3950&Itemid=28 ) analizzava le cause del degrado, che minacciava, in quegli anni, di inghiottire nuovamente una strada recentemente recuperata, grazie all’apertura di locali e negozi. Certamente in questi giorni bui per la Maddalena vale la pena riprenderne i punti principali. I cosidetti “padroni dei carruggi” hanno responsabilità non da poco nelle derive che affliggono il centro storico: Preve fa il nome di Salvatore Canfarotta “Sono suoi, o comunque della sua famiglia, molti degli appartamenti della zona tra via della Maddalena e via Garibaldi dove, come raccontato nei giorni scorsi da Repubblica, si consuma l’assalto sempre più massiccio della prostituzione al cuore istituzionale e nobile di Genova. Fosse solo questione di cosce e decoro, ma si dice che con gli affitti, specie quelli in nero, c’è da guadagnare parecchio. Tanto che il prefetto ha deciso di fare un censimento delle proprietà e di incrociare i dati con quelli del Fisco. Alcuni di questi presunti padroni dei caruggi, sono noti da sempre. Salvatore Canfarotta è uno di loro. Una decina di anni fa, un’inchiesta lo coinvolse con il padre e la loro agenzia immobiliare. Erano accusati di sfruttamento della prostituzione sempre per la questione degli alloggi affittati a prostitute. «Ci hanno condannato solo per favoreggiamento e ci hanno dovuto restituire le case che ci avevano sequestrato – spiega Canfarotta sulla porta della sua attività in via Canneto il Curto – ma la cosa assurda è che tutto si basava sulle dichiarazioni di straniere, la loro parola contro la nostra, senza nessuna prova”.
    Tra gli altri nomi citati dal giornalista di Repubblica, Salvatore Zappone (sempre per la zona della Maddalena) e Vito Rosacuta per la zona di Prè (vd OLI 309).
    La conclusione dell’articolo di Preve mette a fuoco quale sia una priorità per fermare il degrado del centro storico: “la trasparenza degli affitti, così come l’effettiva abitabilità di alcuni bassi trasformati con sorprendente rapidità in alloggi (un ramo dei controlli che sarà affidato alla Polizia municipale), possono diventare i punti forti di una strategia in grado di contenere il fenomeno della prostituzione, incentivare il recupero urbanistico e al tempo stesso allontanare chi cerca di arricchirsi in barba al Fisco”.
    Sarebbe interessante sapere quale sia stato l’esito di questi controlli.

    (Eleana Marullo)