Categoria: Stefano De Pietro

  • OLI 300: NUCLEARE – Una risposta semplice

    Faccio riferimento all’articolo di Maurizio Montecucco su Oli 298, che ho letto con attenzione e che, naturalmente, non smuove la mia convinzione che la soluzione nucleare a fissione sia da scartare. Non tanto per i rischi legati al suo “normale” funzionamento (eludendo però come d’uso tra i fautori del nucleare, una serie di importanti fattori negativi dimenticati nei dibattiti, elencati più avanti), quanto per l’effetto devastante delle condizioni considerate “incredibili” dai progettisti, invece regolarmente verificatesi tre volte in trent’anni. Se un evento “top” viene escluso nelle analisi di rischio quando la sua aspettativa di accadimento è inferiore a 1×10-8 (si usa 1×10-6 come limite di credibilità nel settore petrolchimico ricadente nella normativa “Seveso”), mi chiedo come sia possibile che sia accaduto nella realtà con una frequenza statistica di 1×10-1 (un evento ogni 10 anni). Evidentemente qualcosa non funziona nella metodologia impiegata per la messa in sicurezza delle centrali, tanto meno nella tecnologia che si è dimostrata così fragile. Lo stesso Prof. Rubbia in un’intervista ha messo in dubbio la validità dell’analisi affidabilistica basata sulle tecniche attuali, quando si tratti di calcolare la sicurezza di impianti che, in caso di incidente, possono arrivare a mettere in pericolo la vita su intere aree del pianeta. A me sembra che si stia giocando con un fuoco troppo grande per essere tenuto sotto controllo per sempre, non ne siamo capaci. L’esposizione dei vantaggi del nucleare elencati nella sua lettera non parlano di quando l’impianto si rompe: a quel punto, del costo del kilowattora o della CO2 potrebbe interessare poco più di nulla.
    Inoltre, i ragionamenti, i calcoli, la politica e le ragioni da lei portate a difesa del nucleare non tengono conto e non parlano affatto del problema delle scorie, della produzione del combustibile, dello smantellamento, che sono argomenti che attraverseranno la storia ben oltre la prossima generazione, lasciando un’eredità di potenziale inquinamento a fronte di una grande incertezza su quelli che potranno essere gli scenari politici e sociali che aspettano l’umanità.
    Gli italiani si sono già espressi in passato dicendo di no, e non sarà certo la vampata di preoccupazione di Fukushima la causa della resistenza che ancora oggi si esprime forte e chiara contro il nuovo exploit nucleare di questo governo. Certo, la produzione di energia centralizzata è un obbligo per una classe politica legata al mondo industriale, anzi, industriale essa stessa, non si potrebbe tollerare che alcuno si faccia la sua corrente come crede, contento di limitare i propri consumi di fronte ad una impossibilità materiale di produrre di più ma in autonomia. Mentre quando la produzione viene sempre e comunque demandata a chi ne fa il business istituzionale, è chiaro che l’interesse sia quello di massimizzare i consumi ignorando totalmente la formazione delle persone al risparmio, a cominciare dalle scuole. Lampade a led ignorate, luci sempre accese in centri commerciali, scuole, uffici pubblici, interi palazzi di uffici, solo perché ormai nessuno sa più dove si trova l’interruttore, sono i sintomi di uno stato catatonico dei consumatori. E quando non sono i consumatori a consumare, sono gli apparecchi che nello stato “stand-by” consumano molto più di quanto l’UE aveva richiesto, su questo come saprà ci sono in corso inchieste.
    Renda i consumatori produttori per sé stessi e ne vedremo delle belle. Via il monopolio Enel, via il nucleare, un’equazione quasi perfetta.


    Intervista a Rubbia http://www.youtube.com/watch?v=ZfV8ZXIWNEk
    Consumo stand-by http://www.iljournal.it/2011/troppo-dormire-impoverire-evitare-sprechi-energetici/202637


    (Stefano De Pietro)

  • OLI 300: POLITICA – Fuori le “palanche” dalla politica

    Il Movimento 5 stelle sta facendo il pieno delle piazze in tutta Italia, si parla di 20.000 persone a Milano, 10.000 a Torino, diverse migliaia in quasi tutti i comuni interessati dalle elezioni, compresa Savona. A Genova, in attesa della formazione della lista per le comunali del 2012, il Meetup degli Amici di Beppe Grillo organizza una raccolta di firme per una petizione diretta ai Consiglieri regionali: abbassarsi lo stipendio e ridurre o annullare i benefit e i gettoni di presenza. Partecipo con interesse ai “banchetti” di sabato 7 e domenica 8 maggio rispettivamente in via San Lorenzo e in Corso Italia, cogliendo l’occasione per vedere il tipo di risposta delle persone e la tipologia dei firmatari.
    Rispondono soprattutto persone giovani ma non mancano gli “anziani”, anche se questi ultimi sono più convinti che si tratti solo di una provocazione: i capelli bianchi ne hanno viste tante di iniziative simili, però partecipano volentieri perché, leggendo il volantino, vedono dei numeri che non credevano possibili: stipendi dagli 8700 euro in su, per arrivare a cifre da capogiro di oltre 15.000 euro, fatte tutte le aggiunte di rimborsi spese (da auto presidenziale), di indennità e di amenità varie. Si spiega che il nuovo tipo di politica proposto dal Movimento è di tipo partecipativo, non più con una delega in bianco, come avviene oggi. Si ricordano anche i referendum, distribuendo volantini con la preghiera di farli circolare. Alcuni ancora non sapevano che per dire “no” si deve votare “si”, credendo invece di andare a scegliere se approvare le legge o meno: in effetti questa storia del referendum abrogativo fa confusione: la TV di stato ha fatto il suo lavoro di censura in modo accurato, forse è davvero l’ora che siano istituite anche tutte le altre forme. Si parla con il “marchio di Beppe” alle spalle, uno striscione con la faccia di Grillo a dar forza all’impegno, suggello di autorevolezza all’iniziativa, certezza di trasparenza.
    E in effetti, oggi, chi più di un comico potrebbe restituire serietà alla situazione carnevalesca della nostra politica? Ad ascoltare i filmati del tour di Grillo per appoggiare le liste comunali in giro per mezza Italia, si sentono quelle parole che vorremmo sentir dire ai “politici di professione”, mentre uno scarno Pisapia con in mano un megafono che non sa nemmeno accendere, a parlare di problemi in modo generico e senza convinzione alcuna è il massimo che ci viene proposto da un centro sinistra spento, affidato ormai per riempire le piazze solo a Vendola, nemmeno al segretario Bersani.
    Anche il Pdl cerca di scopiazzare come può, cercando di adattarsi ad un fenomeno che eroderà voti da ogni parte: il Wi-Fi libero, limitatamente a chi non ne fa l’attività predominante (siamo abituati ai senza senso, ma questa è davvero comica). Si sono dimenticati la parola “gratuito” del programma 5 stelle ma si sa, l’attuale classe politica non è molto esperta di Internet e forse non hanno ancora capito che gli italiani, per attaccarsi a quella che ormai è una delle più lente reti europee, pagano salato.
    Le due giornate si chiudono con soddisfazione, molti fogli sono pieni di firme, ci si sente soddisfatti di aver fatto vera informazione a diretto contatto con i cittadini, come fossimo quell’articolo di fondo mancante nel giornale più importante della città.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 299 – Società: La bomba per Lilliput

    Una mini bomba atomica? Può sembrare un ossimoro, una bomba atomica che fa danni solo localmente, invece è quanto di meglio si possa offrire ai militari, a quanto insistono a raccontare Maurizio Torrealta e Emilio Del Giudice nel loro libro “Il segreto delle tre pallottole”.
    Su internet è possibile trovare due interviste, una a Torrealta che parla esplicitamente del libro, l’altra al Prof. Del Giudice, che anticipa con un’ampia spiegazione del suo pensiero sulla fusione fredda il racconto delle micro bombe nucleari a suo avviso usate fin dai tempi della prima guerra d’Iraq.
    In sostanza, il problema tecnico per realizzare una minibomba, ossia la mancanza di “massa critica” del combustibile nucleare, viene superato attraverso un processo di fusione fredda basato sull’idrogeno e sull’uranio invece che sul palladio (o il rame, secondo le ultime affermazioni di Rossi e Focardi a Bologna a gennaio 2011). La massa critica è la quantità minima di combustibile nucleare necessaria ad iniziare naturalmente un processo di fissione, che però si porta inevitabilmente dietro una grande quantità di energia liberata, dell’ordine di megatoni (milioni di tonnellate di tritolo). Le micro-bombe nucleari, sempre secondo gli autori, possono invece arrivare ad una detonazione paragonabile nelle modalità distruttive ma in un’area molto circoscritta, a livello di singolo edificio. Anche i danni alle persone sembrano confermare questa loro analisi, come quando i medici palestinesi a Gaza non riuscivano a capire il tipo di lesioni subite dai cadaveri durante l’operazione “Piombo fuso”.
    Del Giudice spiega che i cosiddetti “proiettili ad uranio spento” sono in realtà un falso per nascondere che si tratta di un residuo di una micro esplosione nucleare di uranio naturale o leggermente arricchito.
    Insomma, se la loro ipotesi si rivelasse vera, questo comporterebbe che sia gli Stati Uniti d’America che i Russi, così come gli Israeliani avrebbero violato i patti di non proliferazione nucleare più volte, espondendo i militari coinvolti (amici e nemici) e le popolazioni civili a radiazioni mortali, oltre a produrre un inquinamento persistente e non solo localizzato, che rischia di compromettere la vita su grandi spazi delle zone di guerra. Ed inducendo una richiesta di danni senza precedenti da parte di tutti, cominciando con i militari che soffrono della famosa “sindrome dei Balcani”, ma senza dimenticare i milioni di civili che tutti i giorni si trovano a barcamenarsi tra uranio, mine, bombe con basso quoziente d’intelligenza, rivolte e avvelenamenti vari. Se questo è il 2011, aspettiamo con interesse il fatidico 2012.
    http://www.verdenero.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=127:pallottole (il libro sul sito dell’editore)
    http://current.com/shows/senza-censura/92515494_intervista-a-maurizio-torrealta-autore-de-il-segreto-delle-tre-pallottole.htm (intervista a Torrealta)
    http://www.youtube.com/watch?v=uFMYDRIqB6I (Intervento di Torrealta alla Casa della pace di Testaccio)
    http://www.youtube.com/watch?v=XvHSjJelcOE (intervista a Del Giudice)
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 299: PAROLE DEGLI OCCHI – Diamogli una mano …

    DIAMOGLI UNA MANO …
    Foto (C) 2011 Stefano De Pietro
  • OLI 299: LETTERE – Al lavoro!

    Usciamo dal Silenzio, associazione genovese, invita tramite di Luisa Parodi a partecipare all’evento che si terrà a Palazzo Rosso sabato 7 maggio 2011. Sarà proiettato il film “Al lavoro!” di Lisa Tormena, già premio Ilaria Alpi con il documentario “Mdj, libertà in esilio” insieme a Matteo Lolletti.
    Lisa Tormena su Facebook http://it-it.facebook.com/people/Lisa-Tormena/753163621
    Usciamo dal Silenzio, Luisa Parodi, usciamodalsilenzio_genova@yahoogroups.com

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 298 – NUCLEARE: I sessanta chilometri di Milashima


    Nel numero 295 di Oli un lettore ha inviato una lettera alla quale rispondo con piacere, trattandosi di argomenti abitualmente portati a difesa del nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1).
    La prospettiva di un terremoto “da Napoli ad Ancona” esclude regioni certamente altrettanto attive, come la Sicilia, la Calabria, le Puglie: forse chi fa questa affermazione in Rai ha ancora in mente la vecchia classificazione tellurica, quella che ha permesso a scuole e palazzi di cadere (ma a norma di legge, s’intende) durante gli ultimi terremoti. Comunque, a parte questo, un terremoto delle dimensioni di quello giapponese aggiungerebbe solo macerie ai problemi delle centrali nucleari. Come dire: già che crolla tutto, facciamoci anche gasare …
    In Italia non è comunque necessario attendere un terremoto di magnitudo 9 Richter, basta vedere cosa riusciamo a fare con le poche barre di combustibile nucleare stipate qua e là ad inquinare di stronzio 90 le falde acquifere. Lui, lo stronzio, non è cattivo, è che lo hanno chiamato così … (http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/Il-Piemonte-e-la-piscina-radioattiva/D5875056.html)

    2 – I reattori BWR sono obsoleti (http://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_a_fissione#Reattori_BWR)
    Se sono “obsoleti” perché sono ancora in funzione? Beh, perché nessuno si prende la briga di demolirli, è antieconomico come dimostrano le continue proroghe, e non si sa bene ancora come farlo. Quando si comincerà a chiuderli, avremo anche i primi casi di incidenti legati alla dismissione. Comunque, dopo 50 anni di nucleare a fissione, ancora non esistono certezze per lo stoccaggio delle scorie. In Germania le miniere di sale hanno ceduto e i detriti nucleari rischiano di contaminare le falde. Mi piacerebbe mandare gli stessi dirigenti e ingegneri che avevano firmato i vari documenti autorizzativi a levare i fusti, adesso. I filo-nuclearisti dovrebbero avere l’iniziativa di andare a spalare l’acqua di Fukushima, per aiutare i pochi volontari che restano a lavorare là, come fecero i liquidatori di Chernobyl che con il loro lavoro suicida hanno letteralmente salvato il mondo da una catastrofe ancora peggiore, e ai quali non mi risulta che il popolo italiano abbia ancora dedicato una giornata di lutto nazionale. Chi farebbe un fuoco così grosso da non avere abbastanza acqua per spengerlo? Il top event non ha soluzione, per cui lo si rende incredibile con artifici numerici, quando già per la terza volta siamo saliti a livelli di incidente superiore a 6. Il prof. Rubbia stesso ha avuto da dire sulla metodologia dell’analisi di rischio probabilistica per impianti così critici.
    3. Fukushima è stata costruita male.
    Repetita iuvant: anche qui la risposta si morde la coda con la domanda. Costruita male a norma di legge. Attendiamo il prossimo incidente e la prossima considerazione tecnica “a posteriori”, sperando che resti sempre qualcuno vivo per accertarla. Ci sono molte centrali “obsolete” e “costruite male” pronte a regalarci emozioni, circa 500 in tutto il mondo, la maggior parte delle quali molto vecchie, non pensate né per durare in eterno, né tantomeno per essere demolite in sicurezza. Non siamo poi molto lontano dagli “ingegneri Neanderthal”. Si usa dire che la nostra civiltà non lascerà molte informazioni perché ormai sono tutte virtualizzate: in realtà resteranno le scorie, a testimonianza dell’elevato grado di tecnologia raggiunto dalla scimmia sapiens.
    4. Si deve pensare a “nucleare anche”.
    Al di là delle considerazioni sul risparmio energetico fatto eliminando gli sprechi e sui diversi modi di fare elettricità con altri sistemi che non la fissione, per chi proprio volesse continuare sull’attuale tendenza che “consumo è bello” resta la speranza della fusione a freddo. Rapporto 41: l’Enea era arrivata ad un risultato sperimentale verificato ma il gruppo di lavoro è stato ignorato ed anzi, sostituito quando il Ministero delle attività produttive si era interessato al loro risultato (conosciuto per caso, s’intende). In attesa di verifica, esiste anche l’avventura di Rossi e Focardi, vedremo come va a finire. In questo caso c’è un’evidenza di laboratorio nelle loro conferenze di gennaio e di aprile 2011. Alcuni scienziati si lamentano che non è stato seguito il metodo scientifico classico; però, se fossi il fortunato scopritore di un processo di tal fatta, che interesse avrei a dover rivelare i miei segreti industriali per far contente le riviste scientifiche? In fondo, il mondo della scienza non ha dato un dollaro per questa ricerca, quale correttezza di ritorno si aspetta di ricevere adesso? (Rapporto 41: http://www.youtube.com/watch?v=XMW6rAU2X1Q) (intervista a Focardi http://www.territorioscuola.com/interazioni_2/2011/04/10/0046-100411-sergio-focardi-parla-il-padre-della-fusione-fredda-ni-h/)
    5. I francesi si comprano l’Italia.
    Sono contento per i Francesi, che si stanno adesso accorgendo cosa succederà da loro con le scorie e con le malattie professionali di chi lavora in quegli stabilimenti, costruiti con le risorse anche militari. Preferirei sentirle commentare come mai in Italia le lampadine a Led ad alta luminescenza non siano commercializzate in modo diffuso: si trovano nei negozi dei cinesi a 6 euro e cinquanta, ma non dai grossisti di materiale elettrico; siamo invece pieni di porcheria a fluorescenza. Con il costo del solo progetto di una singola centrale si potrebbe investire sull’illuminazione pubblica e privata, riducendo i consumi del valore dell’energia prodotta dalle ipotetiche centrali nucleari. Solo a Genova il semplice cambio dei semafori consentirà il risparmio di 400.000 euro di bolletta (oltre a inquinare meno). Invece si continua a spacciare per ecologiche le lampade a fluorescenza, alle quali adesso sono state aggiunte palate di elettronica usa e getta nel codolo, oltre alla sostanza molto inquinante del bulbo, al vetro, al peso dei materiali, del trasporto, della lentezza nel raggiungere la luminosità massima, motivo per il quale spesso sono lasciate perennemente accese: bel risparmio, non ho parole. Questa è l’industria, che pilota i mass media per i propri scopi commerciali.
    Riguardo a Parmalat comprata dai francesi, non credo che sia un problema energetico: semmai politico e organizzativo. I minori costi si vadano a cercare nel numero di ore richiesto ad un’azienda italiana per compensare l’inefficienza dello stato, la corruzione dilagante, il comportamento da gangsters delle banche, la truffa degli interessi anatocistici semestrali, i vari trust che impediscono il mercato libero, tra i quali proprio quello di Enel, “l’energia che ti ascolta”. Castorama costa più caro di qualsiasi ferramenta di medie dimensioni, solo che da loro trovi tutto, subito. E’ un problema di dimensioni e di risultati, non solo di concorrenza economica. Io non ci compro volentieri, preferisco scornarmi a sostenere la microimpresa, ma non tutti la pensano come me e li capisco.
    Se poi l’energia viene usata per una globalizzazione infantile delle merci, per cui si assiste a follie di uso di plastica usa e getta che ha raggiunto vertici da belinismo collettivo, questo non importa a nessuno? Proprio a cominciare dalla grande distribuzione che manda la carne già tritata in vaschette di plastica da un chilo in atmosfera modificata per cinquemila chilometri a spasso con i tir, sotto l’occhio indifferente di UE e governi locali. Dobbiamo solo continuare a ragionare ognuno per il suo tassello, chi per il kWh, chi per l’etichetta, chi per il sacchetto, dimenticando la globalità del problema energetico/ambientale? Io non ci sto. Molti non ci stanno più. La soluzione inizia dalla decrescita o crescita consapevole, la chiami come preferisce, non solo dal ridurre i costi economici, e basta.

    Carissimo lettore, la invito con la sua stessa cortesia a provare lei a pensare diverso. L’attendiamo a braccia aperte in un mondo che, almeno, ci prova a levare i monopoli per far sviluppare il vero mercato dell’energia libera, dove ognuno se la fabbrica come crede, inquinando il meno possibile e senza spendere un bel niente in più del necessario. Soprattutto senza il trust di Enel, davvero una porcata colossale ai danni dei cittadini italiani. Vedrà, senza questo trust e con un’informazione non filtrata dai gruppi di potere, che rivoluzione nelle scelte degli italiani. In Germania ci stanno davvero pensando.

    Alla fine di tutto, includo un’immaginaria piantina di un immaginario incidente di un’immaginaria centrale nucleare sita nel centro di un’ipotetica città chiamata Milashima, in emergenza a livello 7 come Fukushima: le auguro di non abitare a Nord di Alessandria. Così, giusto per capire cosa significa creare “desplazados” in un’area di 11 mila chilometri quadrati, alla faccia dei numerini tranquillizzanti degli ingegneri nucleari. Lo dico già da ora: se dovesse succedere io, a Genova, i lumbard non ce li voglio! 🙂
    Vogliamo chiacchierare anche di rifiuti e di telecomunicazioni ?
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 297: SOCIETA’ – Il processo

    Nessuno avrebbe mai immaginato che Pietro l’Aretino avrebbe potuto scrivere con così tanto anticipo del caso Ruby. Una scoperta letteraria inattesa che apre la possibilità di una nuova interpretazione dei famosi Sonetti lussuriosi.
    Dal Libro II:
    Questo è un libro d’altro che Sonetti,
    di Capitoli, d’Egloghe o Canzone;
    qui il Sannazaro o il Bembo non compone
    né liquidi cristalli, né fioretti.
    Qui il Berlu (*) non ha madrigaletti,
    ma vi son cazzi senza discrezione,
    ecci la potta, e ‘l cul che gli ripone,
    come fanno le scatole a’ confetti.
    E qui son gente fottute sfottute,
    e di cazzi e di potte notomie,
    e nei culi molte anime perdute.
    E ognun si fotte in le più leggiadre vie,
    ch’a Ponte Sisto non sarian credute,
    infra le puttanesche gerarchie.
    Et in fin le son pazzie
    a farsi schifo di sì buoni bocconi,
    e chi non fotte ognun, Dio gli perdoni!
    * Bernia nel sonetto originale
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 296: NUCLEARE – No e basta.

    Passato un po’ di tempo dalla catastrofe del terremoto giapponese, si possono tirare le prime somme, usando il linguaggio molto diretto di chi è preoccupato per la nuova svolta nuclearista del governo italiano. E’ mia convinzione che dietro l’apparente gentilezza del modo di pensare comune a chi lavora con una formazione tecnica universitaria e legato a concetti economici e affidabilistici, si nasconde in realtà la determinazione di imporre il nucleare in modo paternalistico, come risultato di un processo di analisi alterato per farlo suonare come logico ed apparentemente inattaccabile. Invece, fuori dalle considerazioni economiche ci sono, tanto per iniziare, quelle sanitarie, che hanno già ampiamente dimostrato che il nucleare, in realtà, è letale per fondamento stesso, al di là delle ipotesi incidentali, ad esempio come quando (non) si parla dei rifiuti, che rifiuti restano anche se prodotti da centrali di ennesima generazione. Per quanto riguarda la sicurezza, avere avuto tre incidenti “top” nel giro di poco più di trent’anni lascia presumere che i valori di frequenza attesa siano stati a dir poco sottostimati. Certo, a posteriori, sia Three Miles Island, che Chernobyl e adesso Fukushima, così come le centinaia di piccoli eventi “minori” silenziosi (per questo a mio avviso ancora più inaccettabili), innestano il ciclo virtuoso di analisi che consente di capire i difetti degli impianti per renderli “un po’ più sicuri”.
    Però, quando poi si scopre che un’ondata d’acqua, per quanto gigantesca ma comunque prevista in quella zona, mette in ginocchio 4 reattori, allora il parere anche dei tecnici dovrebbe cambiare. Cosa sarà stato questa volta? I muri hanno dimostrato di reggere perché l’ondata era prevista, quindi cosa scopriremo? Che si sono staccati i serbatoi del gasolio dei generatori, galleggiando sull’acqua? O che le prese d’aria non sono state previste ad un’altezza tale da garantirne il funzionamento con i motori sommersi? Non mi stupirebbe che particolari tanto semplici possano aver causato un effetto domino di tale dimensione, i generatori erano molti e che tutti siano saltati lascia presupporre ad un problema di progettazione comune legato all’inondazione o ad un punto critico non previsto nell’analisi di rischio. Diversamente da così sarebbe ancora più preoccupante, perché la stupidità di un particolare purtroppo esiste al di là dei calcoli generali più esatti, mentre un evento dovuto ad un problema “di fondo” sarebbe davvero inaccettabile e criminale. E nel caso di Fukushima, il progetto ha affidato la vita della centrale ad un sistema non a sicurezza intrinseca, direi quindi che si è trattato di un problema “di fondo”: il flusso d’acqua legato ai generatori (sicurezza attiva) è un errore lampante, una scelta operativa sicuramente dettata dai famosi “costi inaccettabili” di una centrale più sicura. Ricordo che un giorno proposi ad un’assicurazione di legare il premio della RCT al livello di attenzione che l’azienda poneva nella gestione degli impianti, in quel caso dei semplicissimi stoccaggi di gas, e della loro conformità ai gradi più elevati della tecnica migliore. Ricevetti un diniego, perché, mi spiegarono, le assicurazioni lavorano proprio sull’imprevedibile, basandosi su un’analisi statistica dei dati a posteriori, sull’esperienza. E i dati storici sul nucleare, al di là dei numerini “dieciallamenoqualcosa”, delle promesse dei progettisti, delle parole dei politici, dicono che è l’ora di smetterla.
    Votai a sfavore del nucleare nel 1987, allora non tanto perché non credevo nella capacità della tecnica in sé stessa, quanto per una basilare sfiducia di una gestione così complessa in un paese come il nostro (non credo di dover citare i motivi, sono evidenti, ed oggi siamo peggiorati). Adesso, invece, si scopre che questa tecnologia è “troppo complessa” anche per un popolo come quello giapponese, esempio di efficienza e dove l’amministratore delegato della Tepco va in giro per i campi profughi a scusarsi personalmente per il *casino* che hanno combinato (scusate il termine, ma è davvero appropriato).
    Comunque, arrivati a questo punto non credo che ci sia più spazio per una discussione su questo argomento, chi ancora è convinto che si possa fare e gestire la fissione, vive in un passato di illusione ingegneristica sconfessata dai fatti. Per noi, antinuclearisti della prima ora, resta solo di avvisare che difenderemo duramente il nostro diritto alla vita. Il vecchio motto del “Nucleare, no grazie” da oggi diventa un esplicito “Nucleare, no e basta!”. Pazienza se saremo tacciati di non essere democratici come le nubi radioattive, quando sorvolano il mondo inquinando ricchi e poveri in egual misura.
    E non si venga a dire che “tanto le centrali straniere sono a pochi chilometri fuori del confine”: chi vuole cambiare il mondo, cominci a cambiare sé stesso.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 294: SANITA’ – Recco, ospedale sì, ospedale no

    Il carnevale di Recco di domenica 20 marzo 2011 non è stato solo un momento di gioia per grandi e piccini, con musica dal vivo, clowns, pentolaccia e milioni di coriandoli. Insieme alle molte persone intervenute per divertirsi c’era anche una rappresentanza del comitato cittadino che si sta opponendo alla chiusura dell’ospedale Sant’Antonio. Il piccolo ospedale serve un’area vasta del territorio e con il suo pronto soccorso rappresenta una sicurezza per la salute di tutti gli abitanti, anche delle valle sovrastanti Recco.
    Ha lasciato perplessi in questa occasione la scarsa partecipazione della cittadinanza presente sul lungomare, che si è limitata a dare un’occhiata al gruppo dei contestatori, vestiti a sandwich con scritte di protesta. Era presente anche la bara dell’ospedale, ormai divenuta il simbolo delle contestazioni anche per altre occasioni quali il Teatro Carlo Felice di Genova.
    Il giorno dopo, lunedi 21, inizia l’occupazione dell’ospedale, per impedire in extremis che inizi il trasloco delle apparecchiature nelle nuove strutture. La protesta nasce dalla fondata preoccupazione di dover affrontare un viaggio fino a Genova in caso di codici di gravità particolarmente gravi, ma anche dalla scomodità di ricoveri in medicina o ortopedia troppo distanti dai luoghi di residenza. La riviera ligure è popolata per di più da persone anziane, costringerle ai ritmi derivanti da una gestione solamente economica della sanità rispecchia il fallimento del tipo di politiche intraprese fino ad oggi in generale in Italia. Si parla per posti letto, per fatturati pro capite, gli ospedali sono diventati “aziende”, i malati gli “utenti”, si spendono milioni di euro per pitturare stanze vuote. Come se andare in un ospedale fosse uguale che a recarsi in banca a litigare col direttore per gli interessi. Mentre si dialoga dei massimi sistemi legati ai fatturati e ai costi sempre più esorbitanti della sanità, si perdono di vista sin le cose più semplici: al pronto soccorso di san Martino a Genova, una porta a vetri all’ingresso ambulanze che si apre e si chiude continuamente nell’indifferenza di qualsiasi dipendente, oppure viene realizzata una sala di attesa inutile perché lontana dalla porta dell’ambulatorio per il quale si attende la chiamata, col risultato che la coda si forma nel corridoio del p.s., bloccando le barelle in transito, tra i lamenti da parte di un personale che non si pone nemmeno più il problema di capire il perché i malati “preferiscano” stare in piedi due ore. E se glielo spieghi, ti guardano come se fossi un fuoriuscito da psichiatria.
    La gente è stanca e disillusa delle parole di chi gestisce, la politica dei professionisti ha fatto il suo corso e abbiamo bisogno di un nuovo modo di amministrare. Anche di fronte alle promesse ed anche ai primi atti della Regione che assicura la creazione di Tac e ambulatori con stanziamento già accordato dal Consiglio regionale, l’occupazione continua ad oltranza perché nessuno dei 150 occupanti si fida più, e prima di abbandonare la posizione vogliono vedere i fatti. Non è un caso che alcuni si incatenano di fronte all’ingresso con in mano le tessere elettorali nell’atto di essere strappate.
    In realtà nessuno è poi convinto di intervenire per mandarli via: dagli stessi operai della ditta che non possono eseguire il lavoro di trasloco ma che solidarizzano, agli stessi Carabinieri, che usufruiscono essi stessi della struttura e si limitano a “prendere le generalità”, in mancanza di un ordine specifico di sgombero. Certo, questo arriverà prima o poi, e sarà eseguito con la divisa antisommossa alla quale una parte dello Stato che non appartiene più a tutti i cittadini ci ha qualche tempo abituati.
    Siamo solo un po’ in ritardo rispetto allo stato catatonico della sanità del Lazio, ma ci arriveremo presto: la Liguria non vuole essere seconda a nessuno, tanto meno nel male.
    (Stefano De Pietro)

    Due manifestanti al Carnevale di Recco

    Coriandoli e proteste a Recco il 20 marzo 2011
    La bara dell’Ospedale

    Intervengono anche i sindaci della riviera

    Ogni funerale ha la sua vedova …

    Incatenati all’ingresso dell’ospedale

    La “salute” impacchettata

    Catene, protesta e certificati elettorali

    L’ingresso dell’ospedale

    Interno in attesa del trasloco

    Sit-in di protesta

    All’interno dell’ospedale

  • OLI 293: SOCIETA’ – La crocefissione della laicità dello stato

    Il bassorilievo del processo a Giordano Bruno (Roma, Campo de’ Fiori)

    Nella foto, come viene erroneamente indicato nella didascalia, non vediamo il bassorilievo del processo a Giordano Bruno, bensì l’attuale situazione nei tribunali italiani. Non lasciatevi ingannare dai vestiti né dalle panche in legno, tantomeno dalle barbe fluenti o dal fatto che l’incriminato è costretto a restare in piedi di fronte alla corte. L’elemento che convince della modernità di questa immagine è la presenza importante e ribadita di un crocefisso sopra la capa del giudice.
    La sentenza della Cassazione di pochi giorni fa che ribadisce l’obbligo del crocefisso nei tribunali, parla chiaro: il nostro amico sofferente deve essere lasciato perché, se da una parte non si può escludere l’utilità dello stesso per i credenti all’interno di un’aula di tribunale, dall’altra non si può nemmeno consentire a tutti gli altri di entrarvi, quindi, la soluzione miracolosa è quella di lasciare tutto come sta. Insomma, mettere un simbolo ebraico accanto al crocefisso potrebbe essere lesivo per l’incompatibilità delle due dottrine, di levare il crocefisso non se ne parla perché un sano ladro cattolico potrebbe aversene a male, ecco il riassunto della sentenza, che conferma la radiazione del giudice di Camerino, Luigi Tosti, dalla magistratura per essersi rifiutato di tenere udienze all’ombra del simbolo cristiano. Cassazione dixit.
    Trovare una soluzione in ambito legislativo è impossibile, al momento, infoiati come saranno i nostri parlamentari a discutere già di sesso degli angeli (Ruby), presenza dell’anima nelle donne (regionalismo/de centralismo), discendenza divina dell’imperatore (processi vari al Presidente del Consiglio dei Ministri), non scordiamoci l’annoso problema dell’immagine dell’Italia nel mondo dopo il recente forfait della Nazionale di calcio in Sud Africa.
    Resta una sola speranza per salvare la Laicità dello stato: che a causa dell’inesistente manutenzione delle strutture pubbliche, qualche crocefisso decida che è arrivato il momento di staccarsi e di infilare i poveri piedi feriti nella testa del giudice sottostante. Forse, prendendola dal lato della sicurezza, qualcosa si muoverà finalmente, tra l’altro rivalutando l’importanza, in questo caso, della mansione di giudice “a latere”, così, giusto per salvarsi da uno spiacevole incidente.
    Adesso che abbiamo scherzato un po’, ritorniamo alle cose serie: qualcuno ha ancora voglia di parlare di nucleare?
    (Stefano De Pietro)