Categoria: Donne

  • OLI 358: LETTERE – 28 novembre: Burlando, Doria e la rete delle donne

    Cara Oli,
    vi scrivo per informare che “La rete di donne per la politica” mercoledì 28 novembre in Provincia (Sala Consiliare, ore 17, Largo Lanfranco 1) incontra il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e il sindaco di Genova Marco Doria per parlare di violenza maschile sulle donne.
    Durante l’incontro, aperto al pubblico e a cui intervengono tra le altre Lidia Menapace e Rosangela Pesenti, la Rete, che raccoglie venti associazioni cittadine, chiederà al presidente e al sindaco di continuare a sovvenzionare i centri pubblici e privati operanti nella nostra Regione e di inserire nella loro agenda politica la Convenzione “No More” contro la violenza maschile sulle donne.

    La Convenzione No More – promossa da molte associazioni tra cui quelle impegnate nell’aiuto alle donne maltrattate e ai loro figli – chiede allo Stato italiano e a tutte le istituzioni di prevenire e combattere la violenza contro le donne, finanziando, prima di tutto, i molti Centri nei quali si sono già create competenze preziose. La Rete di Donne per la Politica si batte per l’applicazione di No More segnalando che sia le Nazioni Unite sia il Cedaw (Comitato internazionale per l’eliminazione di ogni discriminazione delle donne) hanno redarguito nel 2011 e 2012 lo Stato italiano per il suo scarso impegno nel contrastare la violenza contro le donne.
    In Liguria esistono centri pubblici (istituiti dalla Regione con la legge 12 del 2007) e centri privati. La Rete ha già incontrato il 19 novembre l’assessore regionale Lorena Rambaudi che si è impegnata a sostenere la legge 12 investendo risorse finanziarie e progettuali nei Centri antiviolenza. Nel 2012 in Italia oltre cento donne sono state uccise da un uomo che nel 70 per cento dei casi conoscevano e avevano anche amato: il marito o ex marito, l’ex fidanzato, l’ex compagno, il padre, un altro parente. Nel 2011 sono state 137, significa una donna uccisa ogni 2 giorni.
    La Rete di Donne per la Politica è punto di incrocio di molte associazioni o gruppi:  Laboratorio politico di donne, UDI Genova 25 novembre 2008, Generazioni di donne, Marea, UDI Genova Biblioteca Margherita Ferro, Società per Azioni Politiche di Donne, Coordinamento Donne CGIL Genova e Liguria, Coordinamento pari opportunità UIL di Genova e della Liguria, Asociazione Usciamo dal silenzio, Rete delle donne per la rivoluzione gentile, AIED, Archinaute, Laboratorio AG-AboutGender, Co.Li.Do.Lat, Legendaria, Gruppo Mafalda Sampierdarena, Il Cerchio delle Relazioni, Arcilesbica, Rete 194.
    Vi ringrazio dell’ospitalità, e mi auguro che le lettrici e i lettori di Oli  raccolgano l’invito.
    (Silvia NeonatoFoto di Paola Pierantoni)

  • OLI 356: ESTERI – Sessismo negli USA

    Sui risultati ottenuti dalle donne alle ultime elezioni negli USA, Tali Mendelberg, professore associato di scienze politica all’Università di Princeton, e Chrisopher f. Karpowiz, un assistente professore di scienze politiche presso la Brigham Young University, illustrano sul New York Times del 8 novembre 2012, i risultati della loro ricerca sulla necessità di una presenza femminile pari a quella maschile in un gruppo decisionale per poter produrre decisioni al femminile: “Il Congresso che si riunirà nel mese di gennaio avrà un numero record di donne: 20 senatrici. Le candidate donne hanno rotto altre barriere nelle ultime elezioni. Questo significa che il prossimo Congresso sarà più attento ai bisogni dei bambini, delle ragazze madri e degli americani più vulnerabili a causa del basso reddito, delle cattive condizioni di salute e di altri svantaggi? Purtroppo, no. La nostra ricerca dimostra che i legislatori prendono in considerazione le politiche femminili solo quando la presenza delle donne è veramente uguale a quella degli uomini. Festeggiamo pure le conquiste elettorali ma abbiamo molta strada da fare”. 
    Rimanendo negli Stati Uniti, sempre riguardo alle donne, per il Business Insider il generalissimo Petraeus, protagonista di guerra in Iraq ed Afghanistan contro nemici terribili è vittima di una donna molto seducente ed ambiziosa, la sua amante e bioghrafa Paola Broadwall. Lui è giustificato: “un uomo di 60 anni che si trova davanti una donna attraente che ha quasi la metà dei suoi anni che si rende disponibile a lui, mettetevi nei suoi panni è una prova durissima per chiunque”. Per lei invece nessuna giustificazione e il titolo sessista dell’articolo del Business Insider è, infatti, il seguente: “Un collega di Petraeus: la bioghrafa Paula Broadwell ha messo i suoi artigli su di lui”. 
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 353: GRADUATORIE – All’Italia il primato in chirurgia estetica

    Non c’è nessun ateneo italiano tra le prime cento università nell’Academic ranking of world università (la classifica elaborata dalla Jiao Tong University di Shanghai, che ha indicato i primi 500 atenei del mondo). L’Italia è tra gli ultimi in Europa nella concessione del diritto di voto e della cittadinanza ai migranti, ed è ai primi posti nella classifica mondiale della corruzione percepita e si colloca al pari di Paesi come il Ghana e la Macedonia, (rapporto realizzato dalla commissione sulla prevenzione del fenomeno corruttivo nominata dal ministro della Pubblica Amministrazione, Filippo Patroni Griffi).
    L’Italia è all’87° posto per quanto riguarda l’occupazione femminile, al 121° per la parità salariale, al 97° per la possibilità che hanno le donne di ricoprire incarichi al vertice (n. 874 del settimanale internazionale) . In compenso siamo tra i primi paesi al mondo per il ricorso alla chirurgia plastica, davanti a noi solo la Korea del Sud e la Grecia. Dati rilasciati dalla Società Internazionale di Chirurgia Plastica Estetica (ISAPS).
    (Saleh Zaghloul)

    http://www.dailymail.co.uk/femail/article-2134352/One-women-Seoul-gone-knife-South-Korea-tops-global-list-plastic-surgery-procedures.html

  • OLI 353: DONNE – Cambiare le parole per cambiare il mondo

    Nella sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, il 22 ottobre scorso, è stato presentato il libro di Giulietta Ruggeri Cambiare le parole per cambiare il mondo. A introdurre l’argomento al pubblico – per massima parte femminile – che gremiva la sala, oltre all’autrice c’erano Emanuela Abbatecola, sociologa dell’università di Genova e l’ex ministra Livia Turco.
    La considerazione che permea la ricerca è che le parole abbiano un forte potere, poiché agiscono sul piano simbolico, modificando il significante. Quindi, gli interventi delle relatrici si sono focalizzati intorno alcune parole prese in esame dal testo: sorellanza, per iniziare. Il termine, che aveva una sua funzione nel neofemminismo degli anni 70 per contrapporre un modello differente allo stereotipo consolidato della rivalità tra donne, è superato, nella proposta dell’autrice, dal riconoscimento del valore dell’altra e dell’altro nella sua differenza. Altra espressione fortemente criticata è “pari opportunità”. Cosa la rende non accettabile? Innanzitutto, la sensazione che la parità sia un valore determinato da altri (ci si potrebbe infatti interrogare rispetto a cosa si stabilisca la parità) e, in seconda battuta, il percorso storico compiuto dall’espressione. Se infatti, all’esordio  le politiche delle pari opportunità si occupavano strettamente delle differenze di genere, successivamente il campo di intervento si è allargato fino a comprendere tutti i soggetti deboli e bisognosi. La proposta dell’autrice è di sostituire il termine “pari opportunità”, ormai inadeguato, con “politiche di genere”, che dovrebbero attraversare i generi ed essere utili sia alle donne che agli uomini, nell’ottica di una liberazione di entrambi i sessi da gabbie sociali e culturali. Altra considerazione linguistica è quella relativa all’uso delle parole che indicano professioni: se per i ruoli subalterni non si è fatta fatica a declinare al femminile (operaie, contadine…) ancora oggi si fa fatica a dire “sindaca” o “ministra”, poiché si è abituati all’esistenza di un “neutro”, applicabile indifferentemente ad entrambi i sessi. Ma questo falso neutro, in realtà, è maschile e se non si declinano le parole al femminile i significanti, ossia ciò che le parole indicano, finiscono per non esistere.
    Altro tema trattato più volte dalle relatrici è la questione del lavoro delle donne. Livia Turco ha raccontato l’iter legislativo della proposta di legge sulla questione dei tempi di vita delle donne: iniziato alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, grazie ad una iniziativa popolare che aveva messo d’accordo le donne lavoratrici di qualsiasi estrazione sociale, fu accantonata per poi venire riproposta ed approvata soltanto nel 2000. L’autrice ha poi sottolineato il paradosso per cui ogni persona viene al mondo, ma la maternità sul lavoro è ancora vista e vissuta come un imprevisto o incidente di percorso.
    Gli argomenti del libro sono numerosi ed alcuni, come il femminicidio, la disoccupazione femminile, il caso specifico di Genova, la criminalità ecc…sono stati solo accennati, Per chi vuole approfondire: Cambiare le parole per cambiare il mondo. Pari opportunità punto a capo, uno studio del caso Genova, Giulietta Ruggeri 2012, Liberodiscrivere ed..

    (Eleana Marullo)
  • OLI 351: LETTERE – Le ragioni di un appello: mai più senza (primarie)!

    Italia 2012: uno stato democratico, con una costituzione democratica. Chi viene scelt* per rappresentare la popolazione negli organismi di governo dovrebbe avere il reale appoggio, l’elezione di poch* dovrebbe essere la partecipazione, la messa in discussione, la presenza, di tutte e tutti. Come è noto non stiamo parlando di una democrazia piena e soddisfacente, stiamo parlando di una democrazia incompiuta. Le scelte di chi candidare avvengono a cura delle segreterie dei partiti, le liste sono bloccate, la possibilità di far sentire la propria voce è troppo spesso direttamente proporzionale alla disponibilità di denaro (pubblico e non solo) e di potere.
    Finché potere significherà scelte ad uso e consumo di chi governa, finché la popolazione non verrà rappresentata per intero (le donne sono più della metà della popolazione, negli organi di governo invece…), finchè nel momento del voto molt* sceglieranno di astenersi o di orientarsi verso quella che viene definita “antipolitica”, troppo spesso protesta anche legittima che però si limita alla distruzione, senza proporre reali alternative, la nostra sarà una democrazia incompiuta. In mancanza di una legge che lo preveda la Rete delle donne per la rivoluzione gentile chiede che tutti i partiti adottino volontariamente il meccanismo delle elezioni primarie al fine di garantire trasparenza e reale possibilità di partecipazione nella scelta di chi si candida per le cariche elettive.
    Questa richiesta prevede un impegno: sostenere solo quei partiti che si prodigheranno in tal senso. La distanza percepibile, tangibile, tra chi governa il nostro paese, a tutti i livelli, e la popolazione, fa emergere con sempre maggior forza l’esigenza di prendere la parola, di proporre, di contare. Solo alimentando la consapevolezza delle persone, solo disseminando, a partire dai gesti più piccoli fino agli incarichi di maggior responsabilità, una cultura della legalità e della trasparenza si innesterà un circolo virtuoso che permetterà l’emersione del merito e dell’autorevolezza (a discapito finalmente di raccomandazioni e scorciatoie), e la possibilità di prendere decisioni condivise e autenticamente volte al bene comune. Se lasciamo tutto nelle mani di pochi(ssimi), chiudendo gli occhi, le loro ruberie, le loro inadempienze, il loro mancato rispondere agli oneri, agli impegni, ci sembrerà a poco a poco normale. La società si va assuefacendo, le responsabilità sono molto chiare, tuttavia è preciso dovere delle persone, di tutte e di ciascuna, vigilare, proporre, partecipare.
    Diversamente è quasi legittimo pensare che l’interesse non sia reale, che si possa fare di noi tutto ciò che si vuole. Le giovani generazioni, si dice e si sente dire, sono disilluse, lontane dalla politica (istituzionale e non). Come potrebbe essere diversamente? Si può rimediare proponendo alternative. Esprimersi e sentire di poter autenticamente cambiare lo stato delle cose è un possibile rimedio, politico e culturale. Passo passo. Le giovani generazioni non sono vuote o sciocche, se mai sono sotto shock, comprensibilmente. Gli strumenti ci sono, adoperiamoli e invitiamo tutte e tutti ad adoperarli.
    Per firmare l’appello l’indirizzo è:
    http://firmiamo.it//mai-piu-senza-scegliere—primarie-ovunque#petition 

    (Valentina Genta – Rete delle donne per la rivoluzione gentile)

  • CARTOLINE DI OLI: “Se non ora quando” spiega la corsa sui tacchi

    Ci è stato segnalato che alcune persone hanno cercato di commentare la Cartolina di Oli DONNE: “Se non ora quando” inciampa nei tacchi , ma il sistema non ha permesso di inserire i post.
    Ci scusiamo per il disguido invitando tutti/e coloro desiderosi di farlo ad inviare i propri commenti all’indirizzo olinews1@gmail.com Sarà nostra cura provvedere ad inserirli.
    Di seguito trovate il comunicato stampa di Se non ora quando che spiega le ragioni dell’iniziativa.
    (La Redazione)

  • LE CARTOLINE 2012 – DONNE – “Se non ora quando” inciampa nei tacchi

    Nel book shop della Pinakothek der Moderne di Monaco si può acquistare al costo di Euro 6,90 il telecomando Control a woman – falle fare quello che vuoi.
    L’oggetto – rigorosamente Made in China – è un giochino in plastica e, come accennava la responsabile del negozio, si tratta di un “simpatico scherzo”.
    Sulla confezione è spiegato che funziona solo con “energia positiva” e “speranza” e non sono necessarie batterie. I tasti indicano la possibilità di soddisfare un ventaglio di desideri. La funzione give me (dammi) offre nell’ordine; birra, sesso, cibo. Altri pulsanti la possono far gemere o piagnucolare.

    Al centro le funzioni base offrono diverse opzioni: togliere i vestiti, dire si, dire no, cucinare, dimenticare, perdonare. Naturalmente la donna può essere spenta con il tasto off e le si può ordinare di calmarsi o di spicciarsi con i tasti pause o play.
    Nell’intenzione di chi lo regala probabilmente si profila la seguente scena: un uomo che lo punta ridendo contro la sua compagna quando è noiosa, stanca o poco incline ai compiti per i quali è stata “creata”. L’impiegata del book shop ha ammesso che non le risultava che il finto telecomando fosse opera di un artista ma che fosse stato scelto solo perché “divertente”.
    Mi è parso singolare trovare in vendita, in uno dei più importanti musei tedeschi, accanto ad un catalogo di Matisse, il telecomando Control a Woman.

    Molte donne genovesi, aderenti o simpatizzanti del comitato Se non ora quando, avranno ricevuto o riceveranno nei prossimi giorni l’invito a partecipare ad una simpatica iniziativa, la “1° Caruggintacchi – 60 m di sprint su tacco a spillo, dedicata alla donne”.

    Anche in questo caso si tratta di una “divertente” corsa a numero chiuso rivolta a 150 donne che si terrà a Genova il 29 settembre. Sul volantino è indicata altezza e larghezza minima del tacco necessaria per partecipare alla gara. Non sappiamo se sono previsti incontri di allenamento. Ma di certo la risata è garantita – anche le fratture? – soprattutto con i trampoli disponibili oggi sul mercato. La tassa di iscrizione di 5 euro verrà interamente devoluta al movimento Se non ora quando. L’iniziativa è parte di un più articolato programma dedicato alla corsa rivolto a famiglie e bambini. Ma non risulta che agli uomini venga richiesto di correre con la ventiquattrore in equilibrio sulla testa, un martello tra i denti o con degli zoccoli olandesi ai piedi.
    Mi è parso singolare che un comitato che ha come “mission” la difesa e la valorizzazione delle donne contribuisca a favorirne l’immagine grottesca, goffa, ridicola ispirandosi proprio a quell’immaginario rispetto al quale, in passato, sembrava voler produrre un pensiero più articolato.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 347: LETTERE – Anche la malattia discrimina

    Negli ultimi tempi, ammettiamolo, la mia salute non è stata un granchè: sono stata operata due volte in poco più di un mese, sempre con metodologie a bassa invasività ma, insomma, mi sono beccata due anestesie totali in meno di 40 giorni. La seconda operazione, in particolare, è stata abbastanza impegnativa e il decorso post operatorio alquanto doloroso. Sono stata dimessa due giorni dopo l’operazione e attualmente sono ospite a casa di mia madre, che, nonostante non sia più giovane e a sua volta piena di acciacchi, è ben contenta di potersi occupare di me, aiutata da mia sorella, un’infermiera ad alta professionalità che mi sorveglia con occhio d’aquila con la collaborazione di altri amici e parenti. Tutta l’organizzazione funziona anche perché, a parte un gatto viziato, non ho altre responsabilità familiari. Mi domando, però, cosa sarebbe successo se, appunto, non avessi potuto contare su una rete di relazioni personali così ricca. Mi domando come avrei potuto cavarmela se fossi stata anziana e sola, oppure se fossi stata una donna giovane con figli che dipendevano da me. Sarei riuscita a stare a riposo completo (che, lo garantisco, è necessario!) se le urgenze della vita familiare fossero state lì, sotto i miei occhi? Anche la malattia discrimina per genere: se una donna sta a casa, malata o sana che sia, ci si aspetta che comunque si prenda cura degli altri e sembra quasi innaturale che qualcuno si prenda cura di lei. Anche in questi casi si misura, dunque, come le donne paghino sempre il doppio per il peso del lavoro di cura che in larga misura sostengono: pagano in termini di maggiore fatica, ma anche di minore assistenza, perché, se, come giusto, l’ospedale deve essere il luogo degli interventi su malattie acute, allora è sulle famiglie e quindi sulle donne che ricade interamente il peso dell’assistenza post acuta. Accorciare i tempi di degenza, aumentare la produttività degli ospedali è senz’altro buona politica, ma fa male alle donne se non si accompagna al trasferimento di risorse sul territorio per organizzare una rete credibile di servizi rivolti alle fasi post acute della malattia. Guardare il mondo con occhi di donna vuol dire anche questo.
    (Paola Repetto – Disegno di Guido Rosato)

  • OLI 337: SOCIETA’ – 8 marzo, maschilismo italiano

    Il 9 marzo le donne della CGIL di Genova hanno organizzato un’interessante iniziativa in occasione della giornata della donna dove è stata proiettata la piece “libere” di Cristina Comencini ed è stato distribuito del materiale informativo tra il quale un opuscolo contenente le tappe storiche delle conquiste dei diritti da parte delle donne italiane, dal 1900 ad oggi. Nel 1902 si introduce, ad esempio, la prima forma del “congedo di maternità”, nel 1946 il diritto al voto e nel 2009 la legge anti stalking (atti persecutori).
    Nel documento non c’erano due tappe fondamentali nel cammino per i diritti delle donne italiane: la prima é del 1975, quando le donne italiane conquistano il diritto di mantenere la propria cittadinanza italiana sposando un cittadino straniero, grazie alla sentenza n.87/75 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di una precedente norma che prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna. La seconda è del 1983 quando le donne italiane conquistano il diritto di trasmettere la cittadinanza italiana ai propri figli di padre straniero, grazie alla sentenza n.30/83 della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittima una norma del 1912 che stabiliva la condizione di cittadino solo per i nati da padre italiano.
    Fino al 1975 la donna italiana perdeva la propria cittadinanza italiana quando sposava un cittadino straniero e fino a 29 anni fa (1983) i figli di una donna italiana coniugata con un cittadino straniero erano come gli immigrati e dovevano chiedere il rilascio del permesso di soggiorno. Sono due esempi lampanti sul maschilismo della società italiana e su quanto occorre lottare ancora per raggiungere condizioni di pari opportunità. Ciononostante, molti italiani ed, ahimè, italiane preferiscono occuparsi del maschilismo di altri popoli e religioni e non si accorgono delle disuguaglianze, delle disparità e delle violenze che subiscono le donne italiane. Ed in molti casi questo interesse verso il maschilismo di altri popoli è finalizzato a giustificare ed a diffondere stereotipi, xenofobia e discriminazioni nei confronti degli uomini e delle donne che appartengono a quei popoli che vivono in Italia.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 335: ELEZIONI – Il tarlo del dubbio

    L’appuntamento organizzato per l’8 marzo dalle donne di Snoq (Se Non Ora Quando) ha avuto pieno successo di partecipazione, e a Palazzo Ducale si è dovuta sostituire in gran fretta la piccola “Sala Camino” con i più vasti spazi del “Munizioniere”.
    Le organizzatrici intendevano garantire l’interazione più ampia possibile tra pubblico e candidati, ma qui c’è stato invece un serio inciampo. Con un sorteggio casuale le e gli aspiranti sindaco sono stati suddivisi in quattro gruppi di discussione, centrati su quattro diversi argomenti: rappresentanza delle donne nei luoghi decisionali; il lavoro e i lavori; la città a nostra misura; pubblicità, stereotipi e violenza. Da parte sua il pubblico si è distribuito qua e là sulla base delle proprie ‘affinità elettive’, ma anziché un maggiore approfondimento, si è avuta una frammentazione del tutto casuale del confronto.

    Il tentativo di ricucire il tutto in seduta plenaria tramite ‘riassunti’ delle discussioni in gruppo è stato confuso e dispersivo, e sono iniziati gli abbandoni della sala.
    Quando il microfono è tornato nelle mani del pubblico nuovamente riunito, il dibattito ha ripreso vita, ma la gestione troppo rigida dell’interazione col pubblico ha limitato il confronto.
    A peggiorare la situazione per chi non avesse conquistato le prime file, un’acustica punitiva aggravata dal brusio di persone distratte.
    Il tema che ha avuto più spazio anche nel dibattito plenario è stato quello della rappresentanza delle donne nei luoghi decisionali: fino a che punto candidate e candidati intendono impegnarsi su questo punto? Come pensano di riuscirci?
    Stando al Corriere Mercantile del 9 marzo questo è stato un tema di divisione: “Le quote rosa dividono i candidati”. Stando al Secolo XIX invece “Nessuno si è sbilanciato”. La Repubblica, più appropriatamente, osserva che c’è stato un consenso diffuso sull’obiettivo di una pari rappresentanza politica delle donne, e di una loro maggiore presenza nelle aziende partecipate. Solo Giuliana Sanguineti (Partito Comunista dei Lavoratori), e Si Mohamed Kaabour (lista civica ‘Fratelli e fratellastri’ promossa da cittadini italiani di origine straniera), vi hanno anteposto, rispettivamente, l’accesso paritario al lavoro e la diffusione di una cultura del rispetto tra le nuove generazioni.
    Certo, avendo dato forfait sia Vinai che Rixi mancava la destra più a destra.

    Inoltre tra i presenti le diversità di accento erano sensibili: Musso si è limitato a parlare di utilità pro – tempore di “quote” di donne, mentre Doria ha colto il punto politico di una presenza che “Può introdurre un punto di vista diverso rispetto a quelli dominanti”, e Putti (Movimento 5 stelle) ha affermato che “C’è bisogno delle donne per realizzare la nostra visione di città”.
    Meglio soprassedere sui deliri filosofici di Siri e sulla patetica scenetta familiare di Giuseppe Viscardi.
    Tuttavia questa diffusa adesione degli uomini ad un obiettivo potenzialmente destabilizzante mi lascia nel dubbio: non è che, al fondo, consapevole o no, ci sia la convinzione di poter comunque continuare ad interpretare la realtà secondo i propri modelli?
    Le donne discutono da un’infinità di tempo su quanto il loro ingresso nei luoghi del potere possa riuscire a modificarne i meccanismi, o su quanto invece siano loro a modificare se stesse, adottando metodi e riti maschili.
    Per far pendere la bilancia verso un vero cambiamento i numeri sono importanti solo se sono tanto grandi da essere a loro volta destabilizzanti: almeno il 50%, certo, ma anche il 50% non basta.
    (Paola Pierantonifoto di Giovanna Profumo)