Categoria: Ferdinando Bonora

  • OLI 415: CITTA’ – Come se si stesse su un vulcano


    Due rappresentazioni a confronto dello stesso territorio, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a 210 anni di distanza l’una dall’altra. Le avevamo già pubblicate dopo l’alluvione del 4 novembre 2011 (OLI 319), senz’altro commento che la didascalia: 
    Sopra: 
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare). 
    Sotto: 
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    Le ripubblichiamo ora tali e quali, aggiungendo stavolta alcune riflessioni.
    Dopo tre anni la replica dello spettacolo è andata in scena quasi identica, ma più intensa e straziante, il 9 ottobre 2014. Solo l’orario della rappresentazione è cambiato: se fosse rimasto lo stesso, invece che a notte fonda, il numero delle vittime sarebbe stato ben maggiore dell’unico sventurato travolto dalla piena.
    Di sicuro ci sono responsabilità degli amministratori locali – Comune e Regione – che non hanno diramato per tempo l’allerta fidandosi più di uno sballato modello previsionale che non dei loro occhi, che non potevano non vedere quant’acqua stesse precipitando da ore dal cielo.
    Ma il preavviso non avrebbe comunque fermato la furia dei torrenti: i negozi, i laboratori, le cantine, i magazzini e gli altri locali a pianterreno o seminterrati sarebbero stati in ogni caso allagati.
    Se – altra grave mancanza di chi gestisce il territorio – si fossero mantenuti gli alvei perfettamente puliti, sgombri da alberi, arbusti e cespugli che son pittoreschi a vedersi quando è bel tempo e ospitano animali selvatici, ma riducono di molto la portata nei momenti di piena, probabilmente si sarebbe ridotto il danno, però quasi certamente non si sarebbe evitato lo straripamento, data l’entità delle precipitazioni in relazione allo stato di un territorio ormai irreparabilmente compromesso da un secolo e mezzo di urbanizzazione sempre più intensa e irrispettosa di un ambiente che da sempre è soggetto per sua natura a periodiche inondazioni.

    Luigi Garibbo dis. e inc., Veduta del Ponte della Pila sul Bisagno presso alle mura di Genova,
    poco dopo il suo diroccamento per la gran piena de’ 26 Ottobre del 1822.

    Ben lo sapevano i nostri antichi, che nel medioevo costruirono il lunghissimo ponte di Sant’Agata (le poche arcate superstiti nel greto del Bisagno non sono che una minima parte delle originarie 28 che si estendevano da Borgo Incrociati fino alla chiesa di Sant’Agata, presso piazza Giusti) per garantire la continuità del transito anche nei momenti di piena.
    Lo stesso fecero gli ingegneri sabaudi che nei primi decenni del XIX secolo realizzarono la nuova carrozzabile verso la Toscana, il cui primo tratto (via Minerva, oggi corso Buenos Aires) correva su un terrapieno sopraelevato di alcuni metri sul piano di campagna, in previsione delle rare ma sempre in agguato alluvioni che, allora come oggi, interessavano la piana estesa tra le odierne piazza Tommaseo e vie Galata e Cesarea. La strada fu abbassata solo con l’attuazione del piano regolatore del 1877, col quale, dopo l’annessione a Genova di sei comuni a levante del Bisagno nel 1873/’74, si disposero case dove prima erano orti.
    Poco male se un tempo finivano sott’acqua per qualche ora campi coltivati e pochi edifici rurali sparsi qua e là.
    Assai peggio è quanto avviene oggi e continuerà sicuramente ad accadere in futuro, senza rimedio, dato l’assetto assunto da questa porzione di città di cui, in modo assai poco lungimirante se non addirittura colpevole, si è consentito nei decenni lo sviluppo in tale area critica.
    L’asfalto e le costruzioni hanno ricoperto le pendici delle colline impermeabilizzandole e obbligando la pioggia a correre in basso invece di essere parzialmente assorbita dal terreno, specie grazie alla speculazione edilizia dal secondo dopoguerra fino ad oggi, considerando pure i numerosi parcheggi interrati in gran voga negli ultimi anni. I corsi d’acqua nei fondovalle sono stati ridotti d’ampiezza e in parte nascosti sotto strade sicuramente funzionali e anche belle, come il viale Brigata Bisagno e Brigate Partigiane, ma esiziali nei momenti di piena: è ben noto come la portata di un fiume o torrente coperto si riduca di colpo in maniera considerevole nel momento in cui il pelo dell’acqua tocca la sommità del condotto, con conseguente esondazione.
    Questo video impressionante, girato da una finestra dirimpetto e con drammatiche voci fuori campo, realizzato e pubblicato su Facebook da Maria Principalli, documenta quanto successo l’altra notte col Fereggiano:

    Chi risiede o lavora in queste zone deve purtroppo prendere atto di tale amara realtà, elaborare la consapevolezza che dopo periodi più o meno lunghi di quiete il dramma si ripresenta inesorabile, abituarsi a convivere con questo pensiero, agire di conseguenza. 

    Nell’ultimo mezzo secolo la cadenza era all’incirca ventennale: 1953, 1970, 1992, 2011 (per limitarsi al bacino del Bisagno, senza parlare di altre zone altrettanto a rischio con tempi diversi). Ora dopo appena tre anni ci risiamo, complici i rivolgimenti climatici in atto a livello planetario. Non possiamo sapere quando sarà la prossima.
    È come stare sulle pendici del Vesuvio, di cui con beata incoscienza molti godono il magnifico ambiente e lo splendido panorama, pur sapendo con fatalistica rassegnazione che prima o poi il vulcano si risveglierà e allora sarà la fine per la miriade di case che ospitano circa 600.000 abitanti, che si spera riescano a mettersi tutti in salvo coi piani di evacuazione da tempo predisposti. Ma laggiù accadrà una volta soltanto, qui invece chissà quante volte ancora, con l’acqua al posto del fuoco.
    Occorre partire da questa considerazione, con realismo
    Di sicuro si deve cominciare col perseguire almeno la riduzione del danno, curando la costante manutenzione e pulizia dei greti e monitorando di continuo l’efficienza dei tombini, investendo risorse economiche innanzitutto in queste azioni minute e assai poco d’immagine, ma utili per la collettività, piuttosto che in grandi opere visionarie.
    Se i soldi non bastassero, si possono sempre coinvolgere i cosiddetti  “angeli del fango” e nuovi volontari, in ricorrenti giornate di faticosa ma gratificante festa tutti insieme non a spalare fango, ma a prevenirlo periodicamente sotto il coordinamento organizzativo dei municipi. O avvalersi – se mai sarà avviato – del  nuovo Servizio civile obbligatorio per tutti, come lo era il vecchio servizio miliate di leva, di cui si sta cominciando a parlare a livello nazionale.
    Assai più impegnativo, ma indispensabile, è il completamento dello scolmatore del torrente Fereggiano e di altri rivi, per condurli a sfociare direttamente in mare attraverso una galleria solo in piccola parte scavata e poi interrotta per intricate vicende burocratiche e giudiziarie.
    Ma poiché, come probabile, nonostante queste azioni gli eventi potranno comunque ripetersi, sia pur – si spera – con minore intensità e frequenza, è opportuno che si stabiliscano norme di comportamento per tali occasioni, da diffondere capillarmente tra la cittadinanza coinvolta affinché le faccia proprie, a partire dall’infanzia, stimolando anche la capacità di autonoma valutazione del rischio senza attendere i comunicati ufficiali. Qualcosa si era cominciato a proporre, anche con manifesti disegnati dalle scuole, ma molto resta ancora da fare.
    Rimane il problema delle attività al pianterreno, già duramente provate nel 2011 e ora di nuovo ferite in modo gravissimo, con la prospettiva di esserlo ancora non si sa quando e quante volte. Altrettanto vale per i mezzi di trasporto privati, posteggiati ovunque nelle aree inondabili.
    Quali soluzioni si potrebbero escogitare, che siano davvero praticabili e non fantascientifiche?
    Sarebbe utile oppure no scoperchiare il Bisagno nel tratto terminale fino alla Foce, come alcuni sostengono, demolendo la copertura realizzata ottant’anni fa, rifatta con gran dispendio da poco ma soltanto a metà (alta incompiuta, per un’incredibile alluvione di ricorsi in un contesto dove l’accusa di tangenti è stata tangibile)? Ce la sentiremmo di annullare un’arteria di grande traffico, vanificare quanto già speso e alterare radicalmente un compiuto e valido contesto urbano degli anni Trenta?
    Questi ed altri interrogativi possono essere materia di elaborazione per architetti, urbanisti e pubblici amministratori in diretto e costante confronto con i cittadini, con l’obiettivo di risolvere problemi vitali prima di abbandonarsi a sogni fantasmagorici e redditizi per pochi.
    Il dibattito è aperto.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 414 – POLITICA: Sentinelle al riso

    Questa volta le sentinelle non sono state lasciate sole, silenziosamente in piedi a testimoniare domenica scorsa la Verità e i Valori non negoziabili in cui credono, a difendere la libertà di espressione che la proposta di legge avanzata da Ivan Scalfarotto e molti altri deputati tenderebbe subdolamente a minare (anche se a leggerne e rileggerne il testo questo non pare proprio, in quanto si limita a estendere anche a chi commette o incita a commettere atti di discriminazione o violenza motivati dall’identità sessuale della vittima le stesse pene già previste dalla legge Mancino-Reale del 1975, per chi compie analoghi atti per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi) e a difendere la famiglia tradizionale composta da marito, moglie, figli e talvolta uno o più amanti segreti non di rado del proprio sesso (ma l’importante è che non si sappia, nella squisita ipocrisia del “si non caste, tamen caute” non più riservato ai pastori ma a tutto il gregge), come ha notato anche Massimo Gramellini su La Stampa, commentando la direttiva del ministro degli interni Alfano ai prefetti per imporre ai sindaci che hanno istituito registri delle unioni civili celebrate all’estero di annullarli.
    Il tutto in non casuale concomitanza col concistoro e sinodo indetti da papa Bergoglio per discutere sul tema della famiglia.
    Questa volta le Sentinelle in Piedi “apartitiche e aconfessionali” erano accompagnate nelle loro esibizioni in molte piazze italiane da manifestazioni di segno contrario, nelle quali il netto dissenso verso chi rifiuta la variegata articolazione della realtà e vorrebbe continuare a imporre a tutti un unico modo di pensare e agire, con un rigore violentemente assolutista camuffato da mitezza, si è espresso in forme diverse. Si va dalle reazioni estreme di frange giovanili che non sortiscono altro effetto che fomentare il vittimismo di cui le sentinelle sono maestre, ben evidente – com’era prevedibile – nei resoconti della stampa di parte, fino ad azioni assai più incisive e condivisibili dove prevalgono l’ironia e lo sberleffo, che ridimensionano e coprono di ridicolo le pretese di questi paladini in piedi.

    A Genova, in piazza De Ferrari, le sentinelle si son trovate in compagnia di un folto gruppo di uomini e donne, sia di associazioni per la difesa dei diritti delle persone omosessuali e transgender, sia semplicemente in disaccordo con quanto propugnato dai manifestanti in piedi. Uno striscione che affermava il diritto a varie forme di famiglia era tenuto teso in un’arcata del Palazzo della Regione, mentre accanto si ascoltavano in cerchio le testimonianze non silenziose di chi desiderava condividere riflessioni sulla propria condizione ed esperienza. Tra la folla, a piccoli capannelli si tentava con scarso risultato di confrontarsi civilmente tra contestatori e portavoce delle sentinelle, in un dialogo impossibile tra visioni antitetiche del mondo, nel quale si rispecchiava in piccolo la contrapposizione tra Italia confessionale e Italia laica che è uno dei nodi fondamentali del malessere che stiamo vivendo, anche se di certo non l’unico, sul quale varrebbe la pena ritornare a ragionare in altre occasioni. Qualche esagerazione ogni tanto, con schiamazzi più o meno allegri e accensione di candelotti fumogeni, con l’unico risultato di rafforzare il vittimismo di cui sopra; ma ci potevano anche stare: è il gioco delle parti… 

    In altre città si è giocato in modo diverso. A Milano, ad esempio, le sentinelle che s‘erano date appuntamento in piazza XXV Aprile davanti alla Porta Garibaldi si son trovate un bel numero di festosi manifestanti che le sfottevano esibendo cartelli con surreali pretese altrettanto assurde, tra girotondi e chiassosi saltelli.

    Il capolavoro l’ha però messo in scena Giampietro Belotti, il trentenne che in piazza Sant’Anna a Bergamo, approfittando di un posto lasciato libero nella loro ordinata disposizione, si è intrufolato da solo tra le sentinelle come sentinella a leggere il Mein Kampf mascherato con una divisa nazista, con ai piedi un cartello recitante “I Nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”, chiaro riferimento al film The Blues Brothers di John Landis (1980). Ma il colpo di genio è stato il bracciale recante non la svastica della Germania di Adolf Hitler, bensì la doppia X della Tomania di Adenoid Hynkel, altra citazione cinefila da Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) di Chaplin.
    Dopo poco è stato allontanato dalla Digos e correva voce – poi rientrata – che la magistratura stesse valutando un’eventuale incriminazione per apologia del fascismo e/o del nazismo. Se così fosse stato, povera Italia!

    (foto Corriere della Sera)
    Non resta che richiamare alla mente e tener viva la frase sempre valida, dagli anarchici di fine ‘800 alle contestazioni del ’68, fino ad oggi: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà”.
    (Ferdinando Bonora – foto dell’autore, dove non diversamente specificato)
  • OLI 413 – PAROLE DEGLI OCCHI: Fuori servizio

    (foto di Ferdinando Bonora)
    Stazione di Genova Sturla, settembre 2014. Crisi pantoclastica di un viaggiatore (pardon, “cliente”) esasperato per la biglietteria automatica troppo spesso fuori uso. Quasi certamente è lo stesso che ha preso a sassate anche il videoschermo degli annunci.

  • OLI 412: PAROLE DEGLI OCCHI – Roma di notte

    (Foto di Ferdinando Bonora)
    Roma, 26 agosto 2014, ore 3.13
  • OLI 410: PAROLE DEGLI OCCHI – L’attaccapanni

    (Foto di Ferdinando Bonora)
    Genova, Palazzo Ducale: mercatino di antiquariato, sabato 5 luglio 2014.
  • OLI 410: TRASPORTI – Amt, disservizi in rete

    “Amt si scusa con la propria clientela per i disservizi relativi alla errata visualizzazione dei transiti bus sulle paline elettroniche presenti sulla rete e alla difficoltà di consultazione degli orari attraverso i sistemi di infomobilità (Infobus sms, infobus web e app). Si tratta di problemi dell´operatore telefonico che gestisce la connessione dati, il quale ha in corso le attività per il ripristino completo del sistema. Provvederemo a informare la clientela sull´evoluzione delle attività.”
    Questo comunicato stampa è stato pubblicato sul sito aziendale il 23 maggio scorso.
    In effetti da parecchi mesi erano sempre più frequenti i casi di paline elettroniche fuori uso (con soltanto la data, l’ora e la scritta fissa “SISTEMA S.I.MON.”, senz’altre indicazioni) e, quel che è peggio, non tanto di difficoltà di consultazione tramite telefonini, smart phone e quant’altro, come è scritto, quanto di vere e proprie informazioni errate e fuorvianti sui tempi di attesa dei mezzi alle fermate.
    Capita ormai sovente di ricevere avvisi circa arrivi dopo 25 minuti e oltre e di decidere irritati e infastiditi di avviarsi a piedi, o di raggiungere un’altra linea se si è in un incrocio con più transiti su diverse direttrici, quando poco dopo si vede sfrecciare l’autobus che si aspettava, senza poterlo ovviamente prendere.
    Le proteste degli utenti devono essere state molte e vibranti, se l’azienda è giunta a emettere tale nota sul servizio infobus, che sarebbe di grande aiuto se funzionasse davvero (ne avevamo parlato quando entrò in funzione, OLI 284), ma che in questi termini produce più disagi che altro.
    Conversando con alcuni autisti, pare che i problemi non siano del gestore del servizio ma dell’Amt che da tempo ha difficoltà a mantenere gli impegni assunti con l’operatore esterno e soprattutto a garantire i necessari aggiornamenti tecnologici, col risultato che la manutenzione di un apparato tanto complesso e delicato è ridotta al minimo e son sempre di più le vetture che non vengono “agganciate” e monitorate dall’impianto, risultando pertanto inesistenti quando sono invece in regolare servizio.
    Da qualche giorno sembrerebbe che diverse paline abbiano ripreso a funzionare e i tempi di attesa trasmessi in internet comincino a essere più attendibili, ma non ancora come dovrebbero. Sui comunicati dell’azienda a tutt’oggi non risultano però informazioni in merito, come era stato preannunciato.
    Anche se l’inconveniente fosse in corso di risoluzione, resta il fatto che ciò che è accaduto mostra la fragilità di sistemi che offrono servizi utili ma non indispensabili, ai quali ci si abitua però così presto (altro caso è la climatizzazione a bordo, spesso fuori uso) che risulta ormai insopportabile ogni loro disfunzione.
    Ben più grave è quando i mezzi si incendiano o perdono gasolio a fontana dal motore, per non parlare dei sempre più diffusi guasti, più o meno seri, che impediscono ai bus di continuare a fornire il loro servizio base, che è trasportare passeggeri per la città possibilmente in modo confortevole, con tutti i disagi che ne conseguono.
    Gli stessi autisti, esasperati per le condizioni in cui son costretti a lavorare, lamentano una gestione secondo loro incompetente, con gravi riserve e un crescente malcontento da un lato verso una dirigenza ritenuta inefficiente se non dannosa, dall’altro nei confronti delle scelte politiche a monte, che nell’arco di diversi cicli amministrativi hanno condotto alla situazione attuale, anche per l’esternalizzazione e privatizzazione di attività manutentive essenziali condotte senza la dovuta cura, mirando al massimo profitto col minimo impegno. Ad esempio, il controllo e il rabbocco quotidiano del liquido di raffreddamento nei motori affidato ad una ditta che si dice non lo svolga come dovrebbe, col risultato di frequenti surriscaldamenti e blocco delle vetture.
    In questo sconfortante quadro di insieme, tragica voragine di spesa che inghiotte considerevoli risorse pubbliche sottratte ad altri servizi altrettanto necessari, sarebbe non soltanto opportuno, ma doveroso nei confronti dei cittadini avviare una comunicazione continuativa, trasparente, dettagliata ed esauriente su quali sono le reali condizioni e prospettive di Amt, magari anche con un confronto tra i diversi punti di vista dei pubblici amministratori, dei dirigenti e dei dipendenti, per consentire a ciascuno di formarsi una opinione e partecipare a un dibattito che interessa tutti, con una consapevolezza fondata su dati oggettivi e non sui “si dice” o su generiche rimostranze qualunquiste da utenti furibondi.
    (Ferdinando Bonora – foto dell’autore)

  • OLI 350: CULTURA – TERRA DI FATE

    Quasi sulla vetta della Collina di Castello, dove venticinque secoli fa nacque Genova, nel medioevo la famiglia Embriaci eresse torri e case fortificate, trasformate a metà Quattrocento nel monastero di Santa Maria delle Grazie la Nuova, ridotto nell’Ottocento a usi civili, tra cui un teatro nella chiesa preziosa di affreschi barocchi, la quale oggi – ben restaurata dopo decenni di degrado – ospita la cosiddetta “Casa Paganini”, sede di InfoMus, centro di ricerca internazionale di incontro tra ricerca scientifica e tecnologica e ricerca e produzione artistica e culturale, a cui partecipano l’Ateneo genovese, Regione Liguria, Provincia e Comune di Genova.

     Il 15 giugno scorso vi è stata presentata TERRA DI FATE, un’affascinante creazione di Attilio Caffarena – regista, attore, studioso che da diversi anni svolge intensa attività nel campo del teatro, delle arti visive e della performance, in riferimento e in contatto con alcuni tra i massimi rappresentanti del teatro contemporaneo, quali Jerzy Grotowski, Heiner Müller, Robert Wilson, Gerhard Bohner – prodotta nell’ambito della 18ª edizione del Festival Internazionale di Poesia.
    TERRA DI FATE si basa su una poesia di Edgar Allan Poe, Fayryland, del 1829, bruciata dal primo editore al quale fu sottoposta in quanto giudicata un nonsenso, poi pubblicata sulla Yankee and Boston Literary Gazette e definita uno “squisito nonsenso” che evidenziava la capacità di Poe di creare un linguaggio e una dimensione poetica di altissimo livello.
    La rappresentazione è stata la prima fase di PROJECTPOE, un più ampio progetto dello stesso Caffarena sulla sinergia tra forme espressive e linguaggi differenti. L’opera di Poe è parsa territorio adatto per una ricerca che si propone di integrare in un evento performativo linguaggi diversi, in quanto è stata spesso punto di riferimento in molteplici ambiti, da quello della letteratura a quello delle arti visive, alla musica, al cinema.
    La realizzazione di TERRA DI FATE ha avuto alla base una sperimentazione che ha integrato musica, teatro, arti visive, con un’analisi del coivolgimento del pubblico verso una dimensione scenica aperta a prospettive e paradigmi che non sono quelli consueti. La scelta del testo poetico di Poe per una sperimentazione performativa nei termini indicati è motivata non solo dal fatto che esso si configura come struttura ritmica e sonora, ma anche che vi si rileva una semantica del vedere e dell’ascolto nello spazio e nel tempo, in senso fisico.

    Il risultato per gli spettatori è di un notevole, spiazzante coinvolgimento emotivo, di raffinata intensità.
    Il testo viene letto da un performer, inizialmente nel modo in cui, consuetamente, un attore leggerebbe una poesia di fronte a un pubblico che ascolta. Poi, in modo inatteso, questa situazione inizia a trasformarsi: il testo letto dal vivo viene fatto reagire con interventi elaborati in tempo reale la cui natura può essere percepita dal pubblico in maniera a volte anche ambigua o misteriosa, il testo poetico progressivamente esplode, si dissolve in diversi piani e livelli espressivi. L’azione del performer entra in relazione con gli altri elementi, testuali, visivi e sonori, permettendo a chi assiste di partecipare all’evento creativo nel tempo reale di un percepire attivo, all’interno di un dispositivo d’interpretazione aperto su diversi piani. Non ci si trova quindi semplicemente davanti alla rappresentazione scenica di un testo poetico, ma questo si evolve in immagine, a una figura si sovrappone il linguaggio delle parole e della musica. La poesia di Edgar Allan Poe può essere percepita come fatto visivo, figura/paesaggio di parole. Il testo scritto entra quindi a far parte di un’unità definita attraverso una poetica che fa nascere la tensione espressiva dalle relazioni tra elementi diversi: immagini, suono, oggetti e persone, acquistando una nuova valenza drammaturgica, scenica e visiva.
    Ci si augura ora che TERRA DI FATE – prodotto e realizzato grazie alla sinergia creatasi tra realtà di rilevanza internazionale presenti sul territorio quali il Festival Internazionale di Poesia e Casa Paganini-InfoMus di Genova – possa essere riproposto in altre sedi e occasioni, consentendo il godimento di questa inusuale esperienza a un maggior numero di persone rispetto a quelle – peraltro non poche – che ebbero la fortuna di assistervi.

    TERRA DI FATE è stato realizzato con il progetto drammaturgico e la regia di Attilio Caffarena; il progetto visivo e scenografico sono di Riccardo Dapelo e Attilio Caffarena, il progetto sonoro di Giacomo Lepri e Riccardo Dapelo. Il lavoro del performer è stato affidato ad Andrea Nicolini, l’elaborazione Live Audio a Giacomo Lepri e quella Live Video a Riccardo Dapelo.

    Gianfranco Pangrazio ne ha realizzato una documentazione video.
    (Ferdinando Bonora – foto di Giorgio Tagliafico)
  • OLI 350: CITTA’ – Maddalena la bella

    Nel cuore del cuore di Genova si estende la zona della Maddalena, ricchissima di motivi d’interesse storico, ambientale, urbanistico, architettonico, artistico, alla pari del resto della città antica, ma da tempo in condizioni di grave sofferenza.
    Da un lato la crisi e la chiusura di esercizi commerciali, gallerie d’arte e altri luoghi d’incontro, sovente conseguenza di richieste d’affitto esorbitanti da parte di proprietari più sensibili al proprio portafoglio che all’interesse collettivo, dall’altro la presenza di malavita più o meno organizzata legata soprattutto a una diffusa prostituzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti, non riescono però ad aver la meglio sulla volontà degli abitanti – sia d’antica data, sia recenti – di resistere e continuare a risiedervi, godendone il fascino che vi si respira.
    Da alcuni anni la civica amministrazione, d’intesa con soggetti pubblici e privati e con la partecipazione attiva della popolazione, sta promuovendo una serie di iniziative concrete col Patto per lo sviluppo della Maddalena, che vede facilitazioni per l’apertura di nuove botteghe e attività (tra cui In sciä stradda, “Per la strada”, che vende prodotti di Libera e della comunità di don Gallo in locali confiscati a un condannato), il cantiere per la costruzione di un asilo nido al posto di spazi mal frequentati, la realizzazione di laboratori sociali a disposizione di tutti, interventi di ripavimentazione stradale, arredo e segnaletica, organizzazione di eventi, studio di percorsi di visita e di occasioni di conoscenza rivolti in primo luogo ai genovesi, la maggior parte dei quali ignorano la straordinarietà del patrimonio presente in quest’area tagliata fuori dai grandi flussi di traffico pedonale che la circondano.
    Sabato 16 giugno s’è inaugurata la mostra Maddalena la bella, costituita da foto attuali di Giorgio Bergami, ingigantite su teli appesi per tutto il quartiere. Partendo dalla Loggia di Banchi – dov’è in corso fino a tutto luglio Emozioni dal Centro storico, un’altra mostra di immagini dell’intera città antica scattate nei decenni scorsi dallo stesso fotografo, integrata dalla proiezione del suo filmato Genova alla finestra, del 1977, vincitore del Premio Qualità – si è passeggiato per i vicoli e le piazzette alla loro scoperta, alternando spiegazioni e narrazioni con le esibizioni della squadra de I Raccogeiti, provenienti da vari gruppi di Trallallero, la forma di canto polifonico esclusivamente maschile (ma da un po’ di tempo con qualche eccezione) tipica del Genovesato, con i canterini rigorosamente in cerchio.
    Il giro si è concluso nel laboratorio di una coppia di giovani falegnami, all’angolo tra via delle Vigne e vico Lepre, che da poco hanno scelto di investire nella zona – grazie anche alle facilitazioni disponibili – e che hanno offerto un rinfresco a tutti i partecipanti, esponendo anche scorci di altre botteghe nei dintorni, opera dello stesso Bergami che instancabile continuava intanto a fotografare l’intera manifestazione.
    (Ferdinando Bonora – foto di Giorgio Bergami e Maria Deidda)

  • OLI 349: CITTA’ – Artrè chiude

     A fronte dell’apertura nel centro storico genovese di nuove iniziative che scommettono sul futuro nell’ambito del Patto per lo sviluppo della Maddalena, altre attività chiudono i battenti.
    È il caso di Artrè, la galleria d’arte contemporanea aperta nel 2004 in piazza delle Vigne da Bruna Solinas, architetto che affittò una piccola bottega con uno scantinato reso praticabile a sue spese, divenendo con passione e competenza un punto di riferimento per artisti giovani e meno giovani, più o meno affermati, offrendo loro la possibilità di esporre le proprie opere in una delle più belle piazze della città vecchia, abbandonata da tempo al degrado e che solo ultimamente sta ritrovando condizioni di vita accettabili. Ma molto resta ancora da fare, per completare quel recupero avviato nel 1994 con la costituzione dell’Associazione piazza delle Vigne fra abitanti e proprietari e il conseguente programma organico di intervento, in un’epoca in cui il degrado fisico e sociale era ai massimi livelli.(*)

    Merita di essere ricordata la clamorosa protesta della compianta Enrica Percoco, che esasperata dall’insolente spaccio di stupefacenti che avveniva a tutte le ore davanti alla sua profumeria – nello stesso locale che sarebbe stato poi occupato da Artrè – intraprese nel luglio 1993 uno sciopero della fame che da un lato innescò una forte coesione tra i residenti, i quali a turno l’assistevano giorno e notte, seduta su una sdraio in piazza, e dall’altro ottenne alla fine lo stazionamento permanente di un’autovettura della polizia. Presidio indubbiamente utile, ma ben poco risolutivo se non si fosse poi giunti all’apertura di nuovi richiami per una frequentazione “sana” – come il caffè e il ristorante coi tavolini all’aperto, nonché la stessa galleria Artrè – e ai restauri delle facciate condotti dai proprietari, in parte favoriti da contributi e sgravi fiscali quando nel 2004 Genova fu capitale europea della cultura.
    Ora però Bruna Solinas – determinata a riaprire e proseguire altrove – è stata costretta a chiudere alle Vigne, strozzata dall’esorbitante richiesta per il rinnovo del contratto di affitto, da 500 a 800 euro mensili, da parte di una famiglia che già utilizza da molti anni un proprio ex negozio nello stesso palazzo come autorimessa: una vetrina che potrebbe portare vitalità rimane sempre sbarrata, con tanto di cartello del passo carrabile, aprendosi solo per far entrare e uscire l’auto. Ora un’altra saracinesca s’è chiusa, chissà fino a quando.
    È il libero mercato, Bellezza! e ben poco valgono i desideri e le buone intenzioni di tanti quando prevalgono le ragioni del profitto di pochi.

    (*) Vedi Dalla parte degli abitanti. Il libro delle Vigne. Un progetto di riqualificazione urbana a Genova, a cura di Mariolina Besio, Umberto Allemandi & C., Torino, 1999.
    (Ferdinando Bonora – foto dell’autore e da internet)

  • OLI 347: POLITICA – Guerello bacia l’anello

    Bene ha fatto Marco Doria, neo sindaco di Genova, a non presenziare sabato scorso alla processione del Corpus Domini e, la domenica precedente, al pellegrinaggio del Mondo del Lavoro al Santuario della Guardia, riti cristiani cattolici.
    Meno bene ha fatto Giorgio Guerello, presidente del Consiglio comunale delegato a rappresentare l’intera Città, con tanto di fascia tricolore, a salutare l’arcivescovo baciandogli l’anello.
    Male hanno fatto alcuni sindacalisti e diversi operai di Finmeccanica, Fincantieri, Piaggio e Ilva partecipanti alla processione a rammaricarsi per l’assenza del sindaco alle due manifestazioni e a criticarlo, tirando addirittura in ballo l’“educazione istituzionale”.
    Si continua ad avvertire una grande confusione circa i diversi livelli e àmbiti, civili e religiosi, troppo spesso impropriamente mescolati. Sarebbe opportuno riflettere e giungere a una maggiore chiarezza, nell’interesse generale.
    Processioni e pellegrinaggi sono manifestazioni di fede, che tutti sono tenuti a rispettare, ma alle quali è giusto che partecipino senza esibizionismi solo coloro che condividono il sistema di valori e di verità della Chiesa romana, siano essi operai, figure pubbliche o altri, che in Italia, paese di millenaria presenza cattolica, sono la maggioranza – per convinzione o per consuetudine o per convenienza – ma non sono certo tutti. Sono molti infatti – da sempre e ora ancor di più, con l’arrivo di nuovi cittadini da altri parti del mondo – a credere altrimenti – aderendo ad altre confessioni religiose, o per agnosticismo o ateismo – convinti che quanto proposto dalla Chiesa non corrisponda al vero.
    Diverso è il discorso riguardante un evento come la processione il 24 giugno per san Giovanni, da secoli patrono della città, nella quale questioni di fede si fondono con istanze di identità civica e nella quale tutti possono riconoscersi indipendentemente dalle scelte religiose.
    Un civico amministratore, che in quanto tale rappresenta la totalità dei cittadini e dei loro differenti credi, non può nella sua veste pubblica fare ciò che sarebbe liberissimo di fare in privato, ossia con l’atto simbolico del bacio dell’anello riconoscere la superiore autorità del gerarca di una delle religioni professate sul territorio – sia pur radicata da tempo e numericamente preponderante – e ribadire di conseguenza la supremazia assoluta di tale religione, data per scontata quando non lo è affatto.
    Tale gesto, che non è passato inosservato, ricorda precedenti illustri: dall’ormai remoto genuflettersi a papa Pacelli del presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi nel 1955, al più recente duplice bacio del primo ministro Silvio Berlusconi all’anello piscatorio di papa Ratzinger nel 2008. Ne scaturirono dibattiti comprensibilmente accesi.
    Quanto all’attenzione che il cardinale manifesta per i gravi problemi che affliggono i lavoratori, ben venga! Però la concertazione tra Doria e Bagnasco per affrontare e tentare di risolvere le difficoltà della città non ha bisogno di plateali ostentazioni, ma si sviluppa in incontri privati già avvenuti e che verranno, come ha chiarito lo stesso sindaco nella replica alle critiche mossegli (vedi articolo di Raffaele Niri su la Repubblica, edizione di Genova, 11 giugno 2012, pag. IV).
     (Ferdinando Bonora, foto di Fabio Bussalino per la Repubblica, Genova)