Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 307: G8 / PUNTO G – Genere, globalizzazione e Cgil

    Monica Lanfranco di Marea

    Nella pila di documenti raccolti ai tempi del G8 ritrovo una mia lettera del 7 giugno 2001 alle donne della Segreteria della Cgil genovese. Parlavo della iniziativa “Punto G, genere e globalizzazione”, organizzata un mese prima del G8 di Genova dalla “Marcia mondiale delle donne”, protagonista la rivista Marea. In allegato c’era il materiale preparatorio della conferenza.
    Il tono era quello di una disperata invocazione: “ … Vi chiedo di leggere questo materiale e di pensarci su … si tratta di una occasione di riflessione da non perdersi assolutamente, alla quale aderire, alla quale invitare a partecipare … è ovvio che vi sono diversi gradi di radicalità che emergono dai documenti, ma se così non fosse, che discussione sarebbe? Confrontarsi con pensieri in cui la radicalità della analisi non è ancora del tutto mediata è indispensabile a poter pensare davvero. Poi si potrà mediare sulle azioni …”

    Laura Guidetti di Marea

    L’adesione non ci fu. Fu “permessa” solo la partecipazione individuale, che in assenza di informazione e promozione, fu naturalmene scarsissima. In una lettera del 13 giugno Laura Guidetti, una delle organizzatrici, scrisse: “Avremmo desiderato maggiore attenzione e adesione … un’altra occasione mancata per sperimentare lavoro comune e collaborazione col sindacato”.
    Conservo precisa memoria della mia emozione lacerata tra l’entusiasmo per la ricchezza di pensieri e di esperienze che vedevo espressa in quella sala, e la rabbia per la cecità della organizzazione a cui appartenevo.

    Lidia Menapace e Valentina Genta di Marea

    In uno dei documenti preparatori Lidia Menapace scriveva: “Dovendo di necessità far ricorso al diritto di espressione politica (non militare!) attraverso le manifestazioni, è decisiva la scelta delle forme … dobbiamo constatare che il militare esercita ancora un appello diffuso sul maschile e si diffonde anche tra le donne … dunque i movimenti di lotta cerchino nella loro memoria storica altri simboli, altre forme che siano efficaci e che rendano impossibile la provocazione violenta del potere … “
    Oltre ai temi della mondializzazione le donne mettevano in discussione le forme di lotta che il movimento stava scegliendo: la questione della zona rossa da violare, in modo più o meno simbolico. Cosa sarebbe potuto nascere da un incontro, da una alleanza, tra il sindacato e il movimento femminista? Magari si sarebbe potuto capire quale poteva essere, in quella occasione, la “mossa del cavallo” esaltata da Vittorio Foa come strategia alternativa allo scontro diretto, capace di spiazzare l’avversario.

    Susanna Camusso

    Oggi, a dieci anni di distanza, un convegno internazionale (*) organizzato dalle donne di Marea (**) e aperto agli uomini, ha fatto riempire la grande sala dell’Aula magna di S. Salvatore. Stesso titolo di dieci anni fa ma nessun “amarcord”, nessuna rievocazione, solo un guardare all’oggi e al futuro. Che immenso sollievo, che senso di speranza!
    E stavolta per la Cgil c’era la massima carica: Susanna Camusso, segretaria generale, donna, e protagonista del movimento delle donne nel sindacato.
    Al traino, una minuscola rappresentanza del “gruppo dirigente” della Cgil genovese.
    (*) http://puntoggenova2011.wordpress.com/
    (**) http://www.mareaonline.it/
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 307: G8 / PUNTO G – Il femminismo secondo Marta Vincenzi

    Poche ore dopo la conclusione del convegno internazionale “Punto G – Genere e globalizzazione” ricevo due mail relative all’intervento di Marta Vincenzi.
    Provengono da due donne, divise da almeno trenta anni di età ma unite da livello culturale, capacità di pensiero ed una grande competenza e attenzione sui temi del femminismo e del rapporto tra donne e lavoro.

    La prima si dice “sgomenta” per quello che ha detto Marta Vincenzi. Le è rimasta impressa l’affermazione che sui temi del lavoro non è esistito un vero e proprio movimento autonomo delle donne, e che è ora che le donne comincino a darsi da fare per cambiare il mondo. Per fortuna Susanna Camusso nel suo intervento ha fatto notare che “le donne hanno sempre preso in mano la propria vita, anche lavorativa, al traino di nessuno, anzi, anticipando lotte e conquiste maschili … per esempio la giornata lavorativa di otto ore è stata conquistata dalle operaie tessili e dalle mondine, ben prima che dalle lotte dei metalmeccanici … interessante interesse delle donne per la vita oltre il tempo di lavoro!”
    Peccato però che lei, la sindaco, se ne fosse ormai andata.
    La mia amica aggiunge di non essere riuscita a prendere appunti, per cui nel ricordo ci può essere qualche inesattezza.

    L’altra amica gli appunti invece li ha presi, e precisa: “Marta Vincenzi non ha parlato del femminismo in generale, ma dell’impegno femminista rispetto alle tematiche del lavoro … Vincenzi ha fatto il seguente distinguo: l’elaborazione femminista su corpo, sessualità e salute è stata efficace ed è riuscita a passare anche alle nuove generazioni, viceversa l’elaborazione sui temi del lavoro sarebbe stata debole e scarsa (al traino delle proposte del movimento operaio – maschile) e questa sarebbe la ragione per cui oggi le donne della generazione del neofemminismo hanno difficoltà a confrontarsi con le giovani sui temi della precarietà …”

    Naturalmente – annota l’amica – “E’ una lettura assurda e priva di qualunque fondamento storico. Camusso ha così dovuto ricordare che non è esistito un femminismo, ma sono esistiti diversi femminismi (ad esempio quello sindacale). E’ vero che il confronto tra generazioni sul lavoro (che non c’è, oppure è sempre più spesso precario, privo di tutele e prospettive) è difficile, ma le ragioni non sono certo quelle indicate dalla Sindaco!”.

    Platea sbagliata per le approssimative affermazioni di Marta Vincenzi: una sala in cui di donne che hanno lottato per la loro autonomia nel lavoro e nel sindacato ce ne erano parecchie, insieme alle giovani autrici di “Non è un gioco da ragazze – Femminismo e Sindacato: i Coordinamenti Donne FLM” – Prefazione di Anna Rossi Doria – Ediesse 2008.

    Le giovani lavoratrici di oggi, precarie e no, non erano lì per caso.

    Non era un caso che ci fossero le cassintegrate della Omsa …

    … e il gruppo “Generazioni di donne”.

    Un passaggio di testimone nel movimento femminista è stato finalmente avviato.
    Anche sui temi del lavoro.
    E altrove?

    (Paola PierantoniFoto dell’autrice)
  • OLI 305: MOSTRE – Esperienza Italia: ma come è possibile?

    Una si chiede: ma come è possibile?
    Cioè, come è possibile che una mostra del livello e delle dimensioni di “Fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale” (http://www.bitculturali.it/online/?p=20901 ) – allestita per le iniziative di “Esperienza Italia” alle Officine Grandi Riparazioni di Torino – salti a piè pari il modo con cui si è compiuto in Italia uno degli snodi cruciali della storia delle moderne nazioni occidentali?
    Il passaggio delle donne da persone senza diritti e senza personalità giuridica a cittadine e lavoratrici con pari diritti, le fasi di questo percorso attraverso le grandi vicende storiche nazionali, come il cammino delle donne sia stato condizionato ed abbia condizionato l’evoluzione culturale, sociale, economica e politica del nostro paese, mi sono parsi completamente invisibili.
    Si tratta di una omissione gigante che toglie valore a una mostra per altri versi curatissima, interessante e suggestiva.
    Volendo motivare quanto sopra, si può girare a piacimento il coltello nella piaga, a partire dal

    Personaggi del risorgimento all’ingresso della mostra – Foto P.P.

    silenzio dei busti femminili delle donne del risorgimento nella sala iniziale: in un quarto d’ora di ascolto ho sentito parlare, a turno, solo le statue maschili.
    Si scorrono i primi anni del novecento senza che emerga il movimento e il dibattito sul suffragio femminile nei primi anni del ‘900, e il ruolo di intellettuali come Anna Maria Mozzoni ed Anna Kuliscioff. Non vediamo riferimenti alle prime legislazioni sociali e al loro muoversi sull’ambiguo crinale tra protezione e conferma di uno stato di minorità.
    Idem per le lotte di mondine, cucitrici, filatrici, magliaie, tabaccaie, braccianti che “ispireranno e porteranno avanti il movimento femminile italiano” (*)

    Donne in fabbrica durante la prima guerra mondiale

    Una vasta sezione dedicata alla prima guerra mondiale che ignora totalmente l’ingresso di massa delle donne nella industria meccanica (duecentomila tra il 1915 e il 1918), e l’influenza che ebbe non solo sulla coscienza di sé e del proprio ruolo economico, sociale e politico, ma anche sull’ergonomia e l’organizzazione del lavoro delle fabbriche (**)
    Ampio capitolo sul fascismo in cui nulla viene detto sulla legislazione, l’iconografia e la cultura che in quegli anni ridefinirono l’immagine e il ruolo sociale e familiare della donna, con conseguenze profonde sull’Italia post bellica, fino all’oggi. (***)
    Nessuna traccia del D.L. 2 febbraio 1945 n. 23 che estese alle donne il diritto di voto, esercitato per la prima volta alle elezioni amministrative dell’aprile 1946.
    Per il resto le telegrafiche citazioni ad aborto, divorzio, riforma del diritto di famiglia annegano in un mare di “smemoria”: invisibili la conquista della parità salariale nei primi anni ’60, l’istituzione degli asili nido quali “servizio sociale di interesse pubblico” del 1971, i consultori familiari nel 1975, la legge di parità del 1977, quella sulle pari opportunità del 1991 … (****)

    Meno male: le annunciatrici televisive ci sono – Foto P.P.

    Ciliegina sulla torta: l’unico grande pannello dedicato ad immagini di donne riguarda (indovinate un po’?) le annunciatrici televisive.
    In sintesi, manca totalmente il senso di una delle trasformazioni epocali di questi 150 anni di storia nazionale, il cui evolversi sarà determinante per decidere se avremo ancora un ruolo nelle società avanzate. A lungo andare distrazione e maschilismo portano più banalmente alla incompetenza.

    Una delle stazioni di Ochestoria! – Foto Ivo Ruello

    Per i curatori della mostra:
    Gioco consigliato “Ochestoria!” (vedi il sito: http://www.generazioni-di-donne.it/)
    Letture consigliate:
    (*) Breve storia del movimento femminile in Italia, Camilla Ravera – Editori Riuniti 1978
    (**) 8 marzo 2005 – Donna, salute e storia, Sportello Sicurezza Cgil di Genova
    http://www.olinews.it/blogger/donnasalutestoria.pdf
    (***) Le donne nel regime fascista, Victoria De Grazia – Marsilio 1993
    (****) Date che ci riguardano, a cura del gruppo “Generazioni di donne”
    (http://www.generazioni-di-donne.it/Ochestoria/Cronologieleggieventi13marzo.pdf )
    (Paola Pierantoni)


  • OLI 305 – Quorum: festa alla genovese

    Foto di Paola Pierantoni

    Non tanta gente tutta insieme, ma dal primo pomeriggio a notte un continuo passaggio, chiacchiere a gruppetti, brindisi con la sangria, inesauribili vassoi di focaccia e alla sera musiche allegre,
    qualche ballo e ancora chiacchiere felici.
  • OLI 303: MILANO – Questa volta in piazza c’era la gioia

    La gioia è un sentimento raro, ma questa volta in piazza c’era proprio la gioia. Prevalenza netta di persone giovani e giovanissime, tantissime donne, un popolo che riprendeva in mano la sua città “per farla uscire dalla padania e riportarla in Europa e nel mondo”. Milano che prende ad esempio l’Atene del V° secolo dell’orgoglioso discorso di Pericle, con ovazioni che sommergono Paolo Rossi e Lella Costa quando dicono “La nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”.

    Un giorno di “liberazione” con la piazza intiera che canta “Tutta mia è la città”.
    Una piazza piena di allegria ed ironia con decine di migliaia che intonano in coro “Ora sei rimasta sola, piangi e non ricordi nulla …”, dedicata a Letizia Moratti, “donna fuori dal Comune”, a cui non sono valsi i 12 milioni spesi per la campagna elettorale, perché dall’altra parte, questa volta, c’era un capitale immenso di energie e di speranze che troverà la sua autonoma strada per esprimersi e contare.
    (Paola Pierantonifoto di Paola Pierantoni e Ivo Ruello)

  • OLI 303: 30 maggio: Milano in piazza

    Galleria fotografica di Paola&Ivo
  • OLI 303: RECENSIONI – The tree of life: rimpiangendo Tarkovskij

    A due terzi della proiezione una coppia si alza e comunica a bassa voce ai vicini: “Ce ne andiamo, ne abbiamo abbastanza!”. Strette di mano di solidarietà da parte degli amici che però restano fino alla fine, e così noi, soffrendo noia e irritazione. Qualche giorno dopo una scena analoga mi viene raccontata da una amica.
    Il film è The Tree of life, fischiato in sala a Cannes, ma poi vincitore della Palma d’oro.
    Critiche prevalentemente positive, a volte entusiaste: tra le tante, quella di Curzio Maltese su La Repubblica “L’opinione di chi scrive è che The tree of life sia il più straordinario dei film visti in concorso … Quando l’arte è capace di tanto bisogna smettere perfino di parlare di cinema … diventa una esperienza di vita”, e quella di Roberto Escobar su L’Espresso “… Queste cose grandi dà il cinema sinfonico di Malick, e in cambio ci chiede ascolto e abbandono”
    Come mettere insieme i fischi di Cannes, e, nel nostro piccolo, i disagi colti nella sala dell’Ariston di Vico S. Matteo, con giudizi critici che parlano di capolavoro, di primo vero film del nuovo millennio? Non lo so, però posso provare a motivare la mia soggettiva delusione.
    La parte mistica e visionaria che, come dice Escobar, intende “attraversare la nascita cosmica e terrestre della vita” occupa nel film un posto centrale: non è quindi un peccato veniale il fatto che si alimenti di immagini (galassie, vulcani, cascate, tempeste solari, microrganismi che fluttuano nell’acqua, foreste, vasti spazi deserti …) la cui grandiosità resta fredda nella sua magnificenza.
    Il telescopio Hubble ci regala visioni stupende, ma non basta proporle in sequenza con altre strepitose visioni della natura per condurre chi guarda sull’incerto terreno del nostro essere esposti alle misteriose alternanze del bene e del male in questo universo che ci precede, ci circonda, e seguirà senza di noi.

    Una immagine da Stalker di A. Tarkovskij

    Tarkovskij quaranta anni fa con i suoi piccoli rivoli d’acqua, le sue sterpaglie, la spirale in perenne rotazione del suo misterioso pianeta vivente, era riuscito a portare anche il più positivista ad avvertire il disagio dell’invisibile e dell’inspiegabile, ma lui era un vero poeta, e se si è usata a ragione la parola capolavoro per i film di Tarkovskij, è improprio usarla per Malick.
    Il film si solleva solo quando, nella descrizione per immagini e frammenti vocali della vita della famiglia O’Brien, fa irruzione il conflitto, e nelle scene della famiglia riunita a tavola emerge la patologia di una situazione familiare fino a quel momento apparentemente idilliaca.
    Ma l’esaltazione che il regista fa della angelicata figura femminile del film, e del suo rapporto col microcosmo familiare in cui vive, lascia più che perplessi. Una “madre dolcissima”, che però colma di tenerezze i figli solo a padre assente, e non si contrappone mai direttamente alle sue quotidiane violenze psicologiche, salvo un breve moto di ribellione subito represso. Una silenziosa subordinazione alla ottusa, violenta, patetica e disperata personalità del marito, glorificata come virtù femminile che riscatta il male del mondo.
    Che stanchezza.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 299: PARCO CINQUE TERRE – Have you verified?

    Giovedì 21 aprile, il ponte di Pasqua è alle porte, le scuole in vacanza, molti italiani e moltissimi stranieri scendono dal treno alla stazione di Monterosso. C’è chi si ferma alla spiaggia e chi si avvia a percorrere il famoso sentiero, e così noi. Ma dopo una decina di minuti di salita insieme ad altri gruppetti di camminatori ci ammucchiamo contrariati di fronte ad uno sbarramento che impedisce di proseguire. Il cartello è categorico: “Il sentiero Monterosso – Vernazza non è percorribile perché interrotto completamente per frana, non avventurarsi perché pericoloso”.
    Delusione e progetti per itinerari alternativi: “Si potrebbe salire fino a Soviore e poi prendere il sentiero n. 1, che passa più alto”, “Sì, ma diventa davvero lunga!”, “Oppure cambiare, e fare il sentiero Monterosso – Levanto … “. Mentre le conversazioni si intrecciano arriva un camminatore inglese, che chiede: “Have you verified?”. Lui, infatti, aveva verificato, ed era venuto a sapere che il sentiero è perfettamente percorribile: in serata gli sbarramenti sarebbero stati rimossi, e dalla mattina dopo il sentiero sarebbe stato aperto. A pagamento.
    Commenti, ribellione, e decisione unanime: si va! let’s go! Ci si aiuta a vicenda per tenere sollevato lo steccato e si striscia al di là: il sentiero si apre amichevolmente allo sguardo. Per tutte le due ore di percorso nessuna traccia di lavori in corso. Nel corso del tempo sono stati fatti lavori di sistemazione e di contenimento dei punti franosi, ma il tutto appare assestato da tempo. Il sentiero è tutt’altro che deserto: veniamo superati da schiere di tedeschi, e altrettanti se ne incrociano in direzione contraria, finché si arriva in vista di Vernazza e si incontra il cartello simmetrico; una signora cinese lo osserva perplessa e ci chiede “Vi vedo venire di là, ma si può passare? Non è pericoloso?”, “No, tranquilla, si passa benissimo! Nessun problema … “ “Ma allora … it’s a big lie!”. Una grande bugia, appunto. Una bugia irrispettosa, che per tirar su un po’ di soldi avrebbe lasciato centinaia di persone venute da molto lontano deluse e prive di uno dei pregi decantati di questo pezzo di Liguria, la camminata che ti porta da un paese all’altro tra mare e ulivi.

    Un cartello piuttosto malpreso informa sulle tariffe della “Cinque terre card”. Più informazioni si trovano sul sito http://www.parconazionale5terre.it/5terrecardsnuovo.asp: varie possibilità a seconda che si includa o meno il biglietto del treno, che si sia adulti, anziani o ragazzi. Resta il fatto che anche chi non intenda usare pulmini ecologici, non sia interessato al museo dello sciacchetrà, e se la voglia fare tutta a piedi, di giorno festivo deve pagare 7 euro. Anche se – ammettiamolo – c’è una apertura di non poco momento, infatti “è possibile camminare su tratti di sentiero senza l’obbligo della card dopo le 19.30”. Grazie, Parco!!!

    E’ un po’ come la privatizzazione dell’acqua, non vi pare? Si dirà: ma il sentiero richiede manutenzione. Già, ma non ci sono le tasse, per questo? Non c’è una ricaduta economica, per quel territorio, dalle migliaia e migliaia di persone che ci vanno? E poi, è quello l’unico sentiero della Liguria? Qualcuno ha mai pagato per camminare nel parco del Gran Paradiso?
    Che dite, sarà questa la vocazione turistica della Liguria?

    (Paola Pierantoni – Foto Giovanna Profumo)

  • OLI 298: LAVORO – Il futuro è nelle tue mani?

    Il manifesto è talmente brutto e respingente da indurre degli interrogativi: a chi si rivolge? Come può pensare di essere in qualche modo attraente, invitante? Che mondo rappresenta?
    A meno di non supporre una totale incompetenza del pubblicitario incaricato della campagna, c’è da pensare ad una intenzionalità. Una amica infatti mi avverte “Se non ti piace vuol dire che non sei target”.
    Stiamo parlando di una pubblicità comparsa di recente in alcune zone della città, quella dell’azienda Futurweb SpA che dal 30 marzo cerca “per la città di Genova e provincia consulenti per la vendita di servizi vodafone, enel energia, sky e teletu”, e anche “telefonisti/e per lavoro di presa appuntamenti, no vendita. Zona di lavoro Certosa. Offresi fisso, formazione e supporto fornite direttamente dall’azienda” . Tipo di contratto: “da definire”.
    Queste informazioni non compaiono sul manifesto, ma in alcuni siti dedicati alla pubblicizzazione di offerte di lavoro: (http://lavoro.trovit.it/lavoro/futurweb-genova; http://www.n-jobs.it/lavoro-futurweb.html). Sul manifesto c’è solo un numero di telefono e una domanda: “Cerchi un lavoro sicuro?”. La risposta, implicita, è che Futurweb te lo può garantire. Dopodiché, si presume, le giovani persone che verranno scelte potranno subire la metamorfosi che le renderà simili alla schiera di ultracorpi rappresentata in fotografia. Altrimenti, visto che “il futuro è nelle tue mani”, se ne deduce che la colpa devi darla solo a te stesso.
    Sul sito della azienda (http://www.futurwebonline.it/ ) si può leggere che “Se stai cercando di sviluppare un business innovativo con elevata redditività e ti piacciono le sfide, potresti essere il candidato ideale per diventare un consulente Futurweb S.p.A.
    L’esperienza di vita dei molti precari che conosciamo può farci intuire la natura delle sfide che ti devono piacere per correre l’avventura, tra un contratto “da definire”, un “offresi fisso” di natura non meglio precisata e una “elevata redditività” da conquistarsi salendo e scendendo molte scale.

    Al tempo stesso i pensionati stanziali che abitano i condomini nelle lunghe ore diurne, possono darci una idea della natura del lavoro dei cosiddetti consulenti, a qualunque azienda appartengano: quando il campanello di casa suona, e si apre la porta, ci si trova di fronte a giovani uomini o donne che ti parlano non come da persona a persona, ma come da robot a persona. Dietro deve esserci la famosa formazione aziendale. Nel tempo lo stile si è fatto più aggressivo e insistente. Vengono poste domande perentorie. Se stai facendo dell’altro, se semplicemete non ne hai voglia, se cerchi con cortesia di sottrarti, vieni esplicitamente rimproverata “Contenta lei!”, “Se preferisce pagare di più!”. A volte le reprimende ad alta voce ti inseguono anche a porta ormai chiusa. Te ne resti lì con dispiacere e imbarazzo, consapevole che per le scale ci sono persone che stanno facendo un lavoro ingrato, accettato perché non c’era altro, o perché erano un po’ target e magari all’inizio ci hanno anche creduto.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 298: CULTURA – La barriera di Palazzo Ducale

    Giovedì 14 aprile alle 21 nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale c’è stato un concerto bellissimo, parte del calendario de “la Storia in Piazza”.
    Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.

    La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
    Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.

    C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
    Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
    Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.

    I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
    (Paola Pierantoni – foto Ivo Ruello)