Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 356: SOCIETA’ – Non ci casco!

    Paura ed insicurezza, come tutte le violenze, colpiscono in modo particolare i più deboli. Gli anziani si chiudono in casa. Pesa una sensazione di vulnerabilità, di fragilità crescente. C’é una giusta paura che piccoli atti di prepotenza possano avere conseguenze enormi. Uno scippo, uno spintone, una caduta possono essere molto pericolosi per una persona anziana. C’è smarrimento, intorno a casa si vede “gente strana”. La TV insiste sulla cronaca nera: spaccio, scippi, violenza, tutto è più complicato di una volta, si allentano i legami di vicinato, di parentela, di solidarietà. Ci si chiude in casa, ma così aumenta la solitudine e quindi l’insicurezza. In caso di bisogno ci si chiede a chi domandare aiuto e non si trova una risposta. Ci troviamo dunque di fronte ad un problema reale, che va affrontato perché l’insicurezza lede la qualità della vita delle persone anziane, che è fatta non solo di buona salute, ma anche di relazioni, di accesso alle opportunità che il territorio offre, di consapevolezza, di capacità di esercitare i propri diritti di cittadinanza.
    In questo contesto si pone la campagna “Non ci casco” promossa dallo SPI CGIL, che non è un’operazione pubblicitaria, un libretto che si mette nelle cassette come un qualsiasi depliant pubblicitario, e nemmeno è un decalogo da imparare a memoria. E’ un contributo a fare attenzione a quei trucchi, a quelle tecniche, a quelle situazioni nelle quali il truffatore può sorprenderci ed è lo sforzo di costruire in sede locale quella “rete” di competenze (lo Spi, l’Auser, la Federconsumatori, il Silp-Cgil) che può assicurare ad ogni pensionata-pensionato l’aiuto che serve.
    E’ anche un modo per prendere contatto con le persone anziane, soprattutto quelle che sono più isolate e spaventate, per farle uscire di casa e aiutarle a ricreare quella rete di relazioni sociali ed amicali che possa diventare un sostegno concreto nella gestione della propria quotidianità. Parlare delle truffe di cui spesso gli anziani sono vittime, segnalare le condizioni di degrado che rendono specifiche aree inaccessibili agli anziani, affrontare il tema della legalità e dei diritti, sdrammatizzare le possibili interazioni con soggetti vissuti come potenzialmente “pericolosi” vuol dire aiutare a ricostruire una visione più serena del mondo circostante.
    La conoscenza chiara dei fenomeni e delle risorse a disposizione sono elementi importanti di consapevolezza e di autodifesa.
    Per questo è utile una campagna che aiuti le persone ad imparare come difendersi da pericoli sempre nuovi, e che spinga le Istituzioni (e non solo le organizzazioni private) ad aiutare le vittime, soprattutto quelle più fragili, che possono ricevere un danno pesantissimo anche sotto il profilo psicologico, a recuperare contesti urbani degradati, a investire nella sicurezza nelle strade e nelle case, a rendere più facile il rapporto con i cittadini.
    (Paola Repetto – Foto Paola Pierantoni)

  • OLI 356: INFORMAZIONE – Il Corriere della Sera e l’isola che non c’è

    Ikaria: un signore centenario torna a casa dopo una festa

    Capita, a volte, di incappare in un articolo che parla di qualcosa che conosci davvero a fondo, e rimanerne un po’ straniti. E’ il caso di un articolo pubblicato in rete il 5 novembre sul Corriere della Sera – Salute. Titolo: “La formula dell’immortalità custodita in un’isola greca – Ikaria: i 90enni sono il doppio della media nazionale. La scoperta di un team italiano”.
    Nel 2008 quest’isola dell’Egeo nord orientale, data la longevità degli abitanti, è finita sotto la lente di osservazione di Dan Buettner, ricercatore statunitense, esploratore, corrispondente del New York Times, membro di National Geografic e fondatore di ‘Blue Zones’, società che svolge ricerche sulle cause della lunga vita in diverse aree culturali e geografiche.

    Ikaria, festa

    Di questa ricerca e dei suoi aggiornamenti parla un articolo del New York Times dello scorso 28 ottobre, di certo ispiratore del pezzo del Corriere, ma costretto dall’articolista del Coriere in una sintesi che può lasciare perplessi amanti e fedeli frequentatori del luogo. La realtà infatti non collima con l’immagine proposta: isolani pressoché vegeteriani che fanno colazione e cena ‘a base di latte di capra’, genere però impossibile da trovare in quest’isola piena di capre (se ne contano 30.000, contro 7000 abitanti), che in gran parte girano libere sui monti, né munte né accudite, in attesa di essere mangiate tutte intere, arrostite, o bollite, o in umido (i fegatini passati in padella), nel corso delle infinite feste che allietano l’isola, queste sì fattore di lunga vita.
    Se è vero poi che gli isolani bevono un infuso di erbe selvatiche detto “the della montagna”, è del tutto fantasioso che consumino ‘molta maggiorana’ e ‘molto rosmarino’. Praticamente ignoto, infatti, l’uso alimentare del rosmarino, e del tutto sconosciuto quel che noi intendiamo per maggiorana: parola di genovesi che hanno tentato invano di confezionare ricette liguri dove questa erba è essenziale.

    Al mattino si beve ancora …

    E poi nessun cenno al vino! Il vino ‘pramnio’! Orgoglio di un’isola che si vanta di aver dato i natali a Dioniso stesso, e in cui l’impronta dionisiaca delle feste è tuttora evidente … Difetti veniali. Però, pur nella sintesi, valeva la pena di evidenziare altri aspetti dell’articolo del New York Times. Inanzitutto che la dieta isolana non è forse il fattore più importante, ma che grande peso ha la struttura sociale, il fatto che gli anziani hanno un ruolo riconosciuto che motiva la loro vita, che senz’altro “si mangia meglio che in America“, ma che il fattore più importante è “come mangiamo … noi godiamo della compagnia, chiunque ne faccia parte. Il cibo è sempre goduto insieme alla conversazione”.

    Ikaria, in una tomba un riconoscimento al vino

    E il sesso. L’articolo del NYT puntualizza che “l’80% degli uomini tra i 65 e i 100 anni svolgono regolarmente attività sessuale”. Ricerche a parte, per appurare l’allegra disponibilità sessuale di anzianissimi signori basta andare da sole alle feste isolane.

    L’articolista del Corriere dà conto della salutare indifferenza locale verso il tempo, e su questo non si può che concordare: sull’isola per gli appuntamenti vengono usati termini quali ‘messimeraki’, o ‘vradaki’ che indicano ore indeterminate rispettivamente situate tra mezzogiorno e le cinque del pomeriggio, e tra le nove di sera a notte fonda.

    Una osservazione finale: del team che nel 2008 ha condotto questa ricerca sull’isola di Ikaria faceva parte anche Gianni Pes, del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Sassari, ma perché nell’articolo si parla di un ‘team italiano’, anziché di un ‘italiano nel team’?
    (Paola Pierantoni –  foto dell’autrice)

  • OLI 355: DON FARINELLA – I quaranta anni di un ottimo parroco

    Giovedì 1 novembre alla Chiesa di San Torpete è in programma un concerto della “Accademia dei virtuosi”, ensemble della Scuola Musicale Giuseppe Conte e della Cappella Musicale della Chiesa di San Torpete, direttore Luca Franco Ferrari. Musiche di Josquin Des Prez. Ci vado, è la prima volta che entro in questa chiesa, e scopro che non si svolgerà un concerto in senso proprio: le musiche sono previste ad accompagnamento della liturgia. Ma la vera scoperta è che non si tratta di un giorno qualsiasi, perché si festeggiano i quaranta anni di sacerdozio di Don Farinella, famoso prete ‘diavolo’ per una parte della gerarchia ecclesiastica e della politica genovese.
    Anche a chi come me non era mai andato in questo luogo salta agli occhi che quella lì riunita è una comunità molto coesa. Sembra che tutti si conoscano tra loro, e si dividano i compiti necessari. Dopo un numero indeterminato di anni mi trovo ad ascoltare una messa senza esserci portata da un matrimonio o da un funerale.

    La musica è bella, e l’insieme musicale di ottimo livello, ma diversamente dalle aspettative con cui sono venuta quello che mi prende di più sono le parole, quelle promunciate e quelle scritte. Ognuno riceve infatti un plico di 12 pagine, con note sulla musica che verrà eseguita, parole e letture della liturgia, ‘spunti di omelia’, suggerimenti per la riflessione personale, esegesi dei testi, avvisi, programmi e appuntamenti futuri, religiosi, musicali, culturali. Dietro ogni incontro in questa chiesa c’è davvero un gran lavoro. Nella sua introduzione all’evento Don Farinella dice “Ringrazio Dio di avermi chiamato ad essere prete con un cuore laico”. Ringrazio anche io, laica e non credente, perché ho potuto ascoltare e leggere parole che mi sono vicine, che posso condividere. Ad esempio la chiara coscienza della parzialità e del limite di qualunque espressione umana, inclusa l’appartenenza ad una determinata religione.
    Don Farinella ricorda quanti di più siano e siano state le persone che non hanno alcun legame con la religione cattolica, ma in questa presa d’atto non c’è l’ansia di “farli propri”, ma il riconoscimento della loro appartenenza comunque alla divinità e santità. Nel discorso di Farinella i santi e le sante diventano così persone quotidiane e sconosciute. Dice che bisognerebbe superare il monopolio della promozione a santità esercitato dalla Chiesa secondo un dubbio modello ispirato alla mortificazione e alla sofferenza come condizione essenziale della vita. La cosa più giusta, dice Farinella, sarebbe proprio eliminare dal calendario i nomi di questa piccola manciata di santi e sante, perché il mondo ne è invece pieno, ed “essere santi significa in primo luogo essere se stessi, esserlo sempre, esserlo senza paura … se nel lavoro, nelle scelte di vita, nella vita di famiglia, con gli amici, in viaggio, ovunque, diamo un senso a tutto quello che operiamo e che facciamo, noi estendiamo la santità di Dio attraverso la normalità e la ordinarietà della nostra vita vissuta come un pellegrinaggio verso la tappa conclusiva che è l’inizio di un’era nuova: il Regno escatologico di Dio”.
    Da laica non credente non posso che fermarmi alla ‘tappa conclusiva’, ma fino a lì la compagnia di persone come questo ‘ottimo parroco’ mi pare preziosa.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 353: PAROLE DEGLI OCCHI – Laureato schizzinoso al lavoro

    Foto di Paola Pierantoni

    Dedicato alla ministra Fornero

  • OLI 352: PAROLE DEGLI OCCHI – Stazione Brignole

    Foto di Paola Pierantoni – A cura di Giorgio Bergami

  • OLI 352: CITTA’ – Cultura produce politica

    Il nome, prima di ogni decisione ufficiale, è già stato attribuito da chi ci abita: “Piazza Princesa del Ghetto”, e l’amministrazione comunale, se è saggia, darà ascolto a questa investitura popolare.
    Luogo diseredato con palazzi ancora distrutti alla guerra, questa piazza dietro Via del Campo sta recuperando dignità grazie al “Contratto di quartiere” che, oltre ad una serie di interventi urbanistici, prevedeva anche iniziative sociali.
    Tra queste, la creazione della “Casa di quartiere del Ghetto” che in due anni è diventata un punto di aggregazione sociale, di servizio e di produzione culturale.

    Quel che sta avvenendo in questa parte di Genova dimostra l’importanza di offrire strumenti, spazi, e un po’ di sostegno economico alle energie che circolano, inespresse, nella città: il poco che viene dato ritornerà alla collettività moltiplicato di parecchi fattori, il guadagno è certo.
    Venerdì 5 ottobre la piazza di cui parliamo si è trasformata in un cinema–teatro all’aperto: un banchetto con vino e focaccia per uno spartano “apericena”, un centinaio di sedie presto tutte occupate, un grande schermo fissato alla facciata di un palazzo, una pedana, altoparlanti, proiettori, la lampada che illumina la piazza genialmente schermata con un secchio.
    Uno degli organizzatori mi dice che “tutto questo sarebbe stato impensabile senza l’aiuto della gente del quartiere”.

    Sotto il titolo “Le città e i suoi abitanti si raccontano” inizia la proiezione di brevi filmati realizzati nel corso di due anni da diversi autori che hanno frequentato un corso di formazione per la realizzazione di materiale video. Nel volantino dell’iniziativa si legge: “Uno sguardo fatto di immagini in libertà, insofferenti scomode nervose, irriducibili alle tesi precostituite. Ma anche tenere fragranti poetiche. Immagini che non temono di guardare in faccia la realtà”.
    Passano due ore, e l’attenzione, il coinvolgimento, non vengono mai meno.
    Qualche giorno dopo vado a parlarne con Gianfranco Pangrazio che, con altri due professionisti aveva tenuto il corso video, e con tre persone che l’avevano frequentato, divenendo poi autrici/autori: Mustafa Aatif, Maria Di Pietro, Sara Hermans.
    Del centinaio di persone che si sono accostate a questa esperienza, una decina ha consolidato la propria passione, acquisendo competenze, e ora portano avanti le loro idee. Da qualche mese è nato anche GhettUP tv, un notiziario aggiornato con un ritmo quindicinale / mensile.
    Per definire i materiali prodotti Pangrazio usa uno strano termine: “smithireens” , che può intendersi come frammenti, “piccoli pezzi informali”, che hanno “urgenza” di essere mostrati, perché tenerli al chiuso in attesa di perfezionamento vorrebbe dire condannarli a marcire.
    La cosa interessante, dice Pangrazio è il “processo di creazione”, che mette in moto relazioni, scambi, idee, che apre finestre sulla realtà, e produce politica. La bella politica.
    Si progetta, immagina, sogna una diffusione di iniziative simili in tutti i quartieri, la creazione di una rete.
    Maria, Sara, Mustafa parlano di tutte le diversità che si incrociano in questa attività: donne, uomini, transgender, età diverse, nazionalità, mestieri, culture diverse. Ogni individualità si esprime con il suo personale progetto, ma l’interscambio è continuo.
    Una parte dei lavori è stata pubblicata su You Tube ( http://www.youtube.com/user/ghettuptv?feature=results_main ).
    Il consiglio è di dedicare un po’ del vostro tempo per andarli a guardare. 
    Alcuni titoli (pubblicati e no): La vita degli altri; DEC: derive e cantieri; L’Italia sono anch’io; Software libero_Società libera; Palestinese; Racconti dai terriori occupati di Palestina; Vagonero (venditore ambulante); Il matrimonio; Summertime; Sbirri in action; Pane Miele Sartoria; TransParenti Serpenti; Masgid (Moschea); La comunità.
    Le autrici e gli autori: Aatif Mostafa, Pascal Bernhardt, Erica Rosso, Federico Telari, Riccardo Navarone, Maria Di Pietro, Ehecati Sanchez, Gianfranco Pangrazio, Sara Hermans, Lollo Navarone, Maddalena Bartolini, Alessandro Diaco.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 352: INFORMAZIONE – Una maiuscola di troppo

    Contano le parole, e conta anche come vengono scritte. Un articolo (La Repubblica del 15 ottobre 2012) parla di alcune novità investigative su un fatto di sangue avvenuto l’anno scorso a Sampierdarena, in cui furono uccisi una donna e suo figlio. Il titolo recita “Sampierdarena: una pista per il Massacro”. Obietto che l’utilizzo di questa maiuscola è del tutto ingiustificato, e sgradevolmente corrivo.
    Il buon giornalismo dovrebbe fare a meno di questi ingredienti.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 351: PAROLE DEGLI OCCHI – Sincretismo

    Foto di Paola Pieranton
     In un piccolo cimitero ortodosso dell’isola di Ikaria, Grecia, la tomba di un marinaio comunista 
  • OLI 351: COMMIATI – Tamburelli è andato via

    1979, Tamburelli con la bandiera della Flm

    Capita che alcuni funerali laici riescano a dare piena dignità a chi muore. Avviene quando la comunità a cui quella persona appartiene e che include, ma non si esaurisce, nella sua famiglia, si prende una responsabilità diretta di questo saluto, e, nel momento del lutto, riesce a rappresentare la vita.
    E’ successo venerdì 5 ottobre per Giampiero Tamburelli, operaio, per quaranta anni delegato di fabbrica dell’Elsag, e poi volontario nella Fiom-Cgil.
    Piazza Baracca bloccata dalla folla, piena delle persone che con Tamburelli avevano lottato, lavorato, scherzato nel corso di quaranta anni lunghissimi in cui tutto è cambiato. Non mancava quasi nessuno nemmeno tra chi, tanti anni fa, aveva condiviso con lui gli anni belli del sindacato, lavoratrici e lavoratori, ex delegati di quel Consiglio di Fabbrica degli anni ‘70, chiamati da una rete di contatti che si è messa in moto e ha raggiunto chi era in pensione da anni, lontano ormai da qualunque attività sindacale, e anche chi da tempo non abitava più a Genova. Si sono riviste persone che non si incontravano da almeno trenta anni, e questo rivedersi è stato bello perché tra i saluti, gli abbracci, i riconoscimenti reciproci che avvenivano dopo qualche incertezza, con l’imbarazzo dei cognomi dimenticati,  circolava chiarissima la coscienza del privilegio che si era avuto a vivere quegli anni, della forza che se ne era ricavata in tutto il corso della vita. Così insieme alla tristezza c’è stata anche la gioia.

    Tamburelli in uno stand della Festa dell’Unità

    Qualcuno mi ha detto: dobbiamo ringraziare Tamburelli per questo. Infatti non è che questo evento avrebbe potuto succedere per chiunque, e il perché sia successo, tra tanti, proprio per questo particolare sindacalista di fabbrica, che non ha mai smesso di lavorare, lo hanno spiegato le parole di Passalacqua e Burlando che hanno davvero detto quel che andava detto di questa persona: l’intelligenza, la costanza, l’allegria, il senso di responsabiltà, la disponibilità verso gli altri, la profondissima conoscenza della fabbrica.
    Tamburelli ed io per otto anni, dal 1973 al 1980, siamo stati compagni nel Consiglio di Fabbrica dell’Elsag. Il fondamento della mia esperienza sindacale, l’alimento per tutti di decenni successivi, si è costruito allora, e Tamburelli era la figura di riferimento più importante. Assolutamente inesperta di sindacato e politica, donna e impiegata tecnica in una fabbrica a nettissima prevalenza operaia e maschile, ho sempre trovato appoggio e sostegno in questa persona così intelligente, lieta, saggia e disponibile.
    Tamburelli ti abbracciava volentieri, con forza e allegria, quando ti incontrava. Tra tutti  ricordo l’abbraccio che aveva consolato il mio pianto una volta che ero tornata sconfitta, con tutti i miei cartelli del “Coordinamento donne” in mano, dal tentativo di convincere le operaie della Marconi a portarli in manifestazione.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)