Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 350: EUROPEI – Merkel e la Grecia, esercizi di stile

    Che non festeggi la Merkel! Il tifo dei greci a sostegno dell’Italia è senza discussione e senza eccezioni: la partita si colora inevitabilmente di politica e di riscatto per interposta squadra. Quello che pesa davvero e che avvelena gli animi verso la cancelliera, è l’intransigenza economica che sta chiudendo la strada alla speranza di risollevarsi, contribuendo al successo del partito nazista “Alba dorata” che ha fatto fruttare a suo vantaggio la disperazione e la paura della gente.
    Ma alle cose di sostanza se ne è aggiunta una di stile: quel plateale levarsi in piedi della cancelliera, con le mani in alto, ad ogni goal tedesco contro la squadra greca non è stato digerito. Da una persona con quel potere e quella responsabilità ci si poteva aspettare una diversa misura e sensibilità, sapendo che la partita veniva giocata contro una nazione allo stremo, e che il calcio è veicolo di passioni ed emozioni popolari.

    Ta NEA: “La vittoria del Sud difesa per la Grecia”

    Ti citano anche la vignetta uscita su un giornale tedesco: l’arbitro lancia una moneta per decidere la metà campo in cui ciascuna squadra deve giocare, e tutti i greci ci si buttano sopra per prenderla.
    Le persone con cui parliamo non negano affatto le proprie colpe e responsabilità per il disastro in cui sono precipitati, ma sentono, e non accettano, di non essere stati rispettati come popolo.
    Così ad ogni goal italiano le strade di Atene hanno risuonato di grida di entusiasmo, e la nostra vittoria è stata anche la loro. Io l’ho vista con un amico che tiene un chiosco dove si vendono cocomeri: non c’era cliente che passasse che non festeggiasse il vantaggio italiano.
    Il giorno dopo la metafora calcistica ha accompagnato le cronache del vertice europeo, che riportavano il successo di Monti nel porre delle condizioni alla linea di politica economica della Merkel, e i due “Mario” sono stati accomunati nel simboleggiare la possibilità di un riscatto.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 348: CITTA’ – La sfida: musica e cultura contro le slot machines

    Domenica sera, passando davanti al bar Continental, angolo tra S. Lorenzo e Via Cavour, si poteva vedere l’insolito spettacolo di avventori al bancone o seduti ai tavoli che, mentre bevevano gli aperitivi, assistevano ad una rappresentazione teatrale costruita su testi di Edgar Lee Masters ed Italo Calvino, messa in scena all’interno del bar da una compagnia amatoriale.
    Solo pochi mesi fa, invece, dalle vetrine si potevano vedere solo clienti ossessivamente impegnati alle slot machines, e l’atmosfera del posto risultava parecchio scoraggiante.
    Un cambiamento sensibile e coraggioso in anni come questi, in cui le slots hanno invaso i bar, e dove si assiste al proliferare delle sale gioco.

    Al termine dello spettacolo parliamo con Dominic, il nuovo e giovane gestore, di questo cambiamento, visibile anche nella estetica del locale, che l’arte e la disponibilità di un amico hanno decorato con le grandi figure del rock e del jazz: Jimi Hendriks, John Lennon, Janet Joplin, Satchmo. Gli chiediamo come sta andando.
    Ci risponde che è una scommessa molto, molto difficile. Infatti, con un affitto di 3600 € al mese (Iva inclusa), a cui aggiungere le spese per utenze e personale, non è facile rinunciare al guadagno delle slots, e puntare ad un radicale cambiamento della clientela.

    Tanto per dare un’idea, su La Repubblica del 1 marzo, Corrado Zunino nel suo articolo “L’azzardo è come il fumo. Basta agli spot sui giochi” parla di una rinuncia, in media, di 20.000 € all’anno per i gestori che vogliano espellere le macchinette.
    Inoltre lo sforzo di qualificare un locale con attività musicali e culturali si scontra col fatto che – come ci dice  Dominic – queste serate sono, quasi senza eccezione, in perdita.
    Girando tra i blog troviamo un coro di conferma alle sue parole: chi ha un locale il più delle volte con la musica dal vivo ci rimette, e chi suona ci guadagna un’elemosina.
    Gli unici a godere, a quanto pare, sono l’Enpals (l’Ente di previdenza per i lavoratori dello spettacolo) che prevede un’aliquota contributiva del 33% (!) a serata per ogni artista anche se già assicurato Inps e suona gratis, e comunque con un onere minimo di 15€, e la Siae, il cui sito informa che la tariffa dovuta è pari al 10% dell’incasso lordo, con un minimale di 94€ per un locale con meno di 100 posti. 
    Certamente le vecchie facce che non si fanno più vedere, e quelle nuove che ora frequentano il locale sono una soddisfazione e una gioia, e dimostrano che la scommessa era giusta, ma praticare questa strada di rinascita richiede un entusiasmo che sfiora la temerarietà.
    Senza modifiche legislative che riducano le rendite di posizione, la battaglia di chi prova a combattere l’azzardo puntando su musica e cultura è troppo solitaria e rischiosa.
    (Paola Pierantoni – Foto di Giovanna Profumo) 

  • OLI 347: PORTO ANTICO E DUCALE – 1992/2012, il lato oscuro di un anniversario

    Il 20 maggio, in giorni tormentati dalla bomba di Brindisi e dal terremoto, si sono celebrati, in forma minore, i venti anni del Porto Antico e del Ducale.
    Ma il maggio del 1992, insieme a queste belle novità, aveva portato a Genova anche un fenomeno molto diffuso nel mondo, e poco piacevole: il repulisti della città da quel che poteva fare disordine, non essere in sintonia con la festa.
    Ad esempio gli immigrati.
    Ho tra le mani alcuni documenti che ricordano quel che avvenne: due articoli (“Le retate sulla pelle” sul Secolo XIX e “Vogliono renderci invisibili” su Il Lavoro del 12 maggio 1992), il testo della “lettera aperta” che in quei giorni scrissero alla città di Genova i rappresentanti delle comunità immigrate, e una nota molto preoccupata che le segreterie di Cgil, Cisl, Uil inviarono al Prefetto, al Questore e al Sindaco, in allora il socialdemocratico Romano Merlo.

    Diceva il documento degli immigrati: “Le retate di Colombo, tempi duri per i neri: così titolavano i giornali genovesi di sabato 9 maggio 1992, in riferimento alle operazioni di controllo precolombiane da parte delle forze dell’ordine in corso in questi giorni nei confronti dei cittadini immigrati … in questi giorni nella città storica vengono controllati coloro che hanno la pelle nera, coloro che hanno un aspetto diverso. Vengono fermati i ‘neri’ ed accompagnati nelle caserme. Anzi, non solo i neri!! Si vuole che per un po’ di tempo diventino ‘invisibili’ tutti gli emarginati. Questo è un obiettivo diverso dal dare risposte alla sicurezza collettiva. E poi una città militarizzata è un po’ inquietante per tutti. … Noi viviamo il 1992 come un’occasione per riaffermare la necessità di costruire un mondo nuovo, multiculturale, città della convivenza pacifica e democratica tra diversi, ed è ciò che stiamo costruendo insieme ai cittadini genovesi che hanno una tradizione di solidarietà e di accoglienza”.
    Gli anni 1992 e 1993 furono per Genova anni difficili, segnati da gravi episodi d’intolleranza verso gli immigrati. Ci ha salvato una rete di associazioni che è riuscita a stabilire un ponte tra gli immigrati che non sapevano niente di noi, e noi che non sapevano niente di loro, supplendo a quello che il pubblico non faceva, e incalzandolo a fare: informazione, insegnamento dell’italiano, assistenza nelle procedure burocratiche, assistenza sanitaria, iniziative culturali.

    Nel 1989 si costituisce il Coordinamento delle associazioni degli immigrati extracomunitari, nel 1990 nascono gli Uffici Immigrati della Cgil, della Cisl e della Uil; nel 1992 si inaugura il Centro Servizi Integrato della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro e nel 1994 l’Ambulatorio internazionale di Città Aperta; negli stessi anni operano in città Auxilium Caritas, Città Aperta, Sant’Egidio, il Grappolo, l’Arci … realtà che operano singolarmente ma anche – quel che più conta – in continua relazione tra loro, e infatti nel 1995 si costituisce il Forum Antirazzista di Genova, che vivrà fino al 2001, quando gli venne tolta la parola dagli stessi sindacati che ne facevano parte, spaventati da quel che poteva avvenire nella Genova militarizzata del G8 (vedi Oli 310)
    Per restituire alla città la sua storia gli anniversari vanno ricordati per intero.
    (Paola Pierantoni – Foto dell’autrice)

  • OLI 347: CULTURA – Lo spiazzamento

    Sono ad una riunione di Archimovi, Associazione per un archivio dei movimenti.
    Si discutono alcune modifiche allo statuto e Francesca inizia la lettura degli articoli da modificare; soce e soci la ascoltano.
    Come immaginate la doverosa attenzione ad utilizzare la doppia forma del maschile e del femminile appesantisce non poco il discorso, e Francesca, con naturalezza, dice: “sentite, è una noia mettere ogni volta sia il femminile che il maschile, leggiamo tutto al femminile, d’accordo?”. E così, con naturalezza, avviene.
    Era la prima volta che mi accadeva! Posso dirvi di aver provato un’improvvisa botta di gioia e allegria?
    Quando vi capita provateci.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 347: PAROLE DEGLI OCCHI – Grecia al voto

    Foto di Paola Pierantoni
    Sabato 9 giugno, davanti a Palazzo Ducale un piccolo gruppo di cittadini italiani e greci manifesta a sostegno del permanere della Grecia in Europa.

  • OLI 346: SOCIETA’ – Il mercato dei fiori

    Scopro di vivere nell’epicentro di un importante commercio: nella zona del Ghetto, tra piazza del Campo e Vico Untoria, si concentra infatti il mercato dei fiori venduti dagli ambulanti. Me lo fa scoprire il “Settimo rapporto sull’immigrazione a Genova” a cura di Maurizio Ambrosini ed Andrea Torre, Ed. Il Melangolo – 2012.
    Il libro è stato presentato a Genova lo scorso 25 maggio, ma non ne ha parlato nessuno, ad eccezione di Pro.no., agenzia di stampa della Provincia di Genova.
    Grandissima sottovalutazione dei nostri mezzi di informazione, perché il rapporto ha un taglio particolarmente interessante: l’accurata analisi statistica e quantitativa del fenomeno migratorio è infatti funzionale ad una lettura del nostro territorio e delle sue prospettive, ed è accompagnata da una ricca bibliografia, e da due rapporti di ricerca, uno dei quali, a cura di Franca Lagomarsino e Andrea Torre, riguarda i venditori di fiori ambulanti marocchini, definiti “Visibilmente invisibili” in quanto “Sono estremamente visibili, molto più di altre figure di lavoratori immigrati, ma emarginati dal nostro sguardo” in quanto “oggetto di pregiudizi negativi (gli immigrati non fanno un lavoro regolare) che creano difficoltà dei contatti e imbarazzo“. Il cliente, dice uno degli intervistati “ancora prima ti giudica come un povero, un povero totale, non solo di testa, povero di tutto. Però ce ne è tanti che hanno vissuto davvero la vita … loro ti capiscono al volo. Hanno un’altra mentalità, parlano come se parlassero a una persona normale … ne trovi il 20% che hanno vissuto la vita”.
    Il rapporto infrange molte delle ovvietà con cui guardiamo a queste figure, e segnala trasformazioni importanti.

    Una è stata il passaggio della vendita dai minori agli adulti, che si è compiuta intorno alla fine degli anni ’90, e che ha dietro di sé una storia di cui fu protagonista una rete formata da Comune, Forum Antirazzista, Direzione Scolastica Regionale, CRAS (Centro Risorse Alunni Stranieri), Tribunale dei minori, Questura.
    Un’altra è stata quella della graduale regolarizzazione della attività: il responsabile del mercato dei fiori di San Remo parla di un avvenuto “processo di specializzazione, con acquisizione di partita Iva, acquisto in regola, maggiore attenzione alla qualità del fiore e alla modalità di vendita … confezionano un ‘prodotto finito’, tolgono le spine, lo confezionano, lo vendono agli ambulanti. Poi hanno ampliato le gamme di prodotto, non più solo la rosa: indice che si rivolgono ad acquirenti che sono piccoli chioschi. Qui comprano regolarmente, con emissione di fattura e tutto”. Ci sono forme di razzismo: “Ci tocca vendere ai marocchini” ma la realtà è che “i marocchini coprono ormai una nicchia di mercato”.
    Alcuni grossisti comprano a San Remo, altri al mercato di Genova. Poi nella zona del Ghetto avviene l’acquisto del prodotto da parte degli ambulanti, anche loro ormai transitati nel territorio della regolarità e delle partite Iva: si tratta di anziani che lo fanno da tempo, o di giovani in attesa di altre occasioni. Un’attività “cuscinetto” che può rendere 70 euro nelle giornate buone, o scendere a zero in quelle cattive. Un lavoro dignitoso, che può prevedere una sua dinamica: la diversificazione del prodotto venduto e della clientela, acquisendo acquirenti fissi, piccoli chioschi, e magari il passaggio da ambulante a piccolo o medio grossista.
    Per capire questa parte della nostra città, insistono i ricercatori, occorre però “mettere in discussione l’ottica miserabilista”.
    (Paola Pierantoni –  Foto dell’autrice)

  • OLI 345: TRASPORTI – Divorzio da Amt

    Una signora di 83 anni mi confida il suo divorzio, ormai definitivo, da Amt.
    Fino all’aumento tariffario in vigore dallo scorso 1 febbraio 2011 lei si poteva permettere l’abbonamento annuale: l’età e l’invalidità superiore al 66% le davano diritto ad una tariffa agevolata sostenibile, sui 170 euro annui.
    Ma poi la tariffa agevolata è aumentata, e soprattutto è stata condizionata al reddito, così un abbonamento annuale a 190 euro oggi si può avere solo se il reddito non supera i 15000 € annui. In caso contrario l’abbonamento viene a costare 380 euro: troppo per un bilancio da pensionata.
    Così la signora ha divorziato dagli autobus, e se ne sta a casa o dintorni: “Questo aumento non è stato una grande idea, perché l’Amt da me non ha guadagnato niente, anzi ha perso i miei 170 euro. E la stessa cosa vale per le mie amiche, più o meno coetanee. Ci ho perso anch’io, però, perché non mi muovo più”. Restrizione degli spazi.
    Il racconto dell’anziana signora ha il suo parallello con quello di giovani amiche che, fatti i conti, hanno anche loro divorziato dagli autobus, optando per il podismo, ottima cosa per dieta e salute, meno per i bilanci cittadini.
    L’Amt è uno dei problemi più gravi e urgenti per la nuova amministrazione, e se le politiche tariffarie da sole non bastano a risolvere la situazione, costituiscono però uno dei fattori che nel tempo possono incidere in modo significativo.
    Ad esempio: biglietti a basso costo per tragitti brevi; abbonamenti davvero appetibili diversificati per categorie di utenti; salvaguardia delle fasce deboli di utenza (invalidi, disoccupati, anziani); eliminazione delle taccagnerie auto-lesioniste, come quella del Volabus dove non valgono gli abbonamenti nè mensili ed annuali. Misure come queste estendono l’utenza, rendono sempre più residuale il viaggio col biglietto singolo, e diminuiscono la percentuale di chi viaggia a sbafo.
    Nei mesi passati avevamo suscitato scientemente l’invidia degli utenti genovesi descrivendo il sistema di trasporti urbani di città come Zurigo (Oli 286), Berlino (Oli 282), Vienna (Oli 324), Copenagen (Oli 314).
    Ma in realtà basta andare a Torino per trovare una politica tariffaria davvero interessante. Il biglietto singolo costa come da noi 1,50 €, anzi di più, dato che vale 90 minuti, però basta girare tra le varie, articolatissime, proposte tariffarie del GTT (Gruppo Torinese Trasporti), e la differenza salta fuori. Per stare al caso da cui siamo partiti: l’abbonamento annuale per chi ha più di 65 anni e un reddito non superiore a 36.151 euro costa 155 € che scendono a 140 se si accetta una fascia oraria di utilizzo più ridotta.
    Marco Doria ha spesso auspicato la collaborazione di idee con i sindaci delle altre città: da Torino possono venire dei bei suggerimenti.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 345: ANIMALI – La soglia si sta alzando

    La soglia si sta alzando. Cresce il numero delle persone che non dà più per scontate pratiche normalmente accettate fino a pochi anni o decenni fa, ad esempio la sperimentazione animale, di cui viene messa in discussione la stessa validità scientifica. Diventa di uso sempre più corrente il termine “specismo”, coniato agli inizi degli anni ’70 per indicare un atteggiamento pregiudizialmente favorevole agli interessi dei membri della propria specie nei confronti di quelli delle altre.
    Tra amici e conoscenti cresce il numero dei vegetariani, e compare qualche vegano, e quando si organizzano cene è ormai d’obbligo tenerne conto. I banchetti dei mercatini alimentari hanno iniziato ad esibire fotografie di galline che razzolano nell’erba e di maiali che passeggiano nel bosco, a prendere le distanze dagli asettici orrori degli allevamenti intensivi.

    La manifestazione a Bologna

    C’è un cambiamento culturale in corso: la sofferenza animale, allontanata dalla nostra vista dai sistemi di produzione industriale, e dall’impenetrabilità dei laboratori, sta rientrando nell’orizzonte visivo di un numero crescente di persone che cercano di farci i conti, ognuno a suo modo: c’è chi diventa attivista della LAV, chi – prima di comprare prodotti cosmetici consulta la lista cruelty free, chi si fa vegetariano, chi arriva al rigore vegano, chi compra carne solo se riceve garanzie sulle modalità di allevamento degli animali, e quindi finisce per comprarne pochissima.
    Sono soprattutto i giovani, e tra questi in grande maggioranza le donne, che interpretano ed agiscono questo cambiamento. Le loro avanguardie hanno manifestato nei giorni scorsi per le strade di Genova: l’8 maggio con un corteo, il 16 maggio con un flash mob a Piazza De Ferrari. Manifestazioni anche in molte altre città.
    L’obiettivo immediato è quello di sostenere, contro le pressioni delle lobby farmaceutiche, l’approvazione in Senato della norma (art. 14 del Ddl 3129 sulla legge comunitaria 2011), già approvata alla Camera, che vieterebbe gli esperimenti su animali senza anestesia o anelgesia e l’allevamento di primati, cani e gatti da laboratorio sul territorio nazionale. La votazione, inizialmente prevista per il 9 maggio, è ora slittata a giugno.
    L’obiettivo di lungo periodo è quello di realizzare gli auspici di Leonardo da Vinci “Verrà il tempo in cui l’uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l’uccisione di un solo animale sarà considerato un grave delitto...” e di Einstein “Nulla darà la possibilità di sopravvivenza sulla terra quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana”.
    (Paola Pierantoni – Fotografia di Ivo Ruello e di Alisia Poggio)

  • OLI 343: ELEZIONI – Intervista a Marco Doria

    Domenica 13 maggio pomeriggio, via del Campo.
    Marco Doria prende una pausa dal tour impegnativo che lo vede setacciare la città per la vittoria dell’ultima tappa, quella che gli può valere la conquista della fascia di sindaco, e in cui è venuto a contatto con tutti i volti della politica.
    Prima ancora che iniziamo a fargli delle domande parla del fenomeno dell’astensione, che a Genova ha avuto un peso particolare. Forse, dice, una piccola parte di chi non ha votato è recuperabile al voto ma “La grande maggioranza ha deciso almeno per il momentodi rompere i ponti con una partecipazione attiva alla politica intesa anche come voto”.
    E poi parla del Movimento 5 Stelle, un 14% di consensi in cui vede, in parte, le sfumature rabbiose dei cittadini attirati dalla parola d’ordine del ‘vaffa’: “Commercianti, esercenti che non avevano in testa un’idea di sviluppo alternativo, una filiera chilometro zero o un modello di sistema di mobilità vecchio da mettere sotto critica, ma che avevano in mente semplicemente l’idea del fanno tutti schifo, sono tutti dei ladri, sono tutti uguali”, ma anche la determinazione autentica di chi contesta “un modello di economia, di società”.
    I potenziali elettori genovesi oggi riflettono i molti stati d’animo della politica presenti anche a livello nazionale “Nello schieramento di centro sinistra c’è una consapevolezza, una voglia di fare che comunque riscontro; poi andando in giro riscontro anche quell’altro pezzo di società con cui diventa difficile, almeno nel breve periodo, ricostruire un rapporto, per cui ci vorrà più tempo. Ammesso che ci si riesca”.
    Riannodare il rapporto con coloro che, rispetto alla politica, provano depressione, scoramento è un lavoro “che richiede anni, e che ovviamente dipende da me, certo che dipende da me! Ci mancherebbe altro… però dipende anche da come si muovono gli schieramenti politici. Da come si muove il mio schieramento politico. Dare il senso che vale la pena andare a votare, è un lavoro che richiede tempo. Devi rovesciare una tendenza che si è andata consolidando da anni, quindi nel brevissimo periodo non si può fare. Si dovrebbe cominciare a fare un lavoro che si basa sull’esempio: chi si occupa della cosa pubblica deve dare proprio la dimostrazione di volerlo fare perché vuole servire la cosa pubblica, è al servizio, perché parla coi cittadini in modo chiaro, perché non racconta delle balle, perché non nasconde i problemi che ci sono, si sforza di presentare quelle che, a suo giudizio, sono le soluzioni possibili e accetta anche il confronto sulle stesse soluzioni e cerca di coinvolge i cittadini nel percorso per individuare le soluzioni. Sulla base peraltro di una visione, di un progetto. Non è un lavoro immediato. Uno dovrebbe mettere mattoncino dopo mattoncino”.
    Ora tocca a noi porre le nostre domande. La prima è: come stai?
    Sto come stavo prima, a parte la stanchezza, a parte lo stravolgimento della propria vita personale che è il risultato di due fenomeni combinati: da un lato di come si scarica sulla persona del candidato sindaco l’aspettativa, la delusione, la voglia di interlocuzione che non è più mediata da organizzazioni complesse o articolate, tutti vogliono me… Ieri a Vernazzola, per fare un esempio, mi parlavano dei problemi dei tombini, delle strade, di dove la gente va orinare, quindi aspetti di dettaglio che sono di pertinenza del Comune come regolazione generale dei fenomeni, ma che competono ai municipi. Il secondo punto è la spettacolarizzazione e la personalizzazione della politica per cui i media insistono molto a fare pressing sulla persona, e questo significa che la vita privata e i ritmi di vita vengono veramente modificati. Io cerco di comportarmi in maniera assolutamente normale, per cui sogno la Svezia dove il ministro a Stoccolma va a fare la spesa al supermercato senza che nessuno lo fermi. Detto ciò non sto male dal punto di vista della percezione degli umori, perché non sono stato sorpreso dal risultato, no, perché la percezione che ci fosse un bel segmento di popolazione lontano, deluso, anche rancoroso, l’avevo anche prima del voto“.
    E se dovessi fare un bilancio da quando è cominciata questa avventura?
    Dal punto di vista personale sicuramente non sono cambiato io, come persona, nel mio modo di vedere il mondo, di relazionarmi. Ma ora mi devo muovere in contesti in cui non mi muovevo due anni fa. Sai, le trattative … per dire: non si è mai parlato di poltrone. A oggi“.
    Anche se sono usciti dei nomi: Bernini, Repetti …
    Assolutamente senza che la cosa fosse passata da un contatto con me. Adesso, essendomi stato detto dalla maggioranza delle persone con cui ho parlato che Bernini è stato uno dei migliori presidenti di municipio, questo è un criterio che io posso considerare. Però non ho parlato con lui, e non ho parlato con nessuno dal punto di vista dei poteri politici di Bernini come assessore. Repetti è uscito sui giornali ed io sto considerando varie ipotesi, ma quello che è politicamente rilevante da dire al momento, quindi a sette giorni dal voto, è che davvero ad oggi nessun partito mi ha detto: io voglio questo, ti indico questo, ti indico quest’altro …
    Succederà.
    Succederà. Io quello che voglio fare è chiedere ai partiti delle rose di nomi con delle caratteristiche, come cerco di chiederle a varie persone fuori dai partiti. Cioè delle indicazioni, dei suggerimenti, perché alcuni li posso conoscere io personalmente, altri non li conosco. Quindi io vorrei dei suggerimenti e dei curriculum, in modo di provare a documentarmi, cosa che in parte sto già cercando di fare da solo. A oggi dai partiti non mi sono ancora arrivate le rose di nomi, né mi sono arrivate delle indicazioni di pressione; succederà, e poi sceglierò tenuto conto che questa scelta dovrà essere compiuta in tempi molto rapidi, l’approvazione del bilancio entro il 30 giugno impone che la giunta sia costituita molto rapidamente”.
    Cosa dici a chi pensa di non andare a votare domenica?
    Dico due cose. La prima è un richiamo, un po’ scontato, all’importanza del volto come diritto democratico da esercitare sempre, anche se mi rendo conto che in questo momento alcuni possono essere poco sensibili a questo richiamo. Però lo faccio.
    La seconda è l’invito a considerare le differenze, che mi sembrano assolutamente evidenti, tra i due candidati, i loro programmi e i valori delle proposte che avanzano. Una lettura comparata del programma mio e del programma di Musso consente di individuare molto rapidamente delle impostazioni molto diverse.
    Ci sono diverse questioni di fondo che mi sembrano evidenti, che fanno la differenza tra un programma e l’altro. Una è l’idea della politica. Nel nostro programma c’è un’idea della politica come servizio e come voglia di far partecipare i cittadini. Chi amministra non deve essere solo un buon amministratore ma deve assolutamente coinvolgere i cittadini in un percorso complicato di democrazia partecipata. Mentre dall’altra parte c’è uno che dice: io sarò efficiente, sarò un buon amministratore punto e basta. Quindi non pensa al ruolo dei municipi, al dialogo, alla costruzione di processi: questo è un primo elemento forte di differenza.
    Secondo: nel nostro programma c’è quest’idea di beni comuni, di beni pubblici, da fruire e da gestire in modo pubblico, mentre nell’altro c’è l’idea che certi beni possono essere fruiti e gestiti in maniera più efficiente interagendo con soggetti privati, questo modello viene presentato come ottimale.
    Ancora: il problema del rapporto tra lavoro e ambiente. Il nostro programma, in maniera anche faticosa, si sforza di collegare le attività economiche, il sostegno e l’attenzione ad un’economia che funzioni, ad un’idea di sviluppo ambientalmente sostenibile. Dall’altra parte magari si parla di ambiente, ma non c’è assolutamente lo sforzo, la consapevolezza di dover legare lo sviluppo alla sostenibilità ambientale: c’è un’idea di sviluppo-sviluppo, di incentivare l’impresa, il Comune amico dell’impresa… ma non c’è nessuna attenzione a cosa significhi un modello di sviluppo economico ambientalmente sostenibile.
    E ancora su bilancio, funzionamento del Comune e servizi sociali: noi ci poniamo il problema dell’uso di risorse finanziarie limitate e quello che cerchiamo di fare è avere i conti in ordine, ma non tagliare le prestazioni, i servizi che il comune eroga ai cittadini, perché si parte dall’idea che comunque questi servizi pubblici erogati dal comune siano assolutamente essenziali per ridurre le diseguaglianze, perché svolgono una funzione di riequilibrio sociale. E allora ci poniamo in maniera non demagogica il problema delle risorse e ci rifiutiamo di dire che riduciamo l’imposizione fiscale. Dall’altro canto Musso va a dire che non aumenterà le imposte, che farà la lotta agli sprechi, che sarà possibile recuperare nel bilancio comunale le risorse per garantire di tutto e di più. Che è una balla. Tra l’altro per garantire i servizi, ad esempio per quanto riguarda il trasporto pubblico urbano, nel dibattito che ho avuto con lui ha fatto riferimento a quest’idea di project financing per la metropolitana, il che significa individuare dei pezzi pregiati, magari una linea di metropolitana ad alta percorrenza di passeggeri che può avere un rendimento economico accettabile, da gestire in un certo modo, e tutto il resto del servizio gestito pubblicamente“.
    Quali forme di partecipazione prefiguri per i cittadini?
    Io vedo due percorsi paralleli, due strumenti diversi: uno è la partecipazione che passa attraverso un rapporto tra cittadini e istituzioni, per cui la giunta, il comune come struttura, il sindaco, gli assessori, i municipi, i presidenti dei municipi devono essere aperti e capaci di dialogare a diversi livelli coi cittadini. Quindi un percorso istituzionale. Il sindaco considera il presidente di municipio un suo interlocutore, con cui dialoga, con cui si confronta. Oggi ad esempio ero con il presidente di municipio del levante e con alcuni consiglieri di municipi, e dicevo ai cittadini: questi sono i vostri interlocutori, perché sono loro che devono avere il polso del territorio e devono aiutare me a comprendere e leggere il territorio e a trovare le soluzioni.
    Poi c’è un percorso parallelo, politico, all’interno del centro sinistra, quindi del mio schieramento, in cui, come persona che potrebbe avere un ruolo politico di un certo peso, vorrei che scattassero dei meccanismi di partecipazione politica. E allora lì ho uno strumento che è mio, i comitati per la lista Doria, e ormai c’è un gruppo consiliare in consiglio comunale non scarso, con sei consiglieri, attorno a cui ci sarà una struttura, attorno a cui vorrei che gli altri candidati della lista continuassero a svolgere un ruolo … Poi non è che si possa separare a compartimenti stagni il percorso di partecipazione istituzionale da quello di partecipazione politica”.
    C’è poi la rete delle donne per la politica… In giunta vogliamo sei donne
    “Questo è uno dei punti … accetto suggerimenti … che vadano ad aggiungersi a questa rosa di nomi che mi sto costruendo nella mia testa, poi naturalmente ho anche il dovere di rappresentare uno schieramento. Quando mi sono candidato alle primarie, per quanto volessi essere diverso dalle altre persone candidate, partivo dall’assunto che mi candidavo alle primarie del centro sinistra. Ecco, non ho fatto come Leoluca Orlando che si è candidato al di fuori. Io ho scelto quel percorso, ho detto: per me lo schieramento è questo e lì dentro sono, nel senso che vorrei anche che domani governasse il paese, con tutti i limiti che può avere e che dovrebbe cercare di superare … però è questo”.
    Sorprese e delusioni di questa campagna elettorale
    Sorprese … una parziale sorpresa positiva è avere percepito in un pezzo del nostro schieramento la capacità di entusiasmarsi. In alcuni ho trovato una ripresa di entusiasmo positivo per dire: ecco adesso ricominciamo ad occuparci di politica come piace a noi, ragionando dalla società, dal particolare, per arrivare al generale. Era una cosa che speravo che accadesse, che quindi non mi ha sorpreso del tutto, e che mi ha fatto piacere“.
    E le delusioni?
    No, delusioni no. Anche perché ero così arrabbiato, così indignato per come andava il Paese che non mi sembra che stia andando peggio. Quello che poteva esserci di marcio lo sapevo già“.
    Come intendi attuare il tuo impegno verso il quarantesimo candidato?
    Il quarantesimo candidato era questa voglia di mandare un messaggio forte, simbolico, che venisse raccolto, sulla mancanza di diritti importanti per un pezzo della nostra comunità, e sulla nuova cittadinanza. Allora: dovrebbe attribuita all’assessorato sui diritti una specifica competenza di Giunta e competenze specifiche ad alcuni uffici dedicati. Ma più in generale dobbiamo fare lo sforzo di dare un’impostazione al Comune in quanto tale, in modo che tutti gli uffici che interagiscono con una comunità variegata abbiano una sensibilità sul problema.
    Poi, anche in questo caso, secondo me è utile avere un’interlocuzione non soltanto con gli individui in quanto singoli cittadini, ma individuare delle aggregazioni sociali con cui interfacciarsi. Ad esempio le comunità degli immigrati. Mi rendo conto che esiste un problema che non posso eludere: chi rappresenta chi? Però la ricerca di interlocutori è comunque importante. E poi sono necessarie campagne di sensibilizzazione sui diritti, fare uno sforzo per trasmettere agli immigrati questo messaggio: voi, cittadini, avete dei diritti. Io vi informo dei diritti che avete. E poi, se fossi sindaco, vorrei trovare il modo di rapportarmi ad altri sindaci sensibili a questo tipo di impegno. Ecco, questo è importante per dare più forza: non un sindaco che va da solo, ma quattro o cinque sindaci che all’unisono iniziano a sollevare certi temi, e trovano dei modi simili per affrontarli“.
    Una rimostranza che viene fuori spesso è che la qualità dei servizi pubblici diventa sempre peggiore per via delle esternalizzazioni. Quale è la tua posizione a riguardo?
    Sono consapevole della questione: da sindaco mi troverò a difendere la presenza e la qualità dei servizi pubblici gestiti direttamente dal Comune, sapendo che in parte, già ora, certi servizi non sono gestiti solo dal Comune e che, realisticamente, non potrebbero esserlo nemmeno se lo volessi. Quindi si impone il problema della qualità di questi servizi. Ad esempio per la manutenzione delle strade: è chiaro che l’Aster non riesce a fare manutenzione generale delle strade, e che la qualità può essere considerata scadente. Partendo dal presupposto che l’Aster non farà mai tutta la manutenzione complessiva, il problema è quindi come controllarne la qualità. Un modo può essere quello di coinvolgere molto di più i municipi, dando loro risorse da gestire, in un rapporto diretto coi lavori non mediato dall’ufficio comunale, nella speranza che essendo un intervento molto più prossimo sia ai cittadini che al centro di controllo decentrato sul territorio, questo possa significare un maggior controllo sulla impresa che svolge il servizio.
    Poi c’è il discorso delle cooperative, ma questo è un altro campo: quello dei servizi alla persona“.
    Qui c’è il problema delle gare al ribasso.
    E’ necessario rivedere il modo di formulare i bandi per i servizi alla persona e per i servizi sociali evitando due trappole: una è quella delle gare al massimo ribasso che si traducono in uno scadimento del servizi e/o in una compressione dei diritti dei lavoratori. La seconda è la durata dell’appalto: gli appalti brevissimi inibiscono ai soggetti che vincono la gara ogni possibilità di programmazione. Tutto ciò deve essere unito a una capacità di controllo delle prestazioni, il che richiede una competenza interna all’amministrazione comunale“.
    Hai una idea della disponibilità di soldi su cui puoi contare?
    “Si, ho una idea della disponibilità di soldi. I numeri – quelli che ho – sono che il Comune di Genova può avere realisticamente un monte spesa di 800 milioni di Euro, ma di questi la parte flessibile, non vincolata, ammonta soltanto – arrotondo – a circa105 milioni. Tutto il resto sono stipendi, e ammortamento mutui. Questa è la parte su cui si può fare politica di spesa.
    Questi 104 / 105 milioni potrebbero garantire per il 2012 un flusso di spesa simile a quello dell’anno scorso. Ma non è scontato arrivare a questa cifra, e quindi c’è un problema di reperimento di risorse. I tagli ai trasferimenti sono un dato oggettivo, c’è una banda di oscillazione possibile di 22/25 milioni di Euro che se non si recuperano significano proprio azzerare una serie di servizi: questo è il punto del bilancio 2012.
    Poi c’è un discorso di qualità della spesa, e una politica di regolazione: se si adotta un Puc piuttosto che un altro, o se si vincolano determinate aree, se si fanno bandi di un certo tipo per le cooperative.
    Quello che mi dispiace è che avrei preferito di gran lunga, e avrei trovato più giusto, che il bilancio 2012 fosse stato approvato dalla giunta in carica, perché approvarlo a fine giugno, entrando in carica a fine maggio, vuol dire sostanzialmente dover ratificare un lavoro degli uffici. E c’è l’impossibilità di fare operazioni, magari di recupero di risorse aggiuntive all’interno del comune, che richiederebbero più tempo.
    Il bilancio 2013 in teoria potrebbe essere un po’ diverso, a) se cambia il quadro normativo nazionale, e la politica dei trasferimenti. Ma su questo, chissà … b) perché magari nel giro di dodici mesi si potrebbero fare una serie di azioni, di riorganizzazioni all’interno del comune.
    Per converso potrebbero essere previste, purtroppo, delle emergenze – vedi Amt – che in qualche modo chiederebbero a Regione e Comune di tirare fuori risorse aggiuntive per evitarne il collasso. Questo è il primo pericolo grosso, assolutamente realistico“.
    La mancanza di lavoro per le persone giovani, la crisi dell’industria e del porto. Come intendi dare un contributo, nei limiti delle prerogative del comune?
    Secondo me l’amministrazione comunale deve utilizzare il suo ruolo e tutto il peso che può avere per difendere le imprese esistenti. Ci sono casi diversi. Rispetto all’ipotesi di vendita di Ansaldo Energia e Ansaldo STS c’è da considerare l’importanza di mantenere italiane delle imprese che sono un patrimonio comune di qualità dell’industria. Nel caso Ilva le sollecitazioni che ricevo sono di segno più contraddittorio, perché questa impresa, che io comunque da vecchio industrialista voglio cercare di difendere, ha un rapporto tra addetti e territorio assolutamente non ottimale, anche se è del tutto logico per una attività siderurgica, e c’è questo discorso che dal punto vista occupazionale non ha rispettato i patti sottoscritti a suo tempo. Poi se lo spazio fosse occupato da containers sarebbe peggio ancora … ”
    Vorresti ritoccare l’accordo di programma?
    No, dovrei discutere con l’impresa. Dovrei cercare di capire le diverse situazioni con tutte queste imprese e con i loro proprietari, capire come stanno le cose per fare tutto il possibile per dare un sostegno. Certo, per Ansaldo Energia, dovrei parlare non solo con l’amministratore delegato, ma con Finmeccanica e anche oltre, e non solo io come sindaco, ma insieme al presidente della Regione, per dire che la comunità genovese è unita nelle sue richieste al Governo.
    Poi l’altro aspetto è il tessuto delle piccole e medie imprese: l’esigenza è quella dell’efficienza, della velocità nel dare risposte. E magari immaginare – ma non voglio improvvisare – se è possibile per certi settori delle medie imprese creare dei fondi di garanzia, forme di sostegno al credito, ragionando con Banca Carige, e con l’assessorato alle attività produttive della Regione. Poi la politica urbanistica: vincolare delle aree ad attività produttive. Quindi, strumenti diversi per sostenere le Pmi. E per il turismo vincolare la tassa di soggiorno al circuito del turismo, e mantenere un’interlocuzione e un rapporto con gli operatori del settore turistico. Questo è quello che secondo me è ragionevole provare a fare“.
    Con la Vincenzi sindaco si era parlato della necessità di una cabina di regia.
    No, non mi appassiona proprio per niente. Invece quello che ritengo importante è che a livello istituzionale ci sia un’interlocuzione tra i soggetti pubblici che dovrebbero convergere nella loro azione per ottenere un certo scopo. Ad esempio, per la difesa dell’assetto idrogeologico del territorio, ci vuole un’interlocuzione con la Regione e con la Provincia, finché fa i Piani di bacino. Ci sono enti che hanno compiti più di programmazione, di inquadramento legislativo, tipo la Regione, e altri soggetti hanno compiti più di intervento. Non è che ognuno possa andare per conto proprio; qui sì, ci vuole una costante ricerca di interlocuzione tra tutti i soggetti pubblici che si occupano di una certa cosa“.
    Sogni una mostra a Palazzo Ducale: che titolo ha e cosa contiene?
    Non la sogno. Sogno che ce ne siano. E’ un compito della Fondazione Palazzo Ducale immaginare una politica di mostre. Io vedo Palazzo Ducale come un contenitore di iniziative diverse e di mostre diverse. Le ultime due che ho visto, quella di Uliano Lukas, e quella di Goldin su Van Gogh, erano completamente differenti come costi, come taglio, come oggetto, e secondo me stavano bene tutte e due nel contenitore Palazzo Ducale“.
    E una tua? Avrai una mostra nel cassetto!

    Non so … ma sarebbe una mostra proprio di nicchia … una mostra sulla storia della città nelle lotte del novecento …  ma no! Che noia … interessa solo a me“.

    Se dovessi scegliere, come evento, tra Notte Bianca e Genova città dei diritti cosa sceglieresti?
    Città dei diritti.
    Pensi che andrà avanti?
    Vorrei che andasse avanti. Da quello che mi è giunto, ma non ho avuto ancora il tempo di approfondire, ho l’impressione che per il 2012 c’era il rischio che tutto fosse congelato, che c’erano problemi di rapporti, perché la doveva seguire Nando della Chiesa, che era lasciato così un po’ da solo. Siamo già a fine maggio: essendo per me importante, una soluzione potrebbe essere far slittare i tempi all’autunno“.
    (Paola Pierantoni e Giovanna Profumo foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 343: CULTURA – Come è triste Venezia

    I famosi “tagli alla cultura” ci sono venuti incontro nel corso di una visita alle Gallerie dell’Accademia (http://www.gallerieaccademia.org/ ) di Venezia, tesori immersi nella melanconia della trascuratezza.
    Nessuno controlla all’entrata della galleria che i visitatori abbiano fatto il biglietto, e quindi, di conseguenza, se abbiano con sé oggetti inopportuni. 
    Una volta entrati si gira per sale in cui i capolavori della pittura veneta sono esposti ad ogni contatto: i distanziatori spesso sono assenti, o sono costituiti da una simbolica catenella. Nella maggioranza delle sale è assente qualunque sorveglianza.
    Quasi ovunque assenti anche le “schede di sala”, indispensabili in un assetto museale antico, in cui mancano alle pareti quadri che illustrino le opere esposte. A volte manca perfino la targa che indica titolo e autore dei quadri.
    Fuori uso l’ascensore che porta alle toilettes. Qualche libro sul bancone della biglietteria costituisce tutto il “book shop” del museo.
    Tanto i visitatori, in questa Venezia sommersa dal turismo ci vengono lo stesso, pagano quello che devono in ristoranti e alberghi, e tanto basta.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)