Categoria: ILVA

  • OLI 355: ILVA – Genova chiama Taranto – Taranto risponde

    “L’acciaio serve ancora alla nostra manifattura, alla stessa green economy e quindi, da qualche parte, si deve pur produrre, quindi abbiamo bisogno in Italia dell’acciaio primario e accettiamo che venga prodotto a Taranto ma non è più possibile continuare a produrlo alle condizioni in cui è stato prodotto fino ad adesso. L’azione della magistratura e soprattutto la straordinaria mobilitazione popolare oltre che una feconda anche se conflittuale riflessione all’interno del mondo del lavoro ci fanno sperare che finalmente queste condizioni cambino in meglio. Come Legambiente abbiamo deciso di accettare questa scommessa non facile da sostenere quando la gente non ne può più, la pazienza è ridotta a zero e i cui risultati non sono affatto scontati. Per farcela servono rigore, serietà e impegno da parte di tutti. Serve un atteggiamento dell’impresa Ilva meno furbo e arrogante e più orientato alla trasparenza e all’onestà intellettuale. Servono importanti investimenti per risanare e innovare gli impianti e per la bonifica di ciò che è stato compromesso. Il come si supererà a Taranto questa crisi ci dirà molto sulla politica industriale dei prossimi anni nel nostro paese”.
    Sono alcuni stralci della lettera inviata da Maria Maranò di Legambiente Taranto all’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa” promosso da Legambiente il 26 ottobre. Maranò su Genova ha scritto: “I segnali che ci sono arrivati, tramite i mass media non sono stati confortanti, anzi li abbiamo valutati poco rispettosi della complessità della crisi che la popolazione tarantina sta vivendo e per certi versi anche un po’ miopi – mi riferisco alla dichiarazione fatta dal sindaco a seguito del provvedimento della magistratura di avvio della fermata di alcuni impianti, ricordo che sono ancora tutti in funzione – e alla scelta dei lavoratori di scioperare contro il provvedimento (la Fiom a Genova non ha aderito allo sciopero del 10 ottobre ndr). Far coincidere gli interessi dell’azienda Ilva con il diritto al lavoro è a nostro parere sbagliato, alimentare nei fatti la contrapposizione tra chi chiede il diritto al lavoro e chi chiede il diritto a non ammalarsi per eccesso di inquinamento ambientale non farà fare passi avanti a nessuno.

    Su OLI avevamo scritto cosa i politici genovesi presenti in sala – Biasotti e Bernini – dicevano del rapporto con Riva a Genova, dell’accordo di programma, e dell’occupazione sulle aree di Cornigliano. Grazie ai dati forniti da Federico Valerio, chimico ambientale, chi era presente in sala ha potuto cogliere le differenze a livello sanitario tra il prima (area a caldo e cokeria) e il dopo (siderurgia a freddo). Dalla scorsa settimana la cronaca ha registrato la morte di Claudio Marsella, avvenuta al movimento ferroviario dello stabilimento di Taranto martedì scorso. Si tratta della quarantatreesima vittima del siderurgico dal 1992 ad oggi. Una disgrazia che ha acuito lo scontro tra Usb e Comitato dei Liberi e Pensanti da un lato e Fim, Fiom, Uilm dall’altro. La Repubblica ed. Bari scrive che sotto accusa è un  accordo  firmato “nel 2010 che prevedeva un solo addetto a guidare le macchine di reparto. Lo scontro, martedì sera, per poco, non è diventato fisico.
    La morte di Claudio impone una riflessione totale, molto seria su tutti gli stabilimenti, sulle relazioni umane, sindacali e sulla sicurezza tra tutti i lavoratori. Anche per questa ragione, l’intervento di Federico Pezzoli – RSU Fiom Ilva Cornigliano – all’incontro del 26 ottobre merita una riflessione a parte. (continua)
    (Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 354 – ILVA : Genova chiama Taranto, tra bilanci politici e prevenzione

    “Riteniamo illogico considerare inevitabile che ogni anno ottantamila quintali di residui aerei del centro siderurgico di Taranto debbano cadere sulla città”. “L’introduzione di nuove tecnologie e di nuovi sistemi organizzativi non è un momento unico e definitivo dell’azienda moderna ma fa parte di un processo continuo di crescita dell’apparato produttivo che noi rivendichiamo perché ad esso è legato lo sviluppo economico della collettività”.
    E’ un estratto degli atti della conferenza nazionale di Cgil, Cisl e Uil dal titolo “La tutela della salute negli ambienti di lavoro”, marzo 1972.
    Ne ha dato lettura, il 26 ottobre, Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria promotrice dell’incontro “Genova chiama Taranto. Il caso acciaio. Ambiente e lavoro sono la stessa cosa”. Nel salone di rappresentanza del Comune di Genova manca, però, il pubblico delle grandi occasioni. Peccato. Perché, dopo aver riempito piazze, fatto assemblee, subìto il ricatto lavoro-ambiente, quella di venerdì si è dimostrata una preziosa occasione di riflessione, lontano dai riflettori, per fare il “punto nave”, come dicono in produzione. Un’occasione per ragionare sulle scelte politiche genovesi, criticarle o rivendicarle ricordando le vicende che hanno reso possibile superare il ciclo a caldo a Cornigliano.
    Quindi Bernini e Biasotti, per la parte politica e istituzionale, rappresentanti di Legambiente e Federico Valerio, chimico ambientale, per la tutela della salute e del territorio, Federico Pezzoli, RSU Ilva Cornigliano, per il lavoro, hanno messo a fuoco i punti salienti di una storia in divenire in cui Riva – Emilio, famiglia, società? – è stato a tratti o deus ex machina o spietato padrone delle ferriere. Comunque sempre soggetto difficile da controllare.

    Così quanto dice Bernini sulle aree: “Il conto è stato fatto sul lavoro che poteva essere dato” e “la parte liberata e già destinata dalla società per Cornigliano ad attività portuale” in parte occupa addetti “ma la quantità di occupati per metro quadrato non è soddisfacente”, si arricchisce con gli “aneddoti” di Biasotti su come Riva fosse stato abile ad ottenere da Mori, suo predecessore in regione Liguria, mille volte di più di quello che aveva prima: dai cinquant’anni di concessione, all’abbuono di tutti i canoni che mai aveva pagato, insieme a tutta una serie di vantaggi. Vinte le elezioni regionali nel 2000, il Senatore Biasotti fa  “l’ambientalista” e dice una serie di no. Nel suo album di ricordi anche l’imbarazzo per l’assegno “milionario” staccato da Riva a Berlusconi per la campagna elettorale del 2001. In merito “al contratto fatto nel 2006” con Riva il senatore dice: “Purtroppo ha una grave lacuna: non lega i metri quadrati che gli sono stati dati ai dipendenti, tant’è che oggi ci sono 1500 operai mentre lui dovrebbe farne lavorare 2400. Questo è un fatto grave.” Ma Biasotti non deve fare ammenda perchè lui quell’accordo non l’aveva firmato.
    La chiusura della cokeria di Cornigliano – ha spiegato Federico Valerio dell’Ist – ha permesso un abbattimento immediato di malattie e ricoveri, anche dei bambini del quartiere. E ha reso gli abitanti di Cornigliano simili a quelli di altre parti della città che comunque hanno a che fare con l’inquinamento automobilistico, che è altra cosa da quello di una cokeria. La cokeria ha spiegato Valerio non si può ambientalizzare perché intrinsecamente produce fumi cancerogeni. Dell’esperienza Ist beneficerà l’agenzia per l’ambiente pugliese che ha adottato la procedura degli studi epidemiologici genovesi. Tuttavia ha aggiunto Valerio “il sottoscritto che ha diretto quel laboratorio e ha ottenuto quei risultati è andato in pensione e nessuno sta pensando di sostituirlo, perché della prevenzione primaria non gliene può fregare niente a nessuno. Non rende.” Ma i dati ci sono e non bisogna perdere la memoria storica. Si è capito che le acciaierie a ciclo integrale costruite a meno di duemila metri dall’abitato diminuiscono l’aspettativa di vita. La salute non è una cosa vaga, ha spiegato Valerio, e un tumore polmonare costa cinquantamila euro per il ciclo chemioterapico con pochissime probabilità che serva a qualcosa. Basta pensare agli effetti devastanti all’amianto.(Continua)
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 353 – ILVA: Genova-Taranto, ieri e Oggi

    “Trenta per cento: l’incremento stimato di leucemie e tumori a Taranto rispetto alla media italiana”
    Ricavo questa frase da un box pubblicato in un articolo dal titolo “SOS Taranto – cinquant’anni di veleni, ancora nessun colpevole”. Viene intervistato il procuratore capo del tribunale di Taranto, vengono forniti nel dettaglio i dati delle emissioni inquinanti. Si parla di diossina, del quartiere Tamburi, di un incremento allarmante dei tumori. Non ho sotto gli occhi una rivista scientifica, ma un’uscita del settimanale Oggi datata 14 gennaio 2009. Quasi quattro anni fa.
    Ancora prima, nel 2008, Nichi Vendola, aveva fatto stampare un libro con con la Taranto avvelenata illustrata dai bambiniE qui, a Genova, nel Maggio 2008, Alessandro Langiu, in occasione del Festival delle Energie Collasso Energetico, aveva messo in scena “Venticinquemila granelli di sabbia” trascinando il pubblico – davvero esiguo – nel quartiere Italia che del Tamburi era fotocopia teatrale.
    Informazioni, spettacoli off – è il caso di dirlo – libri, ci sono stati accessibili come ciliegie sull’albero. E quello che si legge adesso sui giornali pare essere il risultato del disinteresse di chi non voleva sapere.
    Da marzo, OLI 338, ad oggi anche i lavoratori dell’ILVA di Genova sono stati trascinati nell’incubo insieme a quelli di Taranto. Genova è legata al destino del Siderurgico e le scelte che verranno prese da qui ai prossimi giorni saranno determinanti per tutto il gruppo ILVA.
    Le vittime? Sempre i soliti, lavoratori e cittadini, che a qualcuno farebbe comodo veder schierati l’uno contro l’altro una guerra che impedisce di riflettere e soprattutto di cogliere la sfida che ci dice che è possibile produrre acciaio e salvaguardare l’ambiente.
    Per chi volesse approfondire, questa settimana, a Genova, due appuntamenti importanti.
    Oggi – mercoledì 24 ottobreore 20.30 in via Monticelli 25 r, (civico 9) il Centro Documentazione Carlo Giuliani proietterà il video La svolta, donne contro Ilva . Dopo la visione, dibattito con Aris Capra Responsabile dello sportello sicurezza Cgil.
    Venerdì 26 ottobre alle ore 17.00, Il caso acciaio – Ambiente e Lavoro sono la stessa cosa. Salone di rappresentanza di Palazzo Tursi -Via Garibaldi. Introduce e presiede: Santo Grammatico (Presidente Legambiente Liguria) Interverranno: Stefano Bernini (Vice Sindaco di Genova) Sandro Biasotti, (Senatore della Repubblica) Maria Maranò, (Legambiente Taranto) Stefano Bigliazzi (responsabile Centro Azione Giuridica Legambiente) Liguria Stefano Sarti (Vice Presidente Legambiente Liguria) Federico Pezzoli (RSU Ilva Cornigliano) Federico Valerio (Chimico Ambientale) Conclude Stefano Ciafani (Vice Presidente Nazionale Legambiente) .
    (Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 338 – ILVA: Taranto, Genova tra occupazione e ambiente

    Ilva. Sono scesi in piazza in ottomila a Taranto per difendere lo stabilimento siderurgico. Tutti operai. L’hanno fatto perché “il cancro è solo eventuale, ma se la fabbrica chiude la fame è certa”, così ha dichiarato uno di loro al giornalista del Corriere della Sera.
    A muoverli, pare, non tanto il sindacato, quanto il padrone del più grande stabilimento siderurgico europeo. Quello che dà a loro il pane.
    Su il Fatto quotidiano la sintesi della perizia che fotografa la situazione ambientale nella cittadina pugliese: “Le emissioni dello stabilimento Ilva causano malattie e 90 morti l’anno nella popolazione di Taranto” questo hanno stabilito “i medici nominati dal gip Patrizia Todisco nella perizia epidemiologica per comprendere lo stato di salute dei tarantini in relazione agli inquinanti emessi dallo stabilimento siderurgico.” Il record di decessi e malattie croniche “spetta al quartiere Paolo VI”.
    Alta, tra i dipendenti dello stabilimento siderurgico, è la preoccupazione per le conseguenze che l’indagine aperta in procura sull’inquinamento causato dall’Ilva potrà avere sul loro posto di lavoro. E se c’è l’ansia dei padri per le malattie dei figli, ostinata e contraria è quella per la perdita del lavoro. Ambiente e occupazione a Taranto fanno fatica a parlarsi in questi giorni.
    Ed anche l’accordo di programma di Cornigliano, nella dichiarazione di un operaio tarantino, diventa un esempio preciso: “A Genova l’Ilva ha chiuso l’area a caldo e la gente è rimasta a spasso. Questo non deve accadere pure a Taranto”.
    Nichi Vendola è alla ricerca dell’equilibrio “fra la vita di una grande azienda, il più grande polo siderurgico d’Europa, e il diritto alla vita e alla salute della comunità tarantina, a cominciare dai residenti che vivono nei quartieri a ridosso dei parchi minerari, del grande insediamento industriale”.
    Genova, che queste vicende le conosce bene, pare distante un oceano da Taranto e molto distratta.
    Anche inconsapevole di quanto Cornigliano dipenda a livello produttivo dallo stabilimento pugliese. Quell’inchiesta riguarda anche lei.
    (Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 337: ILVA – L’ Accordo di Programma e La Strada

    L’Accordo di Programma li ha lasciati a piedi.
    E non c’è da stupirsi. Perché l’Accordo di Programma è una bestia vecchia di sette anni, bisognosa di attenzioni. E nell’Accordo è citata una strada.
    Dal 1 marzo il servizio navetta da Villa Durazzo Bombrini di Cornigliano all’accesso est dell’Ilva di Genova è stato sospeso dal gruppo Riva, che spiega come non dovesse essere tenuto a fornirlo.
    In termini di tempo del lavoratore significa un quarto d’ora a piedi – in una strada pericolosa, soggetta a cantiere – più il tempo per raggiungere il proprio reparto dopo aver varcato i tornelli.
    E a subire, tra i molti, sono soprattutto le donne-ragazze a mezzo pubblico impatto zero. Quelle che fanno la spesa “nell’ora”, che acciuffano il treno delle 17.50, che hanno da arrivare a casa.
    L’accordo di programma ha impacchettate anche loro. E lasciate a piedi.
    Perché l’azienda, in base all’Accordo, chiede che AMT metta a disposizione il servizio navetta per i dipendenti Ilva, e che – completata la strada di collegamento tra la viabilità pubblica e il nuovo accesso est dello stabilimento – AMT e Comune di Genova prevedano una linea di trasporto urbano a servizio della portineria Est dello stabilimento.
    E la politica cosa dice in merito all’assenza di mezzi per raggiungere uno dei siti produttivi più importanti della città?
    Cosa si dice di Cornigliano e delle sue aree? Perché in campagna elettorale nessuno ha avuto nulla di significativo da dire sull’Accordo di Programma?
    In un clima di surrealtà si suggerisce la visione del trailer di un classico del cinema italiano: La Strada. Appunto.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 294: ILVA – Di nuovo le donne

    Fotografia tratta dal sito di La Repubblica, ed. Bari

    Questa volta sono le “Donne per Taranto”, città che vive sotto i fumi dell’Ilva. Donne che si costituscono in comitato “a favore della tutela della vita e della salute“, per chiedere “la creazione di mappe epidemiologiche”, per rivendicare una “economia più pulita che non causa inquinamento e distruzione”, donne che si preoccupano del fumo rosso che grava “sulle case dove vivono i nostri bambini”.
    Ne parla – isolatamente – La Repubblica del 21 marzo, pagina nazionale, con un articolo di Giovanni Di Meo.
    Anche a Genova furono le donne del Comitato salute e ambiente a mettere – antipaticamente – in discussione il fatto che fosse “inevitabile” pagare in salute il diritto al lavoro. A sparigliare gli equilibri, a percorrere la via della “irragionevolezza”, a chiedere a industriali, istituzioni e sindacato la capacità di progettare un lavoro che non facesse male.
    Le donne tarantine richiamano in un loro comunicato quel che avvenne a Genova, l’indagine epidemiologica che nel 2001 determinò la decisione di chiudere l’area a caldo dell’Ilva, ma ormai l’idea che l’Ilva di Cornigliano e quella di Taranto appartengano allo stesso gruppo sembra svanita dalle coscienze. Anche quella del sindacato: che ognuno si arrangi con le sue polveri, il suo inquinamento, le sue malattie e la sua disoccupazione.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 282: ILVA – L’intensa giornata di Claudio Burlando

     Burlando, 25/4/10

    Lunedì 13 dicembre 2010 visita di Claudio Burlando all’Ilva di Genova.
    E’ stato ricevuto, nel seguente ordine, da Emilio Riva e figlio per una “colazione”, il pranzo un tempo si definiva così. In seguito dalla RSU. E in fine da un gruppo di lavoratori – leggasi comitato – che nel mese di novembre ha condiviso con la stampa locale preoccupazioni sul futuro dello stabilimento siderurgico.
    Giornata intensa quella del presidente della regione, accompagnato nella vista da un collaboratore e da una collaboratrice. Anche perché l’attacco dei 112 aderenti al comitato era assai puntuale e sollevava domande precise su futuro di aree, lavoro e fabbrica.
    Giornata intensa poiché il presidente Burlando pareva avesse come obbiettivo quello di essere rassicurato sul lavoro svolto. Politicamente parlando.
    Giornata nella quale il solco tra sindacati e comitato di cento dei lavoratori rientrati dagli enti pubblici si è fatto più profondo vista l’agenda del presidente e la distanza ormai certificata tra i due gruppi. Ma nei due mesi trascorsi, purtroppo, non è stato possibile fissare un’assemblea sindacale di tutti i lavoratori, strumento assai utile per sciogliere i nodi che man mano venivano al pettine.
    Giornata inutile quella del presidente Burlando che occasioni di ascolto ne avrebbe potuto creare a dozzine nei cinque anni trascorsi e che si ritrova adesso a ricevere piccoli insiemi ognuno con le proprie verità.
    Vero sarà infatti che il gruppo Riva ha intenzione di far ripartire ad aprile il quarto altoforno a Taranto, con conseguente incremento di attività produttive sullo stabilimento genovese.
    Vera sarà la garanzia di salario – verificabile nei prossimi mesi – dei lavoratori rientrati dopo la loro attività in comune e provincia.
    Vera la preoccupazione di chi – dichiarato “esubero temporaneo” – fatica a scorgere un futuro.
    L’idea politica che è mancata a Burlando oggi – sono passate le stagioni elettorali di Maestrale – era quella di ricevere proprietà, RSU e comitato tutti insieme, pacatamente. Magari in una pubblica assemblea. Mettendo in condizione ogni gruppo di confrontare il proprio punto di vista. Valorizzando lo sguardo di ognuno. E fare sintesi.
    Perché di temi in agenda ce ne sono parecchi, disposti a ventaglio a partire da tutte le aree di Cornigliano per arrivare a centrale elettrica, amianto e mobilità.
    Scoraggiante, come delegata Fiom, è stato dover richiamare l’attenzione del presidente Burlando, che messaggiava sul suo cellulare mentre, in RSU gli esponevo il mio punto di vista.
    Mi chiedo se ha fatto la stessa cosa durante la colazione con la proprietà.

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 278: ILVA – I figli dell’accordo

    Italsider 1953 –  Foto (C) Giorgio Bergami

    Adesso che Malacalza se n’è andato a La Spezia con le sue dieci bobine sulle spalle – manufatti politicamente enormi –  il sindaco Marta Vincenzi sente la necessità di ridiscutere la questione aree di Cornigliano con relativa capacità occupazionale.

    Le dichiarazioni sui quotidiani genovesi si sprecano e le istituzioni, anziché proporre un progetto proprio, continuano ad invitare Riva a cedere aree, e al tempo stesso lo coinvolgono in cordate di salvataggio del teatro dell’Opera, con un atteggiamento schizofrenico, decisamente incomprensibile.
    Nulla si dice di coloro che, dopo una collocazione negli enti pubblici durata cinque anni, sono rientrati nello stabilimento siderurgico. La stampa scrive che hanno lavorato nel mese di ottobre una sola settimana – alcuni anche meno – e sono rimasti a casa per tre.
    Nell’attesa che il rientro si armonizzi con tempi e salario più umani e che i contratti di solidarietà vengano condivisi in maniera equa tra tutti gli addetti dello stabilimento, quei lavoratori si sarebbero aspettati da Marta Vincenzi, oltre che un saluto – arrivato solo dall’assessore Margini – una riflessione politica più ampia. Per esempio relativa allo spreco di risorse umane – prima operative nei molti settori di Comune e Provincia – oggi affidate ad un programma di rientri legato indissolubilmente ad una crisi siderurgica gravissima. Che vede allontanare sempre di più il traguardo di un lavoro vero.
    La richiesta, fatta a fine settembre dal sindaco Vincenzi al gruppo Riva di versare due milioni di euro per continuare il lavori di pubblica utilità negli enti pubblici, è apparsa assai tardiva, molto simile ad uno spot per consolare coloro che dicevano che in stabilimento di lavoro non ce ne sarebbe stato per tutti.
    E non si può certo dire che il tempo per pensare e proporre non ci sia stato in cinque anni.
    Se non fosse vera questa storia sarebbe ridicola. Buffo lo spostamento dalla siderurgia agli enti pubblici per tornare in siderurgia. Strani i percorsi attraverso i quali i lavoratori dell’ILVA sono dovuti passare per essere formati e imparare nuovi lavori, grande la capacità di adattamento sempre nuova richiesta loro a fronte di un salario decisamente ridotto nella busta paga di ottobre.
    Molti di loro si dichiarano “figli dell’accordo di programma”. Ma sono solo figli dello spreco: di soldi, di risorse. E di idee.
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 274: ILVA – Perché quegli sguardi avviliti?

    Mercoledì 13 ottobre. Fabbrica di Cornigliano, 8.30 del mattino.
    Le macchine scivolano alla spicciolata nel grande parcheggio davanti alla portineria.
    Si sono lasciate alle spalle un lungo percorso costeggiato da container colorati.
    No. Non ci sono giornalisti della stampa locale a raccontare il fatto. Anche se la prima tranche di rientri in fabbrica – 55 dipendenti – dopo cinque anni di cassa integrazione, è di certo un evento cittadino. Occasione unica per chi vorrebbe occuparsi di cronaca del lavoro.

    Le facce, soprattutto donne, sorridono beffarde all’ineluttabile. Impiegate over quaranta che si salutano e si abbracciano per poi cercare nella borsa il badge, scovato nei cassetti e dimenticato per un lustro, puntualmente scambiato con l’addetto della proprietà con un pass più nuovo e meno ingiallito. Ma con la stessa foto vecchia di anni.
    La fabbrica alla loro destra sembra inerte, come chiusa dentro il suo imballo azzurrino. Alla loro sinistra il cantiere è in movimento. Un pullman – sedili imbottiti e impolverati – le accompagnerà insieme ai colleghi alla scuola siderurgica per il loro primo giorno di lavoro. Che è poi formazione.
    Nella catena di montaggio che li ha visti oggetto dell’accordo di programma donne e uomini si sono sentiti spostati come merce da una fase all’altra di un ciclo che li ha visti in azienda, poi in Comune e Provincia, ed oggi ancora in azienda. E il 13 ottobre non esitano a dichiararsi “merce di scambio”.
    Dopo di loro, a scaglioni, entreranno gli operai. Per tutti è prevista una settimana in fabbrica e tre a casa. Con salario tutelato.
    Con una proposta così di che si lamentano?
    E perché quegli sguardi avviliti?
    Gli hanno spiegato che lavoreranno meno che negli enti pubblici. Li hanno esortati a comprendere che questa è la madre di tutti gli accordi che verranno dopo. Hanno detto loro che l’offerta è talmente innovativa da essere stata d’ispirazione per il teatro dell’opera cittadino. E loro stessi hanno detto sì al contratto di solidarietà consapevoli che in cambio ci sarebbe stato il vuoto.
    Capire perché sentano di non avere in mano nulla, e perché avvertano l’assenza totale di un progetto occupazionale serio è compito di sindacato e politica. Nessuno dei due ha affrontato la questione con serietà. Nessuno dei due ha registrato i picchi di un malessere molto diffuso che insieme al salario chiedeva l’impegno su un’occupazione vera.

    In immagine, la lettera che l’assessore Margini ha inviato in questi giorni ai cassintegrati ILVA rientrati in stabilimento in ottobre.

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 271: ILVA – Un documento non si nega a nessuno

    No. La vicenda Ilva non è un’emergenza. Ma è il risultato di una disattenzione gravissima. Per molti è stato difficile farsi una ragione del perché si sia dovuti arrivare, a tre giorni dalla scadenza della cassa integrazione e dei lavori di pubblica utilità, senza sapere ancora quali sarebbero stati luogo di lavoro e mansioni per i dipendenti Ilva che da cinque anni in carico agli enti locali. Oggi 28 settembre, dopo un incontro in Comune, una riunione in Confindustria e un Consiglio Comunale monotematico, i lavoratori si possono alimentare solo di intuizioni.
    Chiunque avesse scorso gli articoli pubblicati sulla vicenda Acciaierie di Cornigliano dal 2005 ad oggi, avrebbe potuto, con estrema facilità, prevedere il quadro e coglierne gli aspetti di maggior criticità – dalla crisi siderurgica, alla cassa integrazione ordinaria, dalle riunioni con l’azienda alle sollecitazioni di sindacato e lavoratori. Sino alle vicende amianto e aree. Un insieme di problemi che messi in fila, con il minimo di buon senso richiesto a enti locali, governo e sindacato, avrebbero facilmente fornito spunti per far fronte con ampio anticipo allo scenario che si prospetta oggi. E’ un fatto che, solo a distanza di due giorni dalla scadenza della proroga di cassa e lavori di pubblica utilità – voluta e finanziata totalmente da Regione Liguria – i lavoratori Ilva hanno qualche elemento in più sul loro status giuridico a decorrere dal 1 ottobre.
    Il Gruppo Riva aveva da tempo esposto la sua soluzione: far rientrare tutti in fabbrica ricorrendo ai contratti di solidarietà. Soluzione presentata nel Collegio di Vigilanza del 24 agosto, nel quale l’azienda aveva fatto presente che la scadenza del quinquennio di cassa poneva un limite inderogabile alle richieste di proroghe.
    Ma la proposta di rientro per i cassintegrati – una settimana al lavoro, tre a casa – ha fatto emergere dubbi sulla reale capacità occupazionale dello stabilimento, oggi in crisi, e sul quale, a regime, ognuno fornisce numeri troppo contradditori (1800 azienda, 1600 Fiom, 1300 altri osservatori).
    A questa va aggiunta la perplessità in relazione alla chiusura dell’accordo di programma a partire dai 70 milioni di euro scritti nell’accordo e mai versati dal Governo all’Autorità Portuale per arrivare alla totale assenza della centrale termica. Con l’azienda che ha dichiarato di non aver nessun interesse a ridiscutere un accordo che, per quanto la riguarda, considera rispettato.
    Alle infinite richieste di convocazione di un tavolo romano, avanzate dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria, nessuno dalla capitale ha mai risposto. E questo rilevante elemento ha permesso alle istituzioni locali di dichiarare di aver fatto, comunque, il possibile.
    La richiesta, datata 25 settembre, del sindaco Vincenzi al gruppo Riva, di finanziare con 2 milioni di euro la proroga dei lavori di pubblica utilità e di capire con l’azienda le reali strategie e il piano di rilancio, ha il sapore del sale buttato nella pasta a fine cottura.
    Muoversi prima, politicamente, voleva dire altre cose. Molto semplicemente, all’interno del Collegio di Vigilanza, chiedere quel tavolo almeno un anno fa.
    Il Consiglio Comunale monotematico sulla vicenda Ilva, in questo momento, è ancora in corso, la discussione a cui ho assistito fino a poco fa mi è parsa desolante. Nella migliore delle ipotesi, verranno prodotti due documenti separati.
    Come ha fatto notare cinicamente un sindacalista navigato “un documento non si nega a nessuno”.
    (Giovanna Profumo)