L’incontro è un rendez vous elettorale per sponsorizzare il possibile cambio di casacca del
Municipio. Ci sono un po’ di candidati e tra questi un giovane con un percorso politico già alle spalle. So che si è laureato e gli chiedo dunque cosa fa di bello, dove lavora.
“Per ora nulla” mi risponde ed io resto un po’ lì. “ Mi spiace”, mormoro, “ A Genova è difficile, però con la tua laurea da ingegnere..”
“Non ho ancora avuto tempo”..
“Ma non ti sei laureato all’inizio dell’anno?”
“Sai l’esame di stato e poi le primarie.., ho un appuntamento, scusa, ciao”
Deve aver visto la mia faccia un po’ basita ed io avevo dimenticato che era al seguito della
senatrice. Dunque a 27 anni con una laurea in tasca un ragazzo non cerca lavoro per quel che ha studiato, ma cerca lavoro nella politica.
Così ai seggi elettorali, un altro giovane candidato, di anni 28, con laurea triennale mi confessa che se la sta prendendo con calma per la specialistica, anche lui ha avuto molto da fare, è nello staff dell’altro professore.
A sentire questi ragazzi viene una crisi di coscienza: che razza di messaggio abbiamo passato?
Com’è potuto accadere che in tempo di crisi giovani brillanti non pensino ad un’occupazione ma a collocarsi nella politica, facendone un “mestiere”?
L’idea scorrazza da destra a sinistra ed è talmente “normale” che nessuno ci fa caso, anzi
si stupiscono che tu ti stupisca di fronte a giovani che pensano al loro futuro di individuo,
programmandosi una carriera politica come professione.
Riusciranno ad essere vicini alle problematiche dei loro coetanei?
Non si voleva così un rinnovamento della politica, non era nel conto di chi voleva, di chi vuole un cambiamento, non è una mera questione di carta d’identità.
Diventa allora vitale l’essere eletti e la disinvoltura nei comportamenti per raggiungere la meta.
Come è capitato ad un elettore delle primarie, che si è visto messaggiare proprio da uno di questi giovani rampanti, il quale proponeva la sua candidatura di giovane, laureato, quasi l’annuncio personale di una volta, mancava la bella presenza.
Nessuna remora a muoversi border line, per aver violato la privacy, per essersi servito di un numero di telefono che un cittadino in buona fede aveva reso disponibile. Fiducioso l’elettore aveva lasciato il suo recapito telefonico al seggio e soltanto su quegli elenchi compariva il suo cellulare, ma ad una richiesta di spiegazioni, si è visto rispondere v.f.c.
(Bianca Vergati)
Categoria: Società
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OLI 343: SOCIETA’ – Giovani professionisti della politica
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OLI 339: SOCIETA’ – Càssego: l’eredità di don Sandro
Càssego, 14 aprile 2012. Foto Giorgio Bergami Sabato 14 aprile si è tenuta a Càssego, in val di Vara, frazione di Varese Ligure, una tavola rotonda alla quale sono intervenuti tra gli altri Manlio Calegari, Diego Moreno, Massimo Quaini e altri studiosi che da decenni seguono lo straordinario lavoro che il parroco, don Sandro Lagomarsini, sta conducendo con la sua comunità.

Càssego, Museo contadino. Foto Giorgio Bergami 1976 Pretesto per l’incontro è stato il quindicennale di una contesa tra comune e parrocchia per la proprietà del piazzale della chiesa, che ciascun ente rivendica per sé. In realtà il dibattito ha sviluppato più ampie riflessioni sull’esperienza-modello che don Sandro sta portando avanti dalla fine degli anni ’60, sulle orme di don Milani: un doposcuola aperto a tutti, affinché si riacquistino con la cultura la consapevolezza e la stima delle proprie origini e si decida di rimanere in questa terra. Naturale complemento di questo percorso fu quasi subito la costituzione di un Museo contadino, frutto di un’azione collettiva di raccolta di oggetti e di memorie durata alcuni anni, aperto al pubblico nel 1975 e continuamente aggiornato fino ad oggi.
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Càssego, indumenti di mezzalana.
Foto Giorgio Bergami 1976Nella discussione si è ragionato sull’eredità politica e soprattutto culturale di don Sandro, non senza amare considerazioni su come le idee e le proposte elaborate negli anni ’70 continuino ad essere tuttora attuali, ma nel disinteresse o addirittura nell’ostruzionismo di enti pubblici che tendono a privilegiare quanto è di moda e muove grandi flussi di soldi – si pensi ad esempio al business del “biologico” in campo alimentare e nell’abbigliamento – piuttosto che dedicare particolari attenzioni a quanto produce altri tipi di ricchezze non convertibili in denaro, come quella culturale e il benessere morale e sociale.
Atteggiamento diffuso non solo in ambito rurale, ma ancor più nelle pubbliche amministrazioni urbane.
L’evento è stato fotografato da Giorgio Bergami, già autore quasi quarant’anni fa delle immagini che nel frattempo venivano proiettate, riguardanti i primi allestimenti del museo e il suo patrimonio di testimonianze di vita e di lavoro delle passate generazioni.
(Ferdinando Bonora) -
OLI 337: SOCIETA’ – 8 marzo, maschilismo italiano
Il 9 marzo le donne della CGIL di Genova hanno organizzato un’interessante iniziativa in occasione della giornata della donna dove è stata proiettata la piece “libere” di Cristina Comencini ed è stato distribuito del materiale informativo tra il quale un opuscolo contenente le tappe storiche delle conquiste dei diritti da parte delle donne italiane, dal 1900 ad oggi. Nel 1902 si introduce, ad esempio, la prima forma del “congedo di maternità”, nel 1946 il diritto al voto e nel 2009 la legge anti stalking (atti persecutori).
Nel documento non c’erano due tappe fondamentali nel cammino per i diritti delle donne italiane: la prima é del 1975, quando le donne italiane conquistano il diritto di mantenere la propria cittadinanza italiana sposando un cittadino straniero, grazie alla sentenza n.87/75 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di una precedente norma che prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna. La seconda è del 1983 quando le donne italiane conquistano il diritto di trasmettere la cittadinanza italiana ai propri figli di padre straniero, grazie alla sentenza n.30/83 della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittima una norma del 1912 che stabiliva la condizione di cittadino solo per i nati da padre italiano.
Fino al 1975 la donna italiana perdeva la propria cittadinanza italiana quando sposava un cittadino straniero e fino a 29 anni fa (1983) i figli di una donna italiana coniugata con un cittadino straniero erano come gli immigrati e dovevano chiedere il rilascio del permesso di soggiorno. Sono due esempi lampanti sul maschilismo della società italiana e su quanto occorre lottare ancora per raggiungere condizioni di pari opportunità. Ciononostante, molti italiani ed, ahimè, italiane preferiscono occuparsi del maschilismo di altri popoli e religioni e non si accorgono delle disuguaglianze, delle disparità e delle violenze che subiscono le donne italiane. Ed in molti casi questo interesse verso il maschilismo di altri popoli è finalizzato a giustificare ed a diffondere stereotipi, xenofobia e discriminazioni nei confronti degli uomini e delle donne che appartengono a quei popoli che vivono in Italia.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 332: SOCIETA’ – I “No Moschea” scivolano … sul pesto
Corriere Mercantile, venerdì 17 febbraio, uno scarno trafiletto annuncia la prossima presentazione per le elezioni di una lista civica del Comitato Cittadini Centro Est, che da anni si oppone alla costruzione della moschea di Via Bianco a Genova Lagaccio. Associata alla notizia, una foto proveniente (si suppone) da una delle manifestazioni anti-moschea, in cui un manifestante mostra il cartello “Mezzaluna, sì ma… pe u pestu!”, che invita ad usare la mezzaluna, simbolo della religione islamica, solamente come attrezzo di cucina. Notevole la “raffinatezza” del messaggio, del resto all’altezza dell’incompetenza degli estensori. Le nostre nonne hanno insegnato ad usare le mezzaluna per tritare verdure e preparare soffritti, ma non il pesto, per favore!
La ricetta originale può vedere infinite varianti nella dosatura dei componenti, possono aumentare o diminuire le quantità di formaggio parmigiano o sardo, è possibile usare più o meno aglio, ma sugli attrezzi non c’è alcuna confusione: i puristi usano esclusivamente mortaio di marmo e pestello di legno. Chi ha fretta ripiega sul frullatore, ma nessuno, nessuno usa la mezzaluna! Come nessuno usa le noci al posto dei pinoli, lo insegna su youtube Fabrizio Casalino nell’esilarante parodia del film “Non è un paese per vecchi”: parafrasando Casalino, si inizia usando la mezzaluna e chissà dove si va finire…
Il Comitato Cittadini Centro Est potrebbe, intanto, partecipare al prossimo Campionato Mondiale di Pesto che si terrà il prossimo 17 marzo a Palazzo Ducale … come osservatori, naturalmente, per gareggiare si usa mortaio e pestello!
(Ivo Ruello – foto dell’autore) -
OLI 329: SOCIETA’ – Gli emigranti siamo noi
La ricerca Excelsior di Unioncamere e Ministero del lavoro su previsioni occupazionali per il 2012, ha reso noto che nel primo trimestre 2012 le imprese liguri assumeranno 2200 persone a Genova e provincia. Si offrirà lavoro per l’80% nei servizi contro il 66% della media nazionale e per il restante 20% fra industria e costruzioni, quasi un terzo gli stagionali nei contratti a tempo determinato: 150 gli operai metalmeccanici e a gran richiesta cuochi, camerieri e commessi.
E con salari fermi da dieci anni per i neoassunti, secondo Bankitalia.
Davvero un mercato del lavoro desolante, che sta prospettando più che una bancarotta economica una bancarotta sociale perché la crisi ha di fatto cancellato tutta una larga fascia di impieghi, dagli operai specializzati, ai geometri, carpentieri, impiegati di banca, tecnici.
La folla dei “senza prospettive”, più ancora che dei disoccupati, non può scendere neanche un gradino sotto, ci sono già gli immigrati in attesa, pur se in Liguria ad esempio si registra un meno 20% di assunzioni di lavoratori stranieri (fonte: Fond. Leone Moressa).
Nuove frontiere dunque non solo per i diseredati del Nord Africa, dell’Est europeo o del Sud America, che spesso ora rientrano mestamente a casa, ma pure per i cittadini di grandi Paesi industriali, a cui non resta che attraversare i confini.
E se in Grecia si è invocato letteralmente il “ritorno alla zappa” in versione postmoderna, biodinamica, agrituristica, oggi in Spagna, che nel 2005 celebrava una crescita inarrestabile con arrivi annuali di 500 mila lavoratori, le partenze hanno superato gli arrivi. Si spostano greci, spagnoli, irlandesi, portoghesi e italiani, si cercano altre terre promesse a Berlino, Stoccolma, Oslo, Sydney, Rio.
Per i giovani è forse più facile, una valigia leggera, un biglietto low cost, un primo contatto cui mostrare un diploma, una laurea, l’attestato di specializzazione; e non è solo una fuga di cervelli giovani, perché se ne vanno anche quarantenni e cinquantenni.
L’ufficio federale di statistica di Wiesbasden registra tra i nuovi ingressi cittadini Paesi dell’Est e ultimamente greci, spagnoli e italiani: non sono però le braccia spedite un tempo nelle miniere o nelle acciaierie, sottolinea il Financial Times, raccontando delle iscrizioni al Goethe di Francoforte cresciute di un terzo grazie a matricole greche e spagnole.
Avanguardie di una dinamica sociale che sta acquistando velocità, i nuovi emigranti europei somigliano più a scommettitori che cercano opportunità vere, che ad inconsapevoli profughi del dopoguerra, se come attesta il saggio “Immobilità diffusa” (D.Checchi, il Mulino), sulle “modalità di reperimento del lavoro dei laureati europei”, in Italia i contatti personali pesano per il 23,3%, in Francia contano l’11%, in Finlandia il 9,1% e in Germania il 9,3%.
Ponti d’oro al personale qualificato in Australia dove sono arrivati 4mila greci, metà laureati, mentre gli irlandesi potrebbero arrivare quest’anno a 50mila e l’Angola, ex colonia lusitana, ha accolto circa 100mila portoghesi.
Crisi globale del lavoro? Sicuramente, ma in certi posti un po’ meno, tanto meno.
Tantissimo in Italia, in Liguria, a Genova. Quali le proposte sul tema dai candidati sindaco?
Intanto ci conforta leggere sui maximanifesti del Comune : “più lavoro” con il nuovo Piano urbanistico!
(Bianca Vergati) -
OLI 328: SOCIETA’ – La Costa Concordia mette tutti d’accordo
Una nave con 4000 persone a bordo, organizzata con le migliori attrezzature di sicurezza disponibili, con giubbotti di salvataggio abbondanti per tutti, s’incaglia a pochi metri dalla costa con il mare calmo e il comandante riesce ad avere morti a bordo: è il tragico epilogo di una gestione fallimentare dell’emergenza.
La stampa è ipnotizzata dall’evento, quel gigante piegato fa notizia, fa vendere, il leviatano inaffondabile è affondato, il comandante si presta al generale stupore di scoprire che è un uomo impappinato invece che lo “chef aprés dieu” che ci avevano venduto.
E il “meglio” che si riesce a trovare in rete è una canzone che lo prende in giro, sulle note di Onda su onda. Ci si sente avviliti pensando ai 4000 profughi nordafricani descritti nell’articolo di radio Babboleo, alle centinaia di migliaia che affrontano un viaggio nel quale l’arrivo dalla parte opposta non è una possibilità garantita, anzi la probabilità di morire annegato o di disidratazione in mezzo a tutta quell’acqua salata è valutata e affrontata insieme al fatto di stare in centinaia in un battello da decine senza saper nuotare. Allora, caro Elio delle Storie tese, sarebbe forse più utile una canzone che racconti di questi fatti e non della fragilità colpevole di un uomo che lavorava al di fuori del buon senso secondo dei criteri ritenuti però accettabili da tutti quelli che sapevano della pratica dell’inchino. Anzi, un vero inchino alle vittime dei naufragi ci sentiamo di dedicarlo noi di Oli per tutte le latitudini e longitudini della terra, per quelli delle guerre e della cecità umana così ben ignorati dalla stampa (ancora finanziata dallo stato) italiana.
(Stefano De Pietro) -
OLI 325: SOCIETA’ – La marcia dei fratelli neri e bianchi
Sabato 17 dicembre in tutta Italia si sono svolte manifestazioni per l’assassinio a Firenze dei senegalesi Mor Diop e Samb Modou e il ferimento di altre tre vittime. Opera certamente di uno squilibrato, la cui follia era però alimentata non solo dalla xenofobia e dal razzismo dilaganti in certi strati della popolazione, minoritari ma non per questo meno inquietanti, se si considerano per giunta gli indegni compiaciuti commenti pubblicati sul web, ma anche dalle posizioni ripetutamente espresse da forze politiche presenti in parlamento e nello scorso governo, ai quali si è inteso contrapporre una risposta ferma e di grande civiltà.
Anche a Genova sono sfilate centinaia e centinaia di persone, dalla Commenda fino a De Ferrari per ridiscendere infine a Caricamento, in un corteo organizzato dalla comunità senegalese, dalle reti antirazziste e dall’ARCI. La stragrande maggioranza era nera. Tra i bianchi si riconoscevano volti noti e meno noti nel popolo della sinistra, dalle diverse collocazioni politiche e impegnati a vari livelli, tra cui l’avvocato Alessandra Ballerini e l’assessore comunale Bruno Pastorino. Non solo, ma pure cittadini “comuni” che via via si univano all’imponente marcia, tra i quali famiglie con i figli visibilmente partecipi anch’essi, soddisfatti di esserci per propria convinzione e non per compiacere i genitori.
Dal furgone in prima linea si alternavano musica e discorsi. La parola più ricorrente era “fratelli”: fratelli neri e fratelli bianchi, tutti uniti a ribadire la volontà di vivere insieme.Vedi il video de Il Secolo XIX: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/12/17/AOawykWB-senegalesi_genova_ricorda.shtml?hl(Ferdinando Bonora)
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OLI 323: PENSIONI – Chi calcola l’incalcolabile?
Eravamo sotto di due anni e mezzo rispetto alla media europea dell’età di pensionamento.
Da lunedì la soglia è stata varcata e siamo pienamente entrati nella corrente che trascina sempre più avanti l’età in cui si può lasciare il lavoro, riducendo l’entità dei trattamenti pensionistici. Strada obbligata, si afferma, a causa dell’allungamento della vita e del faticoso ingresso delle persone giovani in un lavoro pienamente retribuito e “contribuito”.
Il governo Monti ha compiuto il salto in modo talmente secco da togliere il fiato. Tanto che lo stesso Alberto Brambilla – presidente del Nucleo di Valutazione della spesa previdenziale del Ministero del Lavoro – intervenendo martedì 6 dicembre alla trasmissione “Tutta la città ne parla” su Radio 3, dopo aver sostenuto che l’aggancio del pensionamento alla cosiddetta “speranza di vita” è necessario, ha affermato che il salto è stato troppo brusco, tale da sconvolgere le prospettive esistenziali di molte persone.
Che si viva più a lungo è un dato di realtà.
La realtà però è fatta anche di aspetti apparentemente incalcolabili, della cui concretezza e importanza ci si accorge dolorosamente solo dopo decenni, quando il danno è irreversibile, o chiede immensi costi di recupero.
Come quando una comunità si trova a dover investire miliardi per il recupero di un’area imbottita di inquinamenti nocivi abbandonata dopo anni di irresponsabile sfruttamento: quale è, calcolandolo dall’inizio alla fine, il bilancio economico complessivo per la collettività?
L’apparentemente “incalcolabile” dell’aumento dell’età del pensionamento è legato alla domanda: ma cosa fanno oggi le persone che in età ancora vitale sia intellettualmente che fisicamente, si trovano libere dall’impegno quotidiano del lavoro retribuito? Se ne stanno a guardare la televisione e i lavori stradali, o fanno qualcosa che ci serve?
Per l’esperienza che ho, grande parte delle persone svolgono un lavoro meno qualificato delle proprie potenzialità e competenze, o comunque un lavoro che utilizza solo una parte molto delimitata e circoscritta della propria creatività.
La liberazione del proprio tempo riapre i giochi, a vantaggio di tutti.
Io vedo donne e uomini in pensione che fanno gratuitamente cose straordinarie, nella cultura, nell’intervento sociale, nell’espressione artistica.
Se le persone lasceranno il lavoro più vecchie, più stanche, più malate tutto questo andrà perduto. Quanto costa questa perdita? Qualcuno lo ha calcolato?
Chissà poi se qualcuno ha calcolato l’altra conseguenza dell’aumento della speranza di vita: l’aumento degli anziani anzianissimi, quelli per i quali la promessa di una vita più lunga è stata largamente mantenuta, ma non quella – su cui si glissa – dell’auto sufficienza e di una salute splendida fino ad un istante, ma proprio un istante, prima di morire. Quanta parte hanno i pensionati – soprattutto le donne – nell’assistenza a queste persone? Se li teniamo al lavoro fintanto che anche loro inizieranno ad avere dei problemi, che si fa?
(Paola Pierantoni – disegno di Guido Rosato) -
OLI 322: SOCIETA’ – Carcere di Pontedecimo – libere di creare
Si chiamano Maria, Tiziana, Mara, Martha, Vera, Bruna, Alessandra, Natascia, Sara, Osasu, Liliana, Katia, Meherzia, Jacqueline, Simona. Sono le quindici detenute del carcere di Pontedecimo che il 25 novembre – giornata internazionale contro la violenza sulla donna – hanno sfilato all’Acquario di Genova con borse, abiti e gioielli creati da loro.
Molte le persone presenti che hanno ricavato un posto a sedere per terra davanti all’incantevole scenario della vasca degli squali. Bravissimi la cantante Eliana Zunino accompagnata dal chitarrista Giangi Sainato, belle le coreografie tratte da Hair e Cats, interpretate dai ragazzi del Centro Danza Savona.
All’Acquario di Genova due ore di libertà per chi ce l’ha e talvolta non se ne rende conto e per chi deve scontare una pena dando un senso alle giornate di detenzione. Grazie ad Amiu che ha recuperato gli ombrelli rotti, le donne del carcere di Pontedecimo hanno potuto anche ricavare shopper colorati e resistenti. Così vestiti, borse e gioielli hanno, in questa iniziativa, il valore aggiunto dato dal tempo e dalla cura che le detenute hanno dedicato ad ogni oggetto.
Di Maria Milano, direttrice della casa circondariale di Genova Pontedecimo avevamo già scritto tre anni fa su OLI quando, responsabile del carcere di Chiavari, aveva inaugurato l’area verde dove i detenuti potevano incontrare i proprio figli in un dimensione più umana. E quando, sempre a Chiavari, aveva organizzato incontri di lettura, gruppi di teatro e corsi di studio.
Si ha l’impressione, anche questa volta, che Maria Milano sia capace di attivare energie positive, muovere competenze, far incontrare istituzioni, volontari, associazioni.
Il prossimo appuntamento, questa volta con i detenuti, è sempre a Genova al Teatro Modena mercoledì 30 novembre alle ore 21.00 con lo spettacolo Voce del verbo andare – Un viaggio in quattro passi, un progetto del Teatro dell’Ortica in collaborazione con il Carcere di Pontedecimo e bambini, genitori e insegnanti della scuola elementare Daneo
(Giovanna Profumo)



