Odio di classe – Perchè fa tanto scandalo il Sanguineti-pensiero

Con l’aria di non voler fare scandalo, di dire solo cose risapute e pacifiche, il poeta Edoardo Sanguineti crea puntualmente pandemoni con le sue esternazioni in prosa. Molti ricordano ancora le facce allibite e impotenti di Pera e della corte berlusconiana alla cerimonia del Campiello 2003, quando, premiato a Venezia, egli prese la parola in diretta tv, lanciando agli intellettuali un appello in difesa della Costituzione osteggiata del regime al potere. Ora ha tirato fuori nientemeno che l’odio di classe… Apriti cielo. Gli sono piovute reprimende e invettive da ogni parte, compresa quella sinistra (riformista o trasformista, secondo il quesito etimo-etico del più recente Scalfari): nella migliore delle ipotesi gli ricordano come con la poesia si faccia poca strada in politica.


Non basta aver chiarito che il Sanguineti-pensiero non vuol essere un’esortazione alla violenza (dal poeta aborrita come pratica e, si ritiene, anche come mezzo per la conquista del potere), ma un invito alla consapevolezza: i lavoratori sono odiati dai… padroni (ha pronunciato la parola-tabù), come dimostrano le ingiustizie crescenti, l’insicurezza sociale, il lavoro nero, i due omicidi al giorno nell’edilizia; quindi bisogna prenderne atto – è la sua conclusione – e ricambiare con altrettanti amorevoli sensi. Certo è un linguaggio quale da tempo non si sentiva nei talk-show, che hanno ormai sostituito il dibattito politico; di qui le contestazioni secondo cui il suo personale orologio della storia si sarebbe fermato al vetero-comunismo. Come se non fosse avvenuto il crollo dell’Urss e di tante illusioni sia est sia a ovest.
Per limitarsi al semplice versante linguistico, meno irto di difficoltà, bisognerebbe forse domandarsi perché mai nella cultura politica, come nel quadro informativo, sia prevalso l’uso di una terminologia “soft”, asettica, influenzata dal lessico tecnocratico, comunque depurata dai toni forti usati da Sanguineti. Non sarà che oggi il welfare, pienamente realizzato, renda anacronistico ricorrere a espressioni e rivendicazioni tipiche delle antiche lotte proletarie, quando i disoccupati chiedevano ancora il diritto al lavoro, i giovani un futuro, le donne pari diritti e sostegno alla maternità, gli anziani una pensione dignitosa? Se per un malaugurato accidente le cose stessero diversamente, se nell’era della globalizzazione e del libero mercato si fossero aggravati il precariato, l’incertezza del domani, le disuguaglianze sociali, allora si potrebbe pensare che anche altri orologi della storia si sono fermati, anzi ci hanno portato decisamente indietro. Ma sempre con disc rezione, rispettando le regole del bon ton politico-mediatico.
(Camillo Arcuri)