Flussi/1 – Il calvario burocratrico dei sans papier

Irina è una ragazza; ucraina e in Italia senza permesso di soggiorno. Sono i cosiddetti “Flussi 2006”. Essere un sans papier e cercar di diventare regolari facendo il cross attorno ai paletti della Bossi-Fini: come altre migliaia di immigrati clandestini.


Il dramma quotidiano: non sapere come si scrive in italiano il nome della propria città ucraina, non disporre di mezzi di comunicazione come internet, la linea telefonica del proprio consolato sempre occupata, mettere una kappa nel posto sbagliato rispetto ai modelli del Ministero. Si parte andando a prendere “La Busta”. Sveglia alle 2 della notte, coda all’aperto davanti all’ufficio postale della Foce (febbraio 2006, freddino), dove alle 7.30 gli incaricati postali distribuiscono due buste a testa; massimo due. E’ solo l’inizio. Qui è andata bene. In altri uffici ci sono stati spintoni. A casa si apre la busta; con centomila attenzioni perché la fascicolazione è pessima e si rischia che stacc andosi un foglio si perda tutto il modulo. Primo problema: fare le fotocopie. Per non rischiare di rovinare i moduli e fare le prove in brutta copia. Già successo: moduli conquistati col sangue rovinati da una cancellatura che ne ha decretato l’invalidazione. Come leggerà un computer lo stampatello scritto da chi normalmente usa il cirillico, oppure il cinese, o l’arabo?
Per fortuna Irina (27 anni) scrive bene in stampatello: la necessità aguzza l’ingegno (la selezione naturale). Sono stati compilati in tutto circa 5 moduli-fotocopia. Tanti si sono rivolti ai patronati e ai sindacati, che hanno fatto un lavoro notevole. Difficoltà serie quelle dei latino americani: hanno un sacco di cognomi e vanno riportati integralmente come scritti sul passaporto, ma a volte le caselle non bastano. Forse, alla fine, una soluzione, magari postuma alla consegna, si troverà: siamo in Italia. Alla data della consegna, meglio al giorno prima, si arriva sempre. Nel frattempo è passato più di un mese, quattro visite alla Cisl, infinite ore su internet su www.meltingpot.org, sui siti in giro per il mondo per scoprire come si scrive Kamienek Podyinsky, con la Y, senza la I, ma da un’altra parte ancora diverso, ecc. Ore 16, all’ufficio postale c’è già una bella coda. Irina si aggiunge, avendo già preso accordi per farsi tenere il posto in coda per un’oretta: l’a ccordo col datore di lavoro è che almeno i pranzi alla nonnetta deve prepararli. La notte la passa nel sacco a pelo seduta su un gradino, mantenendo la posizione – se la saranno guadagnata la lettera di assunzione queste persone? Da registrare indiscutibili esempi di civiltà, si tratti degli immigrati (ma loro non avrebbero dovuto essere nel loro paese di origine?), degli italiani presenti con la fidanzata straniera, e anche delle forze di polizia che hanno chiuso entrambi gli occhi: da codice, avrebbero dovuto arrestarli tutti, italiani compresi.
Dopo una notte all’addiaccio si arriva finalmente alla consegna: i soldi rigorosamente contati per evitare che il calcolo del resto possa ritardare chi sta dopo in coda. Data stampata al millesimo (millesimo) di secondo sulla ricevuta. La busta è una assicurata, per garantirne la tracciabilità. La maggior parte delle buste però non viene “meccanizzata”; inoltrate a Roma senza alcuna tracciatura. “Inoltro manuale” c’era scritto sul sito delle poste. E l’assicurata a che serviva? Solo con la pubblicazione delle graduatorie Irina ha avuto la certezza che la sua busta era arrivata a destinazione e non smarrita in qualche angolo dei magazzini postali.
(Mirko Paolini)