Service-press/2 – Il libro bianco sul lavoro nero

“Ho sempre sognato fare il/la giornalista”. Più che un sogno è diventato un incubo. Stante il “Libro bianco sul lavoro nero”, a cura della Federazione nazionale della stampa, Fnsi (Centro documentazione giornalistica, dicembre 2006, euro 18,00). L’immagine di una professione romantica e privilegiata, anche economicamente, sembra ormai anacronistica.


La storie raccolte in questo volume sono il segno del malessere profondo che attraversa il mondo della stampa. Centinaia e centinaia di giovani e meno giovani giornalisti pagati 2 euro a notizia, 5-10 euro ad articolo. Lordi. Tutte le forme di “flessibilità” possibili. Contratti a tempo determinato, finti part time, cococo, a progetto, collaborazioni, free lance, lavoro nero, nessun contratto. Sono ormai la maggioranza. Più di 30.000 persone.
Secondo Paolo Serventi Longhi, presidente della Fnsi, la posizione sempre più ambita e sempre più irraggiungibile dei 12.500 giornalisti dipendenti (e contrattualizzati) rappresenta solo un terzo o un quarto di tutta la categoria. Ma questa dei giornalisti non è tanto una battaglia per migliori condizioni economiche quanto per una migliore definizione e tutela dei diritti di tutti. Dipendenti e autonomi. Professionisti e non. Nei giornali nazionali e in quelli di provincia, nella radio, nelle tv, negli uffici stampa delle istituzioni pubbliche e private. Senza dimenticare l’opinione pubblica.
In un’intervista a Left (12 gennaio 2007), Serventi Longhi dichiara che “questa è la vertenza, la madre di tutte le vertenze. Perché il giornalismo italiano è al grande bivio della sua storia. Tutto il mondo del lavoro ha vissuto svolte epocali, ma per noi è la prima volta… Il tentativo degli editori di spostare il lavoro fuori è un mezzo per ridurre il costo globale… Che diventa riduzione dell’autonomia, dell’indipendenza”. E anche livellamento dell’informazione. Di fronte alla massa di lavoratori non sindacalizzati, la Fnsi appare oggettivamente in difficoltà. E la Federazione italiana editori giornali, Fieg lo sa bene. Boris Biancheri, presidente della Fieg, dichiara che “nessun editore vuole fare i giornali senza giornalisti”. Purché i giornalisti stiano alla larga, forse avrebbe dovuto aggiungere per completare il suo pensiero.
Anche in Italia, come in America, la delocalizzazione delle aziende editoriali è all’ordine del giorno. Non all’estero perché la lingua italiana non è tanto diffusa come quella inglese, ma delocalizzazione nella Italia stessa. L’obbiettivo è ovvio: giornalisti a basso costo e, soprattutto, fuori dalle redazioni. Giornalisti remoti: un problema che è alla base dell’attuale vertenza che da quasi due anni vede contrapposti editori a giornalisti. Un problema per la informazione e per la vita democratica del nostro paese.
(Oscar Itzcovich)