IST 1. Qualche esempio su Ist e tutela della salute
L’IST è certamente una risorsa per i cittadini che hanno bisogno di visite, cure ed assistenza al massimo livello; ma un Istituto Scientifico come il nostro, può essere una risorsa anche per le pubbliche amministrazioni che, sempre più spesso, devono prendere difficili decisioni.
In questi casi, può essere utile il parere di un centro di ricerca pubblico ed indipendente, in cui sono presenti numerose e diverse competenze e che è in grado di accedere alla più aggiornata informazione scientifica e di confrontarsi, a livello internazionale, con i migliori laboratori di ricerca .
Tra le tante consulenze che l’IST ha fatto nei suoi 25 anni d’attività, ne citiamo due, a nostro avviso significative per le diverse scelte fatte dai committenti e per gli effetti che queste scelte hanno avuto sulla salute dei cittadini e dell’ambiente. Il primo episodio risale alla metà degli anni settanta. Un’importante azienda pubblica si rivolgeva all’IST per un parere sull’opportunità di usare amianto per coibentare le strutture metalliche di un suo nuovo edificio, da realizzare a Genova.
Ovviamente, sconsigliammo l’uso di questo materiale. In quegli anni, l’intera comunità scientifica internazionale non aveva dubbi sulla pericolosità di questa fibra e anche il nostro Istituto stava conducendo studi per capire perché l’amianto era cancerogeno. Il committente, probabilmente per motivi economici, ignorò totalmente le nostre raccomandazioni e le putrelle d’acciaio del suo palazzo furono ricoperte, a spruzzo, con amianto. Nel 1992, l’Italia bandiva l’amianto da qualunque uso e l’edificio in questione, dopo un controllo dell’ASL che verificava la dispersione di fibre d’amianto negli uffici, veniva chiuso e sottoposto ad una bonifica integrale. I costi della bonifica furono certamente superiori a quelli risparmiati al momento della costruzione, senza contare i possibili danni alla salute per i lavoratori edili impegnati nella coibentazione e per i dipendenti, esposti alle fibre di amianto.
Il secondo episodio risale agli anni ottanta. La Capitaneria del Porto di Genova ci chiedeva un parere su una singolare richiesta che gli era pervenuta. Un’impresa privata chiedeva l’autorizzazione a incenerire rifiuti tossici (Poli Cloro Bifenili, PCB) su una nave trasformata in inceneritore galleggiante, che avrebbe operato al largo del Porto di Genova. Erano gli anni delle cosiddette “navi dei veleni” che, cariche di rifiuti tossici, passavano da un porto all’altro, alla ricerca di un paese disponibile al loro smaltimento.
Fu sufficiente una rapida ricerca bibliografica, presso le apposite banche dati, per scoprire che, dopo alcune sperimentazioni nel Golfo del Messico, il governo degli Stati Uniti, poco tempo prima dell’arrivo della richiesta alla Capitaneria di Genova, aveva vietato l’uso di queste navi inceneritrici, nonostante l’alta efficienza dei sistemi d’abbattimento e l’apparente sicurezza di impianti operanti a grande distanza da centri abitati. Motivo del divieto, i risultati di uno studio sull’accumulo, lungo la catena alimentare marina, delle tracce di PCB emesse dai camini dell’inceneritore galleggiante. Passando dall’aria al mare, dall’acqua marina al plancton, dal plancton ai pesci, via via più grossi, i PCB si sarebbero progressivamente concentrati, fino a raggiungere nei tonni, ultimi elementi della lunga catena alimentare marina, una concentrazione tale da renderli invendibili, per la loro potenziale tossicità nei confronti degli ignari consumatori umani.
Come tutti sanno, nessun inceneritore galleggiante naviga nel nostro Mar Ligure. Lo scampato pericolo per bianchetti, acciughe, tonni e balenottere (e, ovviamente, per i consumatori) è merito della sagacia e della prudenza della Capitaneria di Genova, ma anche delle competenze dei ricercatori IST.
In questi mesi, i sindaci liguri hanno un problema. Devono decidere come gestire e chiudere il ciclo dei rifiuti urbani prodotti dai loro concittadini. Se, prima di fare scelte irreversibili, desiderano sapere quale è l’opinione della comunità scientifica internazionale e indipendente sui rischi dell’esposizione a basse dosi di diossine, sui risultati di studi epidemiologici tra le popolazioni che vivono vicino a impianti di smaltimento rifiuti, sui bilanci energetici e sull’impatto ambientale dei diversi sistemi disponibili per risolvere questo problema, l’IST è, come sempre, a loro disposizione.
(Federico Valerio
Responsabile Servizio di Chimica Ambientale IST
Tratto da: IST INSIEME, n°4, 2004)