Il vento che tira. C’è qualcosa di più di ora et labora

Non entro, per manifesta incompetenza, nel merito delle prospettive della Genova industriale e portuale discusse nel convegno di Maestrale, ma mi dedico a un aspetto che mi sembra interessante e cioè la centralità cardinalizia che ha, non solo visivamente, improntato il convegno.


Il cardinale Bertone, collocato dagli organizzatori al centro del palco, richiamando che il fine a cui si deve mirare è l’uomo nella sua integrità fisica, morale e psicologica, ha finito per essere l’unico interprete di un soggetto cardine ed assente nel convegno in questione, cioè dei lavoratori. Per il resto, gli unici riferimenti ai lavoratori sono stati: un brevissimo passaggio di Burlando sulla difesa dell’occupazione nella vicenda delle acciaierie e sulla esigenza di offrire un maggiore riconoscimento economico al lavoro portuale in cambio delle condizioni di eccezionale flessibilità accettate in questi anni; un più insistito intervento di Batini, sempre sulla necessità di un maggior riconoscimento economico ai lavoratori della Compagnia; ed infine un riferimento di Zara alla tradizionale alta qualificazione degli operai genovesi.
E’ avvenuto così che ai presenti, attraverso l’intervento del cardinal Bertone, sia stata proposta una visione esclusivamente ecclesiale dell’etica e della cultura del lavoro: “nell’uomo risplende ben più che nelle macchine l’immagine di Dio… lo sviluppo del porto e della industria è andato sempre di pari passo con la costruzione delle chiese più belle e con l’espansione delle comunità parrocchiali… in questa città, abbiamo sempre tenuto come riferimento la massima ora et labora, e questo dovrà essere anche il nostro riferimento per il futuro… senza lavoro si sviluppano ozio e criminalità”.
Anche Batini dà una mano in questo senso ricordando il cardinale Siri “che fece un intervento magistrale, dicendo che ciò che è davvero importante è l’uomo che riscatta se stesso, la società e la famiglia”. Al termine Burlando loda il cardinale per aver messo al centro il lavoro. Cita, a dire il vero, anche un intervento fatto da Luciano Gallino in una precedente iniziativa di Maestrale. Ora noi, conclude Burlando, stiamo finalmente recuperando il lavoro come valore, oltre che come diritto.
Io mi sento laicamente a disagio, e mi chiedo come sia possibile che discutendo di porto e di industria non ci sia nessuno che faccia riferimento alla esistenza di una cultura del lavoro che non si è prevalentemente espressa nello sviluppo delle comunità parrocchiali, ma nella contrattazione, nella costruzione di un’etica dei diritti e della solidarietà, in migliaia di ore di discussione che hanno coinvolto in modo capillare così tante persone, in tante lotte fondate sulla coscienza della dignità e del valore che devono essere dati al lavoro, nel confronto con fenomeni straordinari come la trasformazione del ruolo delle donne o l’immigrazione… Mi chiedo come sia possibile che, volendo parlare dell’anima del lavoro, non vi sia nessuno che inserisca nei vari elementi della realtà industriale e portuale di cui vale la pena occuparsi ad esempio anche l’eccezionale incidenza infortunistica che si registra alla Compagnia Unica (nel 2003 si sono avuti 40 infortuni ogni 100 addetti) e all’ILVA (sempre nel 2003: 35.8 infortuni ogni 100 addetti, con un costante aumento dal 28.6 % del 1998), o che si interroghi sulle eventuali conseguenze della straordinaria percentuale di personale precario impiegato in ILVA (a fine 2003 il 27 % dei lavoratori ILVA aveva un contratto a termine)…
La massima “ora et labora” in ILVA pare che venga presa alla lettera: nel corso della commemorazione del 25 Aprile, mi dicono, i lavoratori riuniti in assemblea sono stati invitati dal cappellano del lavoro don Molinari a recitare il padre nostro. Amen.
(Paola Pierantoni)