Carcere/2 – Un volontario a Bollate

Mi capita di difendere un cittadino peruviano, accusato di furto di una borsetta insieme ad altri due suoi connazionali.
La nomina mi viene fatta dopo il primo grado, che termina con una condanna a un anno di reclusione, seguita da espulsione. Propongo riesame avverso quest’ultima misura; niente da fare. Faccio appello alla sentenza; nulla.


Si tratta di un giovane che non arriva ai 30 anni, ma già sposato e soprattutto padre di 4 bambini. E’ detenuto nel carcere di Bollate, dove io vado a trovarlo. Si concerta che forse ricorrere in Cassazione sarà inutile, ma ci si riserva una decisione finale a dopo la motivazione della sentenza.
Qualche giorno fa ricevo una telefonata in studio; un uomo che con voce pacata si qualifica come volontario del carcere, con il compito, fra gli altri, di occuparsi del giovane. Chiede delucidazioni sulla sua posizione giuridica;fa domande, è preciso, ma senza mai essere asfissiante o pedante.
Gli spiego tutto cercando di non utilizzare termini troppo tecnici che penso non possano essere alla sua portata. Una cosa lo incuriosisce: perché mai non ricorrere in Cassazione? Attendiamo, rispondo, la motivazione della sentenza.
Sarà, dice lui, però qui c’è anche la misura dell’espulsione, e il giovane è sposato, certo con una cittadina peruviana, lo stesso non sarebbe se la moglie fosse italiana, perché, sa, c’è una norma che prevede che se si è coniugati con un italiano non si può essere espulsi, qui potrebbe esserci pure una questione di legittimità costituzionale.
Forse esagera un po’, però sembra avere cognizione di causa, penso. Glielo domando.
Si mi dice lui; mi è capitata una situazione analoga. In che senso scusi? Chiedo io. Quando ero Presidente della Corte Costituzionale, sono Valerio Onida.
(Pier Giorgio Weiss, Lettere a “Repubblica”, 29 giugno 2007)