Libri – Anche la casta dei giornali è finanziata dallo Stato

Il mondo politico indirizza ai cittadini un richiamo alla responsabilità: quella di evitare che posizioni antipolitiche e qualunquiste prendano il sopravvento, e di sostenere (in mezzo o nonostante) girotondi, blog manifestazioni e “V” day, la razionalità che attraverso informazioni oggettive e costruttive consente di esprimere giudizi di valore sull’operato dei politici senza cadere in logiche populistiche.


Il primo passo è dunque essere informati, leggere i giornali che ogni giorno analizzano gli avvenimenti politici, in maniera chiara, indipendente e autonoma.
Ma da ‘La Casta dei Giornali’, di Beppe Lopez edito da Stampa Alternativa (collana ‘Eretica’), il panorama risulta sconcertante.
Lopez mette sotto accusa, come è gia stato fatto per la casta dei politici italiani, quella dei giornalisti, puntando il dito contro quel ‘portentoso flusso di danaro pubblico, sino a 700-750 milioni di euro, che finisce per mille rivoli nelle casse dei grandi gruppi editoriali’.
Il finanziamento statale dei giornali, in diverse forme e motivazioni, è già presente in Italia dall’epoca fascista. E’ a partire dagli anni settanta però che vengono varate una serie di leggi allo scopo di tutelare piccoli giornali politici, cooperative, organi di movimento che non sarebbero stati in grado di competere nel mercato. I giornali oggi godono di contributi versati in relazione alle copie stampate (L’Unità, per fare un esempio, stampa ogni notte 120 mila copie pur vendendone circa 60 mila), rimborsi per i costi di spedizione, di cui usufruisce Murdoch per mandare mensilmente ‘SkyMagazine’ ai propri abbonati, contributi per il costo della carta e così via.
Il risultato, scrive Lopez, è una ‘distorsione del mercato dell’informazione, della circolazione delle idee e della nostra stessa vita democratica’, e visto che chi ne beneficia è colui che ha il ruolo primario di fare informazione, ‘è stata tenuta nascosta all’opinione pubblica, quasi a tenuta stagna, per decenni’. E’ un colossale conflitto di interessi con i giornali deputati a informare l’opinione pubblica su come lo Stato gestisce il danaro, che però essi stessi ricevono. Il mercato dell’informazione risente di questa ingerenza, perché non permette un’evoluzione del sistema giornalistico, consentendo la sopravvivenza di giornali altrimenti spacciati, finanziando ‘battaglie’ politiche, impedendo la nascita di testate locali con radicamento sociale.
Ed eccoci al cortocircuito: da una parte il cittadino deve informarsi per non cadere nel qualunquismo nel giudicare la classe politica; dall’altra gli organi di informazione ricevono sostanziosi contributi proprio da quella classe politica su cui il cittadino vuole essere informato.
Quindi, parafrasando Pericle, tutti sono in grado di scrivere del proprio governo, ma quanti sono i giornalisti in grado di mantenere la propria dignità intellettuale quando devono parlare di chi -in qualche modo- contribuisce al proprio stipendio?
(Maria Cecilia Averame)