Termovalorizzatori. Come ti monetizzo il rischio per l’ambiente

L’ARPAL (Agenzia Regionale Protezione Ambiente Liguria) ha inviato a tutte le famiglie liguri un opuscolo intitolato: “La Liguria è casa nostra, non rifiutiamola”.


In queste pagine si riporta l’elenco delle undici regioni italiane che, nel 2002, già ospitavano 47 impianti di termovalorizzazione dei rifiuti urbani e delle otto regione che, insieme alla Liguria, non dispongono di termovalorizzatori: Valle d’Aosta, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria. Se il lettore non conosce i fatti, è portato a pensare: “Se ci sono già tanti termovalorizzatori in Italia, se come dice il ministro, la Campania si trova nei casini proprio perchè non ne ha, se, come dice l’assessore Orsi, inquinano più le automobili, se il famoso scienziato mi dice che sono impianti sicuri, se riciclare mi costerebbe di più, che aspettiamo? Voglio anch’io un bel termovalorizzatore sotto casa e, per maggiore tranquillità, fatemelo piccolo come quelli già operanti in Italia!”
Il problema è che nel nel citato libretto, mancano le informazioni seguenti:
– nell’inventario europeo delle fonti di diossine, gli impianti di abbattimento fumi di tutti i termovalorizzatori operanti in Italia nel 1995, (la maggior parte dei 47 elencati) sono classificati di bassa qualità.
– per questo motivo, tra tutti i paesi europei, l’Italia,nonostante sia agli ultimi posti per quantità di rifiuti inceneriti, è seconda (dopo l’Inghilterra) per la quantità di diossine che si stima siano prodotte dallo incenerimento dei rifiuti.
– Tranne il termovalorizzatore di Brescia e di Milano, tutti gli inceneritori riportati nell’elenco sono di piccola taglia, con una capacità di trattamento inferiore a 200.000 tonnellate all’anno.
– Solo termovalorizzatori di capacità superiore a 200.000 tonnellate all’anno sono economicamente compatibili con i sofisticati e costosi impianti di trattamento fumi necessari per rispettare i nuovi limiti
alle emissione, fissati dalla U.E.
– Il gigantismo obbligato dei termovalorizzatori dell’ultima generazione, come quello di Brescia (700.000 ton/anno)e quello più recente di Milano-Silla 2, che riceve 500.000 tonnellate di rifiuti all’anno, ha conseguenze rilevanti.
Nelle zone intorno all’impianto si avrà un aumento di traffico di automezzi pesanti e di inquinamento dell’aria proporzionale alla quantità di rifiuti termovalorizzati, provenienti anche da altre Province.
Insomma, alcune migliaia di persone (quelle che vivono nel raggio d’azione del mega inceneritore) vedranno, peggiorare sensibilmente, la qualità della loro vita e del loro ambiente, a favore di alcuni milioni di altri Italiani a cui sarà risparmiata la fatica di riciclare i propri rifiuti.
Comunque, apprendiamo dalla stampa di questi giorni che per il disturbo ed il probabile deprezzamento di case e terreni, le Regioni verseranno ai comuni che ospiteranno il termovalorizzatore generosi contributi in denaro.
Un tempo non lontano, questa pratica, negli ambienti di lavoro, era chiamata “monetizzazione del rischio” e fortemente contrastata dai sindacati che, al suo posto, preferivano la prevenzione dei rischi e, possibilmente, la loro eliminazione.
(Federico Valerio)