La violenza non ha nazionalità

(Metro, 8 novembre 2007)
Vorrei chiedere scusa agli italiani, visto che sono romena, per il male che abbiamo fatto. Vi chiederete il perché del plurale. Perché ormai è opinione diffusa che essere romeno voglia dire essere assassino o ladro. È proprio questo il mio disappunto e vi spiego perché: sono una ragazza di 25 anni e avevo solo 17 anni quando mio padre fu ucciso barbaramente da un vostro connazionale, il suo datore di lavoro, a cui aveva chiesto la regolarizzazione.


Mio padre si chiamava Ion Cazacu e il suo assassino, che lo bruciò vivo, Cosimo Iannace.
Venne condannato in primo e secondo grado a 30 anni di carcere. Poi la Cassazione annullò tutto e alla fine l’assassino di mio padre è stato condannato a 16 anni. Vivo da ormai sei anni in Italia e nonostante la mia tragica esperienza penso che siate delle persone meravigliose e sono convinta del fatto che quando si parla di cronaca nera bisogna fare la differenza tra l’identità di un assassino e l’identità di un intero popolo.
La violenza non ha confini e non ha nazionalità come non hanno nazionalità le vittime della violenza. Allora non sarebbe forse più opportuno concentrarsi sul modo in cui si debbano punire tali atti di criminalità, nel tentativo di farli diminuire piuttosto che addossare le colpe a un intero popolo? Non ci si deve difendere dal mondo intero, ci si deve difendere dai criminali e se nel mondo ci sono criminali non vuol dire che sia un mondo di soli criminali.
(Florina Cazacu)