Trasparenza – Siamo sicuri di volere la sicurezza in porto?

“Morti bianche, porto paralizzato … Cento per cento di adesione allo sciopero … Non si è mosso un chilo di merce”: titolo ed articolo su Repubblica del 20 gennaio trasmettevano il messaggio di una reazione forte e compatta a fronte di un fatto gravissimo, la morte sul lavoro dei due operai di Marghera. Il sindacalista intervistato dice “Genova è particolarmente sensibile al problema della sicurezza”. Ma al di sotto di questo quadro di sensibilità e compattezza sul tema della sicurezza in porto ci sono contraddizioni di rilievo.
Molto si è parlato, ad esempio, del ruolo, dei poteri, e relative aspettative e speranze degli otto rappresentanti dei lavoratori (quattro dei terminal e quattro della Compagnia) che dovrebbero poter accedere a tutte le aree del porto per vigilare sulle condizioni di sicurezza. E’ augurabile che ciò possa portare ad una svolta.


Ma resta il dubbio che ci sia anche chi abbia puntato ad “aggiungere” delle nuove figure con prerogative ancora incerte per non affrontare l’ingrato compito di applicare ciò che la legge già prevede.
Ad esempio, e non è un particolare di dettaglio, l’accordo non garantisce a questi otto rappresentanti la possibilità di accedere ai luoghi di lavoro senza autorizzazione preventiva: la cosa è tuttora oggetto di discussioni, mediazioni, attesa di novità legislative. Questa possibilità è invece riconosciuta – nella azienda di appartenenza – ai Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) istituiti dalla legge 626/94.
Val la pena di notare che, senza che ciò abbia mai suscitato particolari reazioni, da anni in Compagnia Unica opera un solo Rls (al posto dei sei di legge), per di più gravato dal ruolo non propriamente neutro di componente del consiglio di amministrazione.
Nel 2003 una campagna di informazione e di indagine sulla sicurezza in porto promossa da Sportello sicurezza Cgil, Uopsal del Porto ed Inail, fu un flop totale: su duemila addetti ritornarono compilati in tutto una ottantina di questionari, e i quindici della Compagnia Unica avevano la stessa calligrafia…
Le dispense che ricostruivano tutto il ciclo del lavoro portuale sotto il profilo dei rischi furono stampate in duemila copie, ma molti lavoratori non le hanno mai viste.
L’ostilità a che si stabilisse un contatto diretto tra i lavoratori ed un soggetto esterno all’ambito portuale fu più che percepibile.
Il protocollo del porto potrà cambiare le cose davvero, solo se riuscirà a spezzare un isolamento che ha fatto del porto, e in particolare della Compagnia Unica, un mondo a parte.
(Paola Pierantoni)