Giornali – Comprati e venduti, ma abbottonati

Se c’è una cosa a cui i giornali tengono è la riservatezza. Sui fatti pubblici e privati altrui si avventano come piranha, ma sui casi che li riguardano direttamente sono abbottonatissimi; e la richiesta di trasparenza sulle loro cose interne viene intesa come una provocazione intollerabile. Ci sono precedenti storici illustri addirittura risalenti agli anni dell’assemblea costituente, quando due padri fondatori della Repubblica, quali Lelio Basso e Giorgio La Pira, forse antesignani del cattocomunismo o semplicemente convinti della necessità di dare basi serie alla nascente vita democratica, portarono avanti un progetto di legge per rendere pubbliche le fonti di finanziamento della stampa. Ci pensò l’allora giovanissimo Giulio Andreotti, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ad affossare la pericolosa proposta e tutto restò come prima, con i padroni dell’economia liberi di controllare anche la “libera” informazione.


Negli ultimi anni qualcosa è cambiato, superficialmente s’intende. Non si spiegherebbe diversamente l’anomalia del cavaliere che forte di una superpotenza televisiva, inconcepibile per un politico nel mondo occidentale, può anche schierare settimanali e giornali intestandoli a famigli. Ora arriva la notizia di un suo possibile sbarco a Genova, in Liguria; e ciò alla vigilia di un non improbabile ritorno del padrone della Cdl al governo, quindi di un allargamento -facile da prevedere- dei vincoli di legge fissati per frenarne l’imperialismo mediatico.
Voci e interpretazioni nascono dalle trattative in corso per la cessione del 30 per cento del pacchetto azionario del Secolo XIX e attività connesse: uno dei cugini editori, Cesare Brivio Sforza, sta per vendere la sua quota a un fondo di investimenti italiano, “Clessidra Capital Partners”, gestito -guarda caso- dall’ex manager Fininvest Claudio Sposito. Di qui i facili collegamenti e l’ipotesi che si tratterebbe di un acquisto provvisorio: il tempo di unificare le due società proprietarie dei macchinari e delle testate (radio compresa), ripianare i 3,5 milioni di deficit (modesto ma sufficiente per far scattare i prepensionamenti a carico dell’Inpgi), dopodiché la “Clessidra” potrebbe rivendere il tutto. A chi, a B o a C come pensano altri, alludendo a Caltagirone? Che l’immobiliarista-banchiere-editore romano, con un piede a sua volta in politica quale suocero di Casini-Udc, sia intenzionato a sbarcare sotto la Lanterna non è un mistero. Acquisito da tempo il Messaggero, Francesco Caltagirone ha l’ambizione di rilevare anche il più diffuso quotidiano ligure, ricostituendo il vecchio asse editoriale Roma-Genova, come ai tempi dei Perrone.
Nel silenzio ufficiale resta l’incognita Carlo Perrone, proprietario del restante 70 per cento della società e figlio di Sandrino, direttore-editore famoso per essere insorto con tutta la redazione contro i poteri forti che già molti anni fa volevano fare un boccone del suo giornale romano. Morto Sandrino, se lo inghiottirono e ora mirano al quotidiano ligure.
(Camillo Arcuri)