Ah, Genova!. Non soffocare le emozioni di una grande mostra

In questi giorni, tutte le volte che mi sono soffermata davanti a qualcuna delle installazioni sparse per la città, ho sentito – dette con accento genovese – solo osservazioni critiche, sfottenti, lamentanti sprechi di danaro pubblico.
Oggi ho iniziato (dovrò tornarci più volte) la visita alla mostra a Palazzo Ducale, e nonostante fosse una domenica nuvolosa, ma non piovosa in modo scoraggiante, c’era pochissima gente.


Un visitatore commentava il fatto con una hostess all’ingresso e diceva “Ma come mai così in pochi vengono a visitare una cosa così meravigliosa? Forse è stata poco pubblicizzata?”
Il motivo, io credo, non è la “scarsa” pubblicità, ma qualcosa di più profondo che ha instillato negli animi dei nostri concittadini la fallace idea di poter avere con la pittura del seicento un rapporto più facile e di poterne ricavare più emozioni rispetto a quelle che si possono trarre di fronte alle visioni di artisti, registi, poeti e architetti che hanno immaginato e in parte realizzato il mondo dove noi, oggi, viviamo.
Eppure, piuttosto che di fronte a un quadro di Rubens, a me pare che dovrebbe essere più immediato riuscire ad emozionarsi guardando disegni, fotografie, quadri, filmati, sculture che ci mostrano il momento di origine, nel pensiero, di innumerevoli oggetti, edifici, forme, immagini che costituiscono il nostro mondo, oppure guardando progetti non realizzati che ci mostrano squarci di un mondo come “avrebbe potuto essere”.
C’è nella mostra un filmato realizzato dal M.I.T. che mostra la torre progettata da Tatlin per la Terza Internazionale, come se fosse reale e inserita in una città: si vedono persone che camminano in una strada mentre sullo sfondo si staglia l’immensa mole inclinata della torre, ci si cammina dentro, e si vede la città dall’alto dei suoi 400 metri. Per pochi minuti si è in un mondo “come avrebbe potuto essere” se quella idea si fosse trasformata in un oggetto fisico. Sarà che molte cose che avrebbero potuto essere non sono state, ma quei pochi minuti di video sono profondamente struggenti. Bene, questa mostra offre molte emozioni di questo tipo, offre cioè una occasione di conoscenza non puramente intellettuale, ma anche emotiva, che mi pare accessibile anche a chi non abbia (come chi scrive) alcuna nozione di architettura.
Se non si riuscirà a far passare nella testa dei genovesi che tesoro ci sia in questi mesi in città, verrà consumato uno spreco gigantesco, e questo possibile cortocircuito tra la nostra città e la creazione intellettuale, architettonica e artistica del 900’ sarà subito smorzato e neutralizzato. Si può fare qualcosa?
(Paola Pierantoni)