8 marzo/2 – Cent’anni di lotte e si ricomincia

Palazzo Ducale. Una “Direttrice” autoritaria e gelidamente sorridente conduce i visitatori attraverso le tappe di uno spettacolo negli spazi della mostra “Il rischio non è un mestiere”. E’ l’otto marzo, ed è di donne che si parla. La Direttrice scandisce: “Fate attenzione al nostro banchetto … aiuta anche tu una trentenne a pagare l’affitto, le bollette e le ricariche del cellulare. E firmate la petizione: Chiudiamo le università che sfornano solo disoccupati. Grazie”. Poi inizia il suo percorso seguita da un drappello di circa sessanta persone.


Il balletto acrobatico tra l’operaia che invoca la mutua per una unghia spezzata e la precaria che si spezza la schiena in silenzio perché “domani mi scade il contratto” parla di un mondo del lavoro spezzato in due. A seguire, una donna racconta il suo primo viaggio, nel 1958, sui vagoni di legno di un treno: “… a casa mia ero buona per le oche e le galline e a far l’erba, qui invece potevo diventare operaia finita, alla Snia …” e, dopo, la sua storia di ragazza madre che deve guadagnarsi il pane in fabbrica, tutta la vita nel figlio, “il figlio illegittimo dell’operaia Marin della Snia che oggi xè diventà ragionier”.
Spazio successivo: due donne, madre e figlia, entrambe trenta anni, sono fianco a fianco, ma non possono vedersi. Le separa un tempo quasi incalcolabile. La madre, operaia, parla di lavoro, cottimo, storia, orgoglio professionale, politica: difende dalla curiosità e dall’ironia del marito il suo vedersi con le altre donne della fabbrica, si oppone al capo che vorrebbe espellerla da quel reparto di lavori maschili: “…io da qua non me ne vado neanche con le bombe. Crolli il mondo, io da questa fabbrica non mi muovo”, vuole salvare la memoria dell’esperienza che ha vissuto: “… domani devo portare un oggetto, qualcosa che rappresenti per me la fabbrica. Serve perché vogliamo fare come un mausoleo… no, aspetta… com’è che si dice… un archivio”. La figlia siede a una postazione di call center e si dibatte tra avvilimento, nevrosi, disperazione, mentre le “frasi fatte” della retorica aziendale le si sgretolano tra le dita.
Poco oltre Simone Weil, con in mano il suo quaderno di appunti, richiama la necessità di un pensiero che interpreti e riscatti la realtà, che ci faccia essere moralmente autosufficienti, capaci di non sentirsi umiliati ai propri stessi occhi anche nelle condizioni più avvilenti. I soli due uomini della compagnia, un mite cantautore che intona la ninna nanna del lavoratore (precario) ed un giovane molto forzuto che si presta docilmente a farsi volteggiare sulle spalle una ragazza farfalla, accettano di buon grado un ruolo ancillare.
Al termine “Sfilata della moda precaria” della casa di moda “Scivolone Sociale”. Applausi caldissimi degli spettatori itineranti all’intelligenza e all’ironia di queste ragazze.
(Lo spettacolo, promosso dalle donne del sindacato, è stato realizzato dalla Compagnia Coseacaso, con la partecipazione di Anna Turra e di Enzo Aino)
(Paola Pierantoni)