Precari – La fatale caduta del piccolo Cesare

Se credete che soltanto la morte sia sinceramente democratica, peccate di grossolanità e di disinvoltura di giudizio. Anche Cesare ne era convinto, fino al giorno in cui, dopo un’estenuante attesa nella sala dell’agenzia interinale, si trovò di fronte una vecchia conoscenza: un suo ex dipendente, Rossi, un ragioniere di giovane età e scarse speranze che qualche anno prima aveva licenziato dalla sua azienda, senza troppi rimpianti né sensi di colpa.
Cesare nella vita non aveva fatto altro che l’imprenditore, lavorando a fianco del padre. Aveva iniziato molto presto ad assaporare il gusto del comando e a gestire il peso delle responsabilità, e tali fardelli, gravosi per un ventenne, avevano schiacciato e formato le sue strutture mentali allo stesso modo in cui nelle novelle di Verga le gerle cariche di carbone rattrappivano le ossa dei ragazzini di miniera.


Si ricordava ancora di come avesse appreso, da sorrisi e parole pronunciate a mezza voce, che non si andava a mangiar la pizza col figlio del capo, anche se aveva 20 o 30 anni come i dipendenti. Non si stringeva amicizia col vicepresidente nonostante fosse giovane ed alla mano. L’aveva appreso e messo da parte, imparando a non effettuare mai disdicevoli ed imbarazzanti commistioni di ruoli. Aveva imparato altresì ad agire coi sottoposti all’altezza della situazione, con benevolenza ma anche con fermezza, quando necessario.
Alla morte di suo padre, il presidente, lui si trovò quarantenne ed inerme, privo di nozioni indispensabili e scevro dell’aggressività che si conquista quando si impara a scendere nella giungla col coltello fra i denti per sopravvivere. Non restò che siglare con la propria firma la chiusura dell’azienda.
Il suo curriculum annoverava pagine e pagine, zeppe delle competenze maturate nella veste di vicepresidente e delle capacità frattali che aveva acquisito con un’intelligenza fervida ed incostante, saltabeccando da un interesse ed un altro, mentre veniva deprivato della possibilità di seguire le proprie reali aspirazioni dal ruolo che era stato deciso per lui.
Forse qualche anno prima, con altri chiari di luna, sarebbe riuscito a far valere quello che era e quello che sapeva tramite la rete di relazioni, senza scomodare strumenti generalistici ed appiattenti come le agenzie interinali. Ma la crisi aveva azzerato la richiesta di quadri, dirigenti, presidenti o vicepresidenti, costringendolo alla fila in quell’ufficio dozzinale, a fianco di postadolescenti aspiranti meccanici e commesse. Come un teorema si chiude all’enunciazione della sintesi, la costante sensazione di cui era consapevole ormai da mesi si trasformò in illuminazione quando gli occhi di Cesare incontrarono quelli di Rossi “Per che posizione si presenta? E’ iscritto alle liste di collocamento?”. Le regole non scritte apprese negli anni trascorsi alla medesima scuola di vita, li indussero a dissimulare entrambi di conoscersi, ma uscendo Cesare credette di percepire lo sguardo compiaciuto dell’ex dipendente come un fendente alle spalle ed ebbe la visione lampante del la propria parabola. “Crisi democratica, quanto la morte”. Prese a camminare scuotendo il capo, col volto piantato profondamente nel bavero della giacca, mentre un sapore di fiele gli impastava il palato.
(Daphne)