Immigrazione/2 – Uso politico della statistica

Nell’articolo “Il crimine cresce ma soltanto tra gli irregolari” (Repubblica, 12 febbraio) Paolo Arvati invoca “un approccio rigoroso a statistiche particolarmente insidiose come quelle giudiziarie”, e indica nella ricerca di Marzio Barbagli (“Immigrazione e sicurezza in Italia”, Il Mulino) un utile strumento.
Barbagli parte dal cambiamento occorso in molti paesi europei a metà degli anni ’70: fino ad allora il tasso di criminalità degli immigrati era risultato inferiore a quello delle popolazioni autoctone, ma dopo la crisi petrolifera del 1973 le politiche migratorie europee diventano più restrittive, la pressione migratoria aumenta e per la prima volta cresce la quota dei reati commessi da stranieri.


Cause possibili: l’aumento della immigrazione irregolare; una offerta di lavoro immigrato che supera la domanda; una maggiore difficoltà a trovare e conservare un lavoro soddisfacente; il peggioramento delle prospettive delle seconde generazioni.
In Italia tutto inizia dopo: nel 1992 la percentuale di immigrati sulla popolazione è ancora poco più dell’1%, salirà al 6% nel 2006. Nello stesso periodo cresce anche la percentuale degli stranieri sul totale dei denunciati per diversi reati: omicidio dal 6 al 24%; furto dal 25 al 49%; rapina dal 14 al 32%; violenza sessuale dal 20 al 38%; traffico di stupefacenti dal 14 al 29 % … Sono gli irregolari a delinquere in misura maggiore: si va dal 65% al 92% del totale, a seconda della tipologia del reato.
La politica strattona questi dati per piegarli ai suoi scopi. Enfatizzati dalla destra per cercare consenso e per distrarre l’opinione pubblica da altri e molesti pensieri, minimizzati o negati dalla opposizione. Salvo poi incorrere in improvvisi sussulti (definiti da Barbagli “ondate di panico morale”) come quello seguito all’omicidio di Tor Vergata, che porta Veltroni ad affermare: “prima del 2007 (anno dell’ingresso della Romania nell’U.E.) Roma era la città più sicura del mondo, ora invece… Gli arrestati per il 75 % sono romeni che hanno rapinato, violentato, ucciso”, e Prodi a varare in fretta e furia un improvvisato decreto legge sulla sicurezza. Pensare, rileva Barbagli, che nel 2007 non c’erano state discontinuità nell’andamento del tasso di criminalità dei rumeni: il salto, semmai, c’era stato nel 2002, in concomitanza con l’abolizione dell’obbligo del visto di ingresso dalla Romania.
Servirebbero coraggio ed onestà. Per non alterare i dati sui crimini, e per vedere la realtà per intero. Incluso il fatto che l’incremento della immigrazione irregolare è favorito “dal vastissimo settore informale della economia e dalla scarsa efficienza dei controlli pubblici” e dalla mancanza di “una politica che stabilisca quote realistiche di ingressi annuali di immigrati”. Oppure che, per un immigrato, la probabilità di essere vittima di un reato (furto, omicidio, violenza) è più alta da tre a cinque volte rispetto a un italiano. E magari che in Svezia, grazie ad una politica di integrazione che include l’insegnamento a scuola della lingua madre, le violazioni della legge diminuiscono tra gli immigrati di seconda generazione.
(Paola Pierantoni)