Scampoli cittadini. Come sopravvivere sulla linea 18

Autobus 18. L’ho dovuto prendere frequentemente negli ultimi tempi per ragioni di lavoro. Condizioni terribili, tra i peggiori autobus cittadini. In più, venendo dal San Martino, trasporta persone con più preoccupazioni e disagi di altre.


Qualche tempo fa, in un raro giorno di pioggia veramente autunnale, tra la moltissima gente in attesa in piazza dell’Annunziata una famigliola un po’ precaria: giovane mamma con bambino piccolissimo in braccio, giovane padre un po’ assente, ombrelli, molte valigie. Sembrano persone di passaggio, hanno l’aria di non avere i soldi per un taxi, sono un po’ disorientati, chiedono informazioni: devono raggiungere l’ospedale. Quando dopo quasi 20 minuti l’autobus finalmente arriva, per loro, con tutto il loro carico, è impossibile salire.
Qualche giorno fa invece, sempre sul 18, ascolto la conversazione di due ragazze. “Io, dice una, lo prendo tutti i giorni, ma ho la mia tecnica di sopravvivenza: quando posso salgo davanti e mi metto attaccata alla paratia trasparente che separa dal guidatore, anche se sto in piedi e sono pressata dalla gente guardo davanti a me durante tutto il tragitto, e mi ritaglio un mio spazio. In questo modo ce la faccio”
(Paola Pierantoni)