Città – Il risseu perduto

Il chiostro è illuminato di luce soffusa, c’è molta gente nei porticati color pesca mentre nel mezzo del giardino un sacerdote dice messa con un bell’ accento bergamasco: è sabato sera di un ottobre quasi estivo e penseresti di non trovarvi che pochi fedeli affezionati. Invece no, tra le colonne in bianco e nero, nel cortile della chiesa di San Francesco a Bolzaneto risuonano non solo la musica di chitarre, ma anche un po’ del chiacchiericcio sommesso che si spande sotto le volte a crociera appena affrescate.


E’ un giorno importante, quasi un vernissage, difatti non solo s’inaugura il restauro del chiostro, ma si scopre la statua del santo, che l’architetto responsabile ai lavori ha voluto regalare alla chiesa. Perché qui, l’atmosfera l’aveva colpito, non c’era l’aria sussiegosa dei soliti restauri, tutti partecipavano all’evento, venivano ad aiutare e a curiosare proprio come fanno ora con quella statua di Francesco troppo giovane, come mormora qualche vecchina. Insomma u na comunità. La Chiesa nei quartieri di contorno alla città, come nel centro storico, non vive un ruolo di solo comprimario, è di riferimento per gli abitanti. Tanti ragazzi, anche gli alpini convivono nel chiostro e collaborano alla sagra del quartiere. S’è visto quando dovevano rifare la pavimentazione del giardino: la piccola chiesa lì accanto, la Madonna della Neve, del tredicesimo secolo, aveva uno splendido sagrato, e tutti hanno tifato per quel tappeto di pietre, si sono interessati, hanno sollecitato fondi, pietito qua e là. Con saggezza l’aveva suggerito la Soprintendenza: perché non usarlo per il chiostro? Basta recuperarlo, si proponeva all’architetto e ai frati. Così è iniziata la trafila agli uffici comunali, finché s’è scoperto che quel pezzo di terreno era di competenza delle Ferrovie, ma costava tanto, troppo, toglierlo a lastre e donarlo a San Francesco. Quanto raccolto bastava solo per il restauro e l’Amministrazione irremovibile spiegava che non avrebbe provveduto a quel trasloco. Peccato. Ma chissà…
Quasi un anno si è atteso. Poi impresa, architetto, parrocchiani hanno desistito mentre dopo tanti tira e molla l’hanno tirato via le ferrovie conservandone, sottolineano gli uffici, addirittura il disegno in scala uno a uno, dei lenzuoli di memoria.
Che bravi. Il risseu è in custodia adesso, catalogato per benino, in tanti sacchi, si dice.
I sassetti rimarranno nei depositi comunali, suddivisi uno a uno in bianchi e neri, come pedine di dama: Persa l’occasione di ricollocarlo nei luoghi cui apparteneva, solo un’immagine nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di vederlo, di camminarci sopra.
Ora il giardino ha il fondo di vecchi mattoni, aiuole ottagonali dall’erba soffice, ma qualcuno sospirava, ripensando a quel risseu durante la cena che ne è seguita.
(Risseu: pavimentazione a mosaico di ciottoli)
(Bianca Vergati)