W la Scala. Ma non c’è bisogno di effetti speciali

Come italiano, come milanese, come musicofilo, come tante altre cose ancora, anch’io sono fiero della ricostruita Scala, del suo prodigioso palcoscenico, del suo potenziale tecnico aggiornatissimo e onnipotente.


Tuttavia, terminato il doveroso peana, ecco che Carla Fracci mi insinua – come un tarlo – un piccolo dubbio: essa ha detto che in fondo la Scala è un teatro del Settecento, e come tale doveva essere conservato.
Il tarlo ha lavorato: mi ha ricordato la perplessità del mio indimenticato maestro, Giorgio Strehler, in visita al supertecnico (allora) Burgtheater di Vienna, di fronte al pericolo che tante possibilità tecniche spronassero i registi verso una loro utilizzazione “a tutti i costi”: contro la semplicità, contro la necessarietà, contro la fantasia. Ma c’è un altro problema: oggi, quando il cinema, grazie al computer, può realizzare l’intera gamma dei ogni pensabile effetto speciale, fino al punto di “ricostruire” attori defunti e farli recitare come se fossero vivi… davvero il teatro deve lasciarsi sedurre dalle tecnologie moderne, cimentarsi in una gara che lo vede immancabilmente perdente; o non piuttosto puntare sulla essenzialità della parola, sulla semplicità del gesto, sulla suggestione dell’effetto creato col nulla?
E’ più suggestivo, più poetico, un effetto cinematografico che mostra Superman sorvolare gli oceani, o un mimo che agita le sue braccia come ali di un gabbiano e che la gente vede davvero “volare”? Nell'”Europa riconosciuta” una nave si avanza verso il proscenio, dal fondo di un palcoscenico profondo ottanta metri. Nello “Schweyck” di Strehler (1961), il grande tank che avanzava in un turbinio di neve, con larve di soldati tedeschi aggrappati alle sue lamiere, usciva da una nicchia di ottantacinque centimetri sul fondo del palcoscenico del Piccolo.
Carla Fracci ha ragione: a teatro bastano la parola, il gesto, la musica, e le macchine fatte a mano che riproducono gli effetti: la macchina del vento (una tela di sacco contro un cilindro di legno), la macchina del tuono (grosse pietre che rotolano in un barile), quella della pioggia (una lastra di metallo smossa e fatta vibrare)… Comunque, evviva la nuova Scala, certo! Ma sarà davvero, questa, la via più giusta e più saggia? Non sarebbe stato forse davvero più geniale e poetico rifiutarsi alla moda tecnologica e assumere a norma – come nel disegno di Leonardo – la dimensione umana?
(Luigi Lunari)