Favola di Natale

E venne il giorno che in città decisero di parlare di lavoro.
Avevano le analisi – composte in brevi fascicoli sotto i loro occhi – e molte previsioni. Erano tutti molto stanchi. Sostanzialmente affranti, poiché le loro parole, parole della politica, non riuscivano ad arrivare laddove la creatività si scatena e si crea Il Progetto. Tutti insieme decisero che era finito il tempo della bugia – bugia infinitamente utile a loro stessi e alla cittadinanza – ed era arrivato il tempo della verità. Che non era, in quei tempi, un dato oggettivo ma andava colta nel mare di informazioni discordanti fornite loro da studiosi capaci di prevedere il futuro.


Gli eletti abbandonarono per un mese le conferenze stampa. Decisero di non apparire sui giornali. Cancellarono tutti gli appuntamenti dalla loro agenda e, infinitamente determinati, studiarono lo stato delle cose per trenta giorni. Come fossero in clausura. Dapprima li sconfortò il silenzio dei loro funzionari, poi la lettura dei testi. Infine l’assenza delle loro dichiarazioni dalle pagine dei giornali. Alcuni segnalarono strani sintomi: forte cervicale, confusione, mal di pancia. Ma in seguito, confortati dalle luminose intermittenti del loro albero di Natale, decisero di abbandonarsi alla ricerca. Scoprirono l’inesistenza di ricette condivise per il Lavoro. Ma capirono che stavano parlando con parole vecchie quanto loro e che il Mondo galoppava all’impazzata mentre si ostinavano a ricorrere a modelli certi. Colsero l’inganno che alcuni industriali, sapientemente, occultavano, offrendo la speranza di occupazione per chi li aveva eletti. Ed entrarono nelle pieghe della menzo gna, guardandola negli occhi e, in tempi di crisi, si astennero da inaugurazioni di impianti, strade e vari di navi. Alcuni domandarono agli industriali i numeri dei loro addetti. E chiesero inoltre il numero dei precari ai quali, quegli stessi industriali facevano ricorso per le loro produzioni. Scoprirono che il lavoro in città era un’onda anomala, indipendente dal loro desiderio di far politica. Scoprirono che il lavoro c’era, ma era certo solo per i dipendenti degli enti pubblici. Compresero, pena l’elezione successiva, che quei lavoratori non bastavano. Che non facevano numero. Che in città c’erano molti giovani dei quali non si erano accorti. E precari destinati alla sparizione. E disoccupati. E immigrati.
In pochi lessero i documenti fino alla fine. Ma quei pochi colsero l’infinità di cose che c’erano da fare in città. E pensarono alle persone disposte a farle. Non partirono per Porto Alegre ma rimasero a leggere – si erano dimenticati di smontare l’albero – interrotti soltanto dalle poche telefonate che facevano alla ricerca di informazioni.
Poi, svuotati, si radunarono attorno ad un tavolo ovale. Di quei tavoli morbidi, come divani, dove si può scrivere su un foglio bianco senza la necessità di alcun supporto, perché il solco della penna rimane sulla carta. E uno di loro disse: “Ragazzi siamo nella merda!”. Ma un altro rispose: “Non c’è nessuna conferenza stampa da convocare. Possiamo parlarne con calma”.
Così si tornò a fare politica in città.
Le luci di tutti i loro alberi sono i posti di lavori recuperati. Fino alla pensione.
Buon Natale.
(Giovanna Profumo)