Web – Nuovi problemi, soluzioni antiquate

Non è possibile risolvere oggi i problemi di domani con i metodi di ieri. E invece si! E’ arrivata la sentenza su Google. Nel 2006 alcuni ragazzi italiani pubblicarono un video nel quale malmenavano un giovane coetaneo autistico, classificandolo tra i video divertenti. Mentre i giovani teppistelli hanno già dovuto scontare il contrappasso di dieci mesi di servizio civile con i disabili, la dirigenza di Google Italy viene condannata ad una pena detentiva (con condizionale) per violazione della normativa sulla privacy.


La storia della privacy in Italia è ridicola: abbiamo la presunzione di reato legata al possesso della linea telefonica, quella stessa linea che può essere facilmente intercettata nelle cantine di qualsiasi condominio, pensate che un giudice lo sappia? In un call center per accedere a internet occorre fornire un documento, viene registrato tutto, ma i PC sono sempre pieni di virus e di questo nessuno si occupa, né i gestori né tantomeno i funzionari dello Stato. Ci lamentiamo della pedofilia, però i genitori non capiscono niente di navigazione, di Web 2.0, nessuno si cura di educarli in tal senso: come possono sperare che il controllo dei loro figli arrivi da fuori? Si ricevono giornalmente email circolari con gli indirizzi di tutti i destinatari in chiaro insieme al nostro: chi lo spiega ad un giudice che sono queste le cose da controllare realmente, che causano che l’80% del traffico di rete è dovuto allo spam. Ma sapranno poi cosa significa “spam”?
Forse che i fascicoli lasciati nei corridoi dei tribunali non sono una violazione della privacy diffusa, massiva e incosciente? Siete mai stati in una procura dove si usa un Office portato da casa da un funzionario perché non ci sono i soldi per le licenze originali? O dove si lavora nell’assoluta mancanza di norme di sicurezza, non solo informatiche ma anche antincendio? Cerchiamo di vedere la trave che abbiamo ormai non più solo nell’occhio. La libertà è un bene difficile da gestire già per strada, figuriamoci su una piattaforma dove chiunque può pubblicare filmati personali. Il problema non si risolve certamente punendo con una norma inapplicabile al mondo moderno, pensata per la carta alla quale sono ancora abituati i legislatori.
Pensate un po’ a tutte quelle società di telemarketing che vi telefonano a casa (e sul cellulare!) giorno e notte, mentre per farsi cancellare dalle loro liste si dovrebbe mandare una raccomandata ad ognuno di loro: basterebbero 2 milioni di euro alle poste? Lo sanno questo i giudici? Certo non l’aveva capito il legislatore che ha redatto la legge e nemmeno i parlamentari che l’hanno approvata. Ringraziamo invece Google e Facebook se oggi l’Italia riesce ad avere ancora qualche contatto con l’estero.
Decaduta l’altra accusa, quella di diffamazione, evidentemente la volontà di colpire con una “sentenza esemplare”, così l’ha definita il giudice, poteva ormai appellarsi solo alla Santa Parola: la Privacy. Come accade con un amministratore di condominio che non vuole consegnarmi i documenti della precedente gestione: “eh, ma c’è la Privacy!”.
(Stefano De Pietro)