Cinema – “Cosa voglio di più?” Un film di superficie

“Le è piaciuto il film?”, “Bellissimo! Si commuoverà!”, risponde un signore sulla cinquantina. “Che mi dice della pellicola?”, “A me non è piaciuta per niente!”, esclama una donna. “A lei è piaciuto il film?”, il cenno di mano sta nella mezza misura, quel né carne, né pesce che rende le situazioni sapide.
Ma il nostro era un gioco: comprati i biglietti, chiedere alle persone in uscita cosa pensassero della pellicola appena vista. Lo svago si potrebbe affinare, ragionando su investimento e qualità del prodotto, ponendo la stessa domanda al pubblico in uscita, due o tre sere prima di andare a vedere il film.


Comunque, per niente influenzate, si entra in sala per vedere Cosa voglio di più, regia di Silvio Soldini, con Alba Caterina Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Teresa Saponangelo, Giuseppe Battiston.
Trama: un lui sovrappeso e un po’ noioso, profondamente innamorato di lei, carina, efficiente impiegata, insoddisfatta della relazione, che ci mette un nanosecondo a scambiare il suo numero di cellulare con un altro uomo – physique du rôle, squattrinato, sposato, padre di due figli – cameriere per una società di catering. Seguono bugie da copione, fughe in motel al costo di 50 Euro ogni quattro ore, accappatoi bagnati nella vasca a fingere immersioni in piscina che non sono mai avvenute. Moltissime le inquadrature che riprendono i due corpi nudi nell’amplesso, nell’attesa che la tresca offra qualche parola di più, un impegno, una svolta dei due che, oltre ad amarsi carnalmente, potrebbero – si dice potrebbero – investire i 50 Euro di motel anche per raccontarsi qualcosa di sé medesimi. O fare due passi.
Silvio Soldini – le critiche sono entusiaste – racconta di un amore vacuo, imprigionato dagli schemi familiari, dalla crisi economica, specchio di una società che non ha nulla da offrire. Tutto però rimane in superficie: la moglie tradita del cameriere, il compagno grasso e noioso dell’impiegata, la relazione stessa dei due amanti, con le loro telefonate e le loro bugie.
Si rimpiangono le erotiche inquadrature di Luchino Visconti in Ossessione (1943) dove le sole gambe di Clara Calamai bastavano a trasmettere in un istante l’immagine di quanto vediamo inquadrato oggi.
Sovente, questo di oggi, è un cinema che insegna a chiunque a fare all’amore. Totalmente incapace di parlare di amore.
Cosa vogliamo di più?
(Giovanna Profumo)