Successi tv. Quando ci stancheremo di sorbire banalità

Due recenti inziative della televisione pubblica mi si affiancano nella mente, e neanch’io so bene perché. Il lungo “Orgoglio” – summa del romanzo d’appendice e del feuilleton ottocentesco – e il contemporaneo, piatto, documentaristico, naturalistico “Mai storie d’amore in cucina”, sbandierante tra l’altro la presenza di Gigi Proietti e di Stefania Sandrelli, pubblicitariamente astuta ma sostanzialmente inutile.


Pur nel diverso sapore del racconto, ambedue sono caratterizzati e accomunati da una piattezza e da una banalità di linguaggio per me scoraggianti, e per il pubblico diseducativi: malgrado il loro successo, o – più propriamente proprio per questo.
A tal proposito mi sovviene di un incontro con uno dei grandi capi della fiction TV (Bernasconi, tanto per non far nomi, prematuramente scomparso), al quale dicevo che io sarei stato in grado di migliorare dell’ottanta per cento almeno il livello dei dialoghi dei loro
prodotti; e gli chiedevo – scherzosamente e proditoriamente – che cosa
sarebbe stato disposto a pagare per questo risultato. La risposta – logicissima e impeccabile – fu “Neanche una lira!” E aveva perfettamente ragione: così come squadra che vince non si tocca, prodotto che sfonda non si cambia.
Sorge allora una domanda: “che fare?”, al di là del rinunciare a scrivere per il piccolo schermo? Temo che da fare non ci sia proprio nulla, dato che l’opporsi al grado di sviluppo di un pubblico è altrettanto vano come l’imporre la democrazia in Afganistan. Occorre attendere: che la gente
si stanchi delle banalità di cui sopra, si formi un gusto, chieda qualcosa
di più e di meglio. Viviamo in epoca di divulgazione: le avanguardie – anche del bello – si dilettino pure per conto loro: ma per un valido dialogo con le masse, devono aver la pazienza di aspettare che il grosso dell’esercito le raggiunga.
(Luigi Lunari)