Linguaggio. Non chiamarli più extracomunitari

Si chiama ilpassaporto.it, fa parte del gruppo editoriale “L’Espresso” e si autodefinisce “il giornale dell’Italia multietnica”, offrendo approfondimenti e servizi, rassegne legislative, notizie o semplicemente spazi di espressione e dialogo. I forum sembrano l’espressione più viva di un fermento (multi)culturale che si rivela in primo luogo attraverso le parole.


Parole come pietre, scrive Kossi Komla Ebli, che introduce il forum “Imbarazzismi” e il cui primo suggerimento è di decostruire il linguaggio che ha potere “includente o escludente, offensivo o non”.
Oppure “Parole da abolire”, un altro forum che invita ad elencare le parole fastidiose, dannose, da non usare. Leggendo gli interventi (85 dal 24 marzo al 6 Aprile) il termine più bersagliato è “extracomunitario”. “Basta, non ne possiamo più”: italiani ed immigrati concordano nell’affermare il livello di sazietà raggiunto da sovraesposizione al termine. La stessa valutazione emerge unanime per “clandestino”, che nell’espressione della cronaca si è trasformata in una sorta di tara impressa nei cromosomi; in un intervento si legge: “Nicola Calipari è stato ucciso per mano di alcuni extracomunitari, sbarcati clandestinamente in Iraq alcuni mesi prima” – I cittadini degli Stati Uniti sono extracomunitari, l’invasione dell’Iraq fu illegale da ogni punto di vista, eppure questo titolo non è apparso su nessun giornale… Perché?”.
Non solo le offese, ad essere incriminate, nel forum, ma anche tutti gli eufemismi politicamente corretti, come “diversamente abile”, “migrante”, “non vedente” ecc, accompagnati da una acuta critica contro la parola “tolleranza”, un fastidio soffuso per il termine “etnico”.
Lo si recepisce chiaramente, non sono le parole ad essere messe in discussione. I veri bersagli sono, in ordine effetto-causa:
1)la divisione in categorie secondo un parametro “Noi vs Loro”, dando per scontato che il punto di vista del “noi” sia quello giusto
2)l’uso burocratico, pigro e routinario che i media fanno del lessico, imbandendo la cronaca senza approfondire e senza avere come obiettivo l’informazione e senza assumersi la responsabilità della formazione dell’opinione pubblica
3)le scelte politiche che determinano questo indirizzo. Così c’è chi lucidamente commenta “un peso importante sta nella politica che condiziona le parole dei giornalisti, prima della Bossi-Fini la parola clandestino non veniva mai usata, adesso, vuoi per una rilettura acritica di molti organi di informazione, si usa solamente questa”.
Il disagio e la possibilità di arricchimento tra culture orbitano intorno alla parola: punto di partenza, punto d’arrivo, mezzo e percorso.
(Eleana Marullo)