Liberazione/1. “Venti di Aprile” alla Sala chiamata

“Sala chiamata” in progressivo affollamento, alcuni giovani tra il pubblico, al tavolo molti oratori. Solita celebrazione retorica della Liberazione? Già il nome, “Venti di aprile” è diverso dal solito e lega, curiosamente, fatti significativi della Resistenza avvenuti nel primo mese della primavera in Italia, in Vietnam, a Lisbona ed a Cuba.


Ti accorgi subito che il copione e la sceneggiatura sono inusuali. L’incontro si articola su tre filoni, che si integrano: canzoni, testimonianze, il libro di Camoriano “Scarpe rotte”; filoni che un abile Bruschi riesce a legare con continuità senza cadere nella retorica o nell’enfasi. Fatti avvenuti in luoghi e tempi diversi: nel porto e nelle industrie genovesi, in Liguria, nel Nord Italia, in Vietnam, a Cuba.
La Liguria ha dato un suo contributo anche alla canzone di quel tempo. Lo ricorda, accompagnandosi con la chitarra, Bubi Senarega con “Fischia il vento” e con le indimenticabili parole di Calvino: “Oltre il ponte”, canzone che rievoca commossi ricordi in molti presenti. Le testimonianze sono brevi ed incisive. Gli oratori ripetono: “Guerra di popolo”, “ Popolo insorto”, sottolineando un aspetto corale dell’evento storico che ha cambiato e trasformato l’Italia.
Don Gallo parla della Costituzione, figlia della resistenza: “la stanno massacrando, senza nemmeno conoscerla…”; ricorda le finalità della lotta partigiana: “pace e democrazia”, e contrappone gli ideali di allora all’attuale assenza di un futuro per i giovani. Termina con un messaggio di fiducia: “la speranza”. Una battuta colta al volo tra il pubblico: “…possibile che sia un prete a ricordarci quanto vorremo sentirci dire dai nostri leaders!”
Continuano le testimonianze che passano dalla “Resistenza” di ieri ai nodi di oggi, dalla “solidarietà nazionale” alla “devolution padana”, premessa di insanabili future fratture, da un sistema di valori sociali condivisi al peggior liberismo senza vincoli né controlli, dallo stato di diritto al diritto del più prepotente.
Ricordi sterili, valori desueti e dimenticati? Colpisce, a questo riguardo, l’intervento di Gino Donè, figura in netto contrasto con i modelli che ci propongono oggi i media e la moda. E’ schivo, rifiuta gli stimoli che Bruschi gli propone ripetutamente per un’auto presentazione. Si definisce uno come gli altri, tra quegli altri che hanno fatto la Resistenza in Italia, a Cuba contro Batista, o in altre parti del mondo per difendere la libertà. Emerge il vero partigiano, il guerrigliero; i suoi valori sono nel dna, non nelle parole; questo lo rende grande, come tutti coloro che hanno combattuto, come lui, per un ideale vero e sentito, con pudore e senza esibizioni. Questi i valori che hanno coinvolto le popolazioni ed hanno generato discontinuità culturale con il fascismo e con l’imperialismo.
Gino Donè è figura marginale come tende ad accreditarsi? Basta andare su internet per capire a chi siamo di fronte: più di 30 siti, italiani e stranieri, parlano di lui, della sua figura, del ruolo che ha avuto. Per i valori che stanno dietro alla sua come alle altre testimonianze “Venti di aprile” può dirsi momento vivo e attuale, non la solita noiosa celebrazione rituale.
(Vittorio Flick)