Silenzio stampa. L’uomo sbagliato al di là del film

E’ davvero curioso lo strappo alla regola che i giornali genovesi si sono imposti in occasione del film “L’uomo sbagliato”, un successo televisivo, non solo di ascolto, una volta tanto. Al di là dell’interpretazione maiuscola di Beppe Fiorello e dell’intero cast, non si può negare che le due puntate erano rese ancor più drammatiche dalle brevi note iniziali e finali per ricordare l’autenticità della storia narrata: vita vissuta da Daniele Barillà, un genovese che subì sette terribili anni di galera, prima d’essere riconosciuto finalmente innocente e risarcito.


Per capire quale “strappo” sia stato consumato nell’occasione, bisogna considerare la non recente dipendenza dei giornali dalla tv: tanto per intenderci, non c’è direttore di quotidiano che decida la prima pagina senza aver visto come apre il tg1 delle 20; per non parlare dei titoloni e dei servizi dedicati a ogni loffa dei più indecenti personaggi televisivi. Nonostante questo sia il costume corrente, le due puntate de “L’uomo sbagliato”, seguite da milioni di telespettatori, stavolta davvero assorti, emozionati, non hanno avuto il benché minimo seguito in sede locale, dove pure gli interrogativi in sospeso non sono pochi.
Nella realtà è tra Genova e Milano che si è svolta l’intera vicenda, anche se nell’edizione filmica i fatti figurano ambientati a Torino, con uno “spostamento” di sede non proprio giustificato, al punto che i magistrati della Procura piemontese hanno fatto sentire la loro voce di protesta, chiarendo che i loro uffici sono estranei a certi comportamenti. Dunque, chi, a Genova, aveva “incastrato”, quindi pestato a sangue quel pover’uomo, scambiato per un trafficante di droga, cercando poi di impedire per tanti anni, con pressioni e depistaggi, che la verità venisse a galla; e chi invece era riuscito a rompere alla fine il cerchio dell’ingiustizia?
I vecchi cronisti sanno benissimo come sono andate le cose; conoscono nome e gesta di quell’ufficiale dei carabinieri che fece una folgorante carriera (oggi è colonnello), grazie a tante “brillanti” operazioni, ai margini della legge e talora a spese di poveri cristi scelti non proprio a caso (complici soffiate di spie a gettone). Insomma c’era materia ancora pulsante da sviscerare (di recente OLI ha ricordato il caso della giovane tossicomane indotta a testimoniare il falso contro un “autonomo”, quindi spedita in Australia dalla stessa cricca). L’occasione era d’oro per rendere un servizio di autentica informazione. Ma i giornali, chissà perché, hanno scelto il silenzio-stampa.
(Camillo Arcuri)