Referendum/2. Andare in paradiso non è un obbligo

“E’ una malattia genetica, capite? Non avete nessuna colpa e non potete farci nulla.” Il medico concluse che la sopravvivenza media delle persone affette da quella malattia era di trent’anni. Nel corso della vita Annie sarebbe arrivata sino a quaranta. La notizia era meno brutta di quanto ci aspettassimo. Ma solo quarant’anni. Non era quello che avremmo voluto sentirci dire.


Un terapista spiegò che avrebbero dovuto fare una terapia toracica manuale almeno due volte al giorno; per periodi di mezz’ora avrebbero dovuto percuotere il torace della figlia con la mano a coppa in 14 punti precisi situati sul petto, sulla schiena e sui fianchi, per sciogliere le secrezioni dense e aiutarla ad espellerle tossendo. (Internazionale N. 587)
Da dove proviene la legge quaranta? Di chi è figlia? C’è un luogo dove possiamo immaginarla? Il primo embrione di questa legge dove è stato fecondato? Sono credibili tutti questi parlamentari che hanno votato a favore della vita? Se sono credibili perché hanno brillato per la loro assenza nelle manifestazioni per la pace? Chi li ha mandati?
La legge quaranta è figlia di quelli che vedono nel castigo, nel dolore, nella sofferenza l’unico modo per conquistarsi il paradiso. Loro non si accontentato di soffrire in solitudine, vogliono un paradiso comunitario, garantito a tutta la società civile. Sono coloro che si guardano dal divulgare gli anticoncezionali nei paesi del terzo mondo. Dicono sì all’aids universale. Sono quelli della vita costi quel che costi, della vita per il paradiso, certamente non terrestre. Sono quelli che se hai un figlio malato di fibrosi cistica è una benedizione del Signore e lo devi ringraziare perché ti ha scelto. Sono quelli del no alla ricerca scientifica, che vedono nella donna un mezzo, mai un fine. Quelli che guardano l’embrione come fosse un osso di santo e la donna la bacheca che lo contiene. Sono sempre i soliti. Per questo il 12 e il 13 giugno bisogna rispondere loro quattro volte sì.
(Giulia Parodi)