Quell’Africa fuori mercato

Quest’anno anche Genova ha voluto dare il suo contributo alla Giornata nazionale per l’Africa, tenutasi per la prima volta lo scorso anno a Roma. La città ha omaggiato il “Continente nero” con due convegni (venerdì 27 e sabato 28 maggio), un corteo e una festa (sabato sera).


Nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale si è tenuto il primo appuntamento (“Il futuro dell’Africa tra guerre dimenticate e guerra alla povertà”). Al tavolo dei conferenzieri, fra i tanti esperti occidentali, solo una donna africana, sostenuta (nella iniqua par condicio) dall’intervento di un rappresentante dell’Ambasciata nigeriana in Italia.
Novità di rilievo? Nessuna. Fame, AIDS, guerre di cui nessuno parla, strozzinaggio dell’Occidente (l’esponente nigeriano ha ribadito con forza quanto da tempo si afferma: bisogna togliere a questi stati il cappio degli interessi sui dollari avuti in prestito, se si vogliono far rinascere le economie): questi i grandi mali di un continente che è stato culla dell’umanità e che di fatto sembra essere (per noi) scomparso (per riapparire solo di fronte ad emergenze umanitarie).
L’unico intervento che ha aperto uno spiraglio, è stato quello dell’antropologa Parodi-Da Passano. La minuta professoressa ha esordito parlando di “afropessimismo”, un atteggiamento volto a portare alla ribalta solo le notizie in negativo dell’Africa, che può davvero avere effetti deleteri sulle popolazioni, innestando il virus dell’autodistruzione, del suicidio. Dopo aver sottolineato come non tutto in Africa sia “assenza”, “negazione”, la Da Passano ha invitato i presenti a leggere i volumi di Serge Latouche (“Un’altra Africa”), ma soprattutto ha messo in evidenza come in Africa sia avvenuto un solo grande fallimento: quello del modello occidentale di sviluppo; l’Africa che sopravvive, al contrario, è quella che si è chiamata fuori dalle tecniche di mercato.
Dalla culla dell’umanità può arrivare, quindi, anche un monito per il nostro mondo, per un’analisi ed una critica radicali ai nostri modelli culturali e sociali. Se non bastassero le riflessioni degli antropologi, quest’autunno potremo affidarci alle immagini del documentario “L’incubo di Darwin”, del regista austriaco Hubert Super, che ha raccontato la distruzione di un ecosistema (quello del Lago Vittoria, in Tanzania) e della comunità che con esso conviveva, tutto ciò ad opera del mercato occidentale (di pesce persico e di armi).
(Tania Del Sordo)