Decennale Ilva. La cassa integrazione sul piatto d’argento

E’ un silenzio speciale. L’emozione che anticipa l’evento. Un sabato del villaggio aziendale. Ma unico, irripetibile per altri dieci anni nella storia Ilva.


Alcuni hanno portato il vestito della festa da casa, fasciato con cura nel nylon trasparente da indossare all’uscita del lavoro. Lungimiranza del dipendente consapevole. Altri hanno già scelto ed osano sin dal mattino top di seta e completi di lino. La proprietà è apparizione fugace nella scenografia aziendale. Come la sposa prima delle nozze. Il lembo di un vestito. Il dettaglio di un bouquet. Spiraglio da una porta accostata. Solo poche ore poi la cena con la Famiglia. Il tempo di rifarsi il trucco. Una sistemata ai capelli. Mi controlli la camicia?
Ma è l’inizio delle favole. Nella nostra, oltre al banchetto, davvero mediocre, poche parole sinistre hanno rotto l’incantesimo: “Volete lavorare?”, “Siiiii” ha risposto un coro entusiasta, “So che volete lavorare… ma adesso come sapete abbiamo la ristrutturazione e dovremo ricorrere alla cassa integrazione straordinaria per seicentocinquanta di voi, ma a rotazione con un rientro garantito per tutti… buon appetito”. Nel volto del padrone si scorge un avvilimento sincero, come se volesse abbracciare tutti.
Prima del gelo il copione aveva previsto la consegna di un piatto d’argento da parte di ciascun Riva ai dipendenti. Si erano formate code veloci organizzate in gruppi alfabetici. Mutua? Formazione di classi scolastiche? Naia? Ricordi a parte, molti si erano detti tra l’aperitivo e la cena: dove li trovi altri così generosi? E, regalo sotto braccio, avevano trovato posto disciplinatamente sorridendo felici. Poi quelle due parole, dette come antipasto alla cena: cassa integrazione.
Giulia Parodi