Sanità – Ma qual è la mission degli ospedali?

Non è trascorso tanto più di un mese dagli annunci stereofonici sulla riorganizzazione della rete dell’emergenza in sanità, che già compare il primo titolo cubitale: “Trasferito dall’ospedale: muore” (Secolo XIX, 22 gennaio). Da giurarci.


Da giurarci su tutto: in primo luogo il titolo agitapopolo di un giornale (ridotto a fare tutta la prima di cronaca con la strabiliante notizia: lamette nella top ten dei furti al supermarket): trasferito dove? A casa? No, in un altro ospedale, ma solo gli esperti di sanità sanno leggerlo nell’occhiello. Ma così subito sorgerebbe spontaneo il quesito: in quell’altro ospedale non c’erano medici, infermieri, medicine?
Poi da giurarci che sarebbe accaduto in un caso consimile: se un ospedale con mission, come si dice, per l’emergenza scoppia, deve poter trasferire ad altri ospedali i casi per i quali i propri requisiti non servono più: i casi sociali, quelli stabilizzati in positivo e, per converso, i casi per cui proprio non c’è nulla da fare perchè, come si suol dire, la gente ha anche il diritto di morire.
Si legge sul Secolo, che riporta l’atto d’accusa della Direzione dell’ASL 3, che i pazienti trasferiti erano una settantacinquenne anemica con l’ulcera gastrica (ma non si cura, oggi, con una pastiglia al giorno?), un ottantenne (beato lui che c’è arrivato) con un cervello ridotto ormai a pochi neuroni funzionanti ed una 78enne con la descrizione di un quadro che sembra una perizia medico-legale. Eppoi, in stato stuporoso (leggi: in coma) il poveretto, morto dopo altri quattro giorni di ricovero, per il quale la cosa migliore sarebbe stata quella di poter morire nel proprio letto possibilmente con la vicinanza dei suoi cari.
“Forse avevano ragione le Cassandre, che prevedevano non risolti per nulla i problemi dell’emergenza sanitaria quando l’Assessore preannunciava di aver investito del compito “emergenza” un gruppo di lavoro (GORE, Gruppo Operativo Responsabili Emergenza).
I problemi strutturali dell’emergenza, infatti, si risolvono con finanziamenti (o recupero e riconversione di risorse sparse malamente) e progetti, non con una riunione tra amici, o quasi, che hanno il compito di cambiare la numerazione dei letti degli ospedali.
Un esempio? Perché continuare a “gettonare” l’attività dei radiologi per fare più esami (dicesi: abattere le liste d’attesa), che al 95% sono perfettamente negativi, e quindi inutili, invece di “gettonare” guardie di pronto soccorso, se di sabato, domenica, ma anche nei normali pomeriggi è spesso impossibile fare una lastra in pronto?
Perché “gettonare” sedute operatorie aggiuntive agli anestesisti, se poi manca l’anestesista in pronto soccorso in gran parte degli ospedali minori?
Con le risorse del primo e del secondo caso si potrebbero garantire pronti soccorsi funzionanti 12 ore sabati e domeniche comprese con un internista e il laboratorio, che in genere ci sono già, una reperibilità del chirurgo e dell’ortopedico, che parimenti ci sono già, un anestesista ed un radiologo, che in guardia attiva, come serve, per lo più non ci sono: in queste condizioni sia il 118, ma soprattutto i tanti che vanno spontaneamente, non ingolferebbero più Villa Scassi e Marco Comaschi, novello direttore sanitario della ASL, non dovrebbe più lamentarsi di quello che gli passa “il convento” Villa Scassi. Non dovranno farsi la guerra tra poveri.
Ma, a quanto pare, i polli di Renzo sono stati clonati.”
(Galeno)