Università – Riforma: il silenzio dei docenti

Non è possibile affrontare i problemi (gravi) dell’università senza un “coinvolgimento del mondo universitario come ceto intellettuale”. Purtroppo il mondo universitario da tempo è “assente e passivo”, incapace di dare ragione della sperimentazione iniziata dal ministro Luigi Berlinguer e perversamente sviluppata dal governo di centro-destra negli ultimi anni. L’ha scritto Paolo Prodi, docente di Storia moderna all’università di Bologna. La sperimentazione, dice, è stata un fallimento: “con il “3 + 2″ e con il sistema attuale di crediti non produciamo né cultura né preparazione professionale” (l’Unità, 26 maggio 2005).


Di questo e d’altro è venuto a parlare a Genova il ministro Mussi in un incontro con gli universitari genovesi (19 giugno). A cose fatte Vittorio Coletti, docente della Facoltà di Lettere e filosofia dell’università di Genova, si è permesso di osservare (Repubblica, 21 giugno 2006) che Mussi “non aveva scaldato i cuori”; in altre parole non era stato l’inizio del ripensamento auspicato da Prodi.
La reazione progressista benpensante è stata immediata. Alcuni docenti, tutti dell’area scientifica dell’Università di Genova, hanno scritto (Repubblica, 22 giugno) che a loro Mussi invece “i cuori li aveva scaldati, eccome”. E dopo anni di degrado (iniziati da quando? nda) avevano “sentito discorsi di speranza sull’università”. Parole e progetti nuovi. Conclusione: caro Coletti, sei tu il vero pessimista.
A sostegno dei precedenti è sceso in campo in una lettera aperta del 26 giugno Giunio Luzzato, anche lui docente della Facoltà di Scienze, da sempre impegnato sulla “questione universitaria”. E’ del tutto infondato, ha scritto, attribuire la responsabilità dei guasti alla riforma (Berlinguer?). “Vi sono alcuni, forse molti, pessimi Ordinamenti di Corsi di studio, che frammentano gli insegnamenti” ma non sono per effetto del “3 + 2″…, ma delle decisioni delle Facoltà, le quali – soprattutto nelle aree umanistiche – hanno spesso scelto di dare spazio a tutte le discipline specialistiche fin dagli anni iniziali, per non scontentare alcun docente”. Per Luzzatto si tratterebbe solo di correggere alcuni eccessi perchè tutto il resto funziona. Ma l’efficacia di una legge non si misura anche dalla sua capacità di impedire gli abusi?
Qualche giorno dopo (Repubblica, 29 giugno), Massimo Quaini, docente della Facoltà di Lettere e filosofia, proponeva ai colleghi di non dividersi tra ottimisti e pessimisti, ma di cominciare una buona volta a “guardare che cosa c’è dietro i paraventi che da anni nascondono le rovine di un edificio incompiuto che non ha più un progetto”.
E’ stato l’ultimo intervento: all’università di Genova, dai 1687 docenti in servizio, sembra che pochi abbiano voglia di guardare dietro i paraventi.
Nell’audizione alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati (4 luglio 2006) il ministro Mussi ha assicurato che non ci sarà mai più “riformismo dall’alto” e dichiarato che intende “verificare l’efficacia della legge del 1999 e successive modifiche, e correggere, dove occorre, la cosiddetta riforma “3 + 2”. Insomma: i docenti prima o poi dovranno dire la loro. Tanto varrebbe se cominciassero a parlarne.
(Oscar Itzcovich)