La cronaca locale ha dato notizia dei comitati sorti per opporsi alla costruzione di nuovi edifici su aree rimaste libere all’interno del tessuto edificato. Le proteste hanno di solito due motivazioni: quella più ovvia, che nasce dalla imminente privazione delle vedute godibili dalle abitazioni intorno all’area libera, e quella più astratta, ma certo non meno valida, che nasce dalla imminente perdita di un bene culturale: la vegetazione che cresce sulle aree libere la quale è davvero considerata dalla gente comune un bene più importante della volumetria edilizia che si vorrebbe realizzare.
In qualche caso in effetti, la vegetazione sopravvissuta sulle aree libere è davvero un valore culturale come mi pare di poter dire a proposito dell’uliveto murato di Via Scala a Quinto e a proposito del frutteto di Via Riboli in Albaro. Il fatto è che le trasformazioni urbanistiche della città non sono governate da fattori culturali, ma da fattori reddituali e spostare le cubature da una parte all’altra è diventato un affare più lucroso della costruzione di parcheggi interrati.
La norma che permette la dislocazione di volumetrie era da tempo presente nel Puc (che non è un Piano Regolatore Generale, ma un Piano Urbanistico Comunale; dunque cade in secondo piano l’effetto “regolatore” che viene invocato da chi attua le proteste). Questa norma introduce un meccanismo che permette a chiunque di acquisire superficie edificabile sul proprio terreno libero, demolendo una pari superficie edificata da qualche altra parte del territorio comunale. Testualmente recita: “Gli edifici residenziali esistenti incompatibili con le funzioni e gli obiettivi di riqualificazione possono, se demoliti, essere ricostruiti nell’ambito delle sottozone BA, BB, BE…”
Significa che i caseggiati residenziali situati in aree che il Puc destina ad altri usi (non residenziali) possono essere demoliti e la superficie lorda abitabile che questi edifici avevano prima della demolizione, può essere realizzata (costruendo ovviamente nuovi edifici) in qualsiasi altra parte del territorio comunale purché si tratti di una zona B (di completamento) nelle sue tre possibili categorie: BA (di pregio ambientale), BB (meramente residenziale), BE (agricola).
Il meccanismo si appoggia ad una registrazione notarile, attuata dal Comune di Genova, che garantisce la conservazione del diritto a ricostruire le volumetrie a partire dalla loro demolizione. La registrazione consente dunque la vendita del diritto a ricostruire. Difatti c’è chi ha intrapreso le demolizioni pur non disponendo di superfici su cui ricostruire le cubature acquisite. Si è aperto perciò un inusitato mercato delle volumetrie che, come tutti i mercati, fa lievitare i prezzi a seconda del rapporto fra offerta e domanda. Perfino il Comune ha potuto vendere volumetrie residenziali (e incassare imprevedibili entrate) demolendo i fabbricati residenziali che insistevano sull’area in cui era previsto il nuovo mercato ortofrutticolo.
Il meccanismo messo in moto, privo com’è di qualsiasi criterio che orienti la ricostruzione, è apparso a più d’uno come una macchina ingovernabile.
(Rinaldo Luccardini)