Anno Zero – Più di Travaglio poté Cuffaro

Un’Auditel capace di misurare anche le reazioni meno superficiali del telepubblico avrebbe colto un diffuso senso di indignazione e sgomento, di fronte allo spaccato della realtà siciliana, messo in scena nell’ultima puntata di “Anno zero”, protagonista Cuffaro, officiante Santoro.


Sotto accusa era la locale macchina mangiamiliardi della sanità, un sistema clientelare per cui ci sono più convenzioni con studi e cliniche private nell’isola che in tutta Italia e si arriva all’assurdo che un particolare esame oncologico, in una di queste strutture, costa 2.000 volte di più che in ospedale. E come mai il governatore Cuffaro si incontrava col big boss della medicina privata per concordare il tariffario non negli uffici della Regione, ma nel retrobottega di un negozio d’abbigliamento?
Al conduttore che gli sollecitava una risposta diretta, un chiarimento sul punto, il governatore ha preferito rinfacciagli il compenso strappato alla Rai (stratosferico ma forse non superiore a quello del granciambellano Vespa). Ha rifiutato il confronto anche sui fatti pesanti contestatigli a raffica da Travaglio. Se poi Fava, l’europarlamentare, gli ricordava la cena con un mafioso, lui ribatteva che Fava era andato a pranzo con un Pm antimafia, quasi si trattasse di frequentazioni ugualmente compromettenti. E’ andato avanti così, contorcendosi come una medusa dal morso tagliente, fino al capolavoro finale, quando non ha esitato a colpire una famiglia con due morti ammazzati dalla mafia, pur dicendo simultaneamente di aver rispetto per i lutti. Inimmaginabile.
Spettacoli “forti” come questi possono sollevare qualche dubbio circa le ricadute: prevarrà la rabbia, lo sdegno o il contributo allo sfascio, alla sfiducia del “tanto sono tutti uguali”? Altri possono domandarsi quanti siano, nell’audience del 20 per cento raccolta da Santoro & Co., i teleutenti in grado di cogliere il vero che emerge dal brutto della diretta. Si potrebbe rispondere con Bogart: “E’ l’informazione, bellezza”. C’è poi un’altra massima cui dovettero attenersi generazioni di cronisti: tenere sempre presente di rivolgersi a un lettore con la levatura dei 10 anni. Solo che ora quel ragazzino è un po’ cresciuto. Di testa.
Camillo Arcuri