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  • Case all’asta – Quanti sciacalli del quartierino

    L’ultimo richiamo ammicca ai passanti dal bordo strada, proprio come certe signore, e promette: Noi la tredicesima te la raddoppiamo… Continua, orchestrata a vari livelli, con inviti subdoli o sfacciati, la campagna che dagli anni della finanza creativa bombarda i meno abbienti, spingendoli a indebitarsi. Per i buon i affari di banche, finanziarie e usurai.

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  • Comune & C./1 – Le società partecipate senza partecipazione

    “Società partecipate”: intanto è già un bel nome. Perché dà l’idea della democrazia (ricordate la canzone di Gaber “La libertà è partecipazione”?). Poi sembra che abbiano contribuito a migliorare la finanza dei Comuni. Che erano diventati dei carrozzoni dove le spese del personale assorbivano tutto il bilancio. Invece con le “partecipate”, quote di risorse finanziarie e umane sono state predestinate a servizi, infrastrutture, progetti economici vari e così sottratte alla voragine comunale. L’intenzione era buona e i risultati, dicono gli amministratori di tutta Italia, sono stati ottimi. Il comune di Genova, per esempio, aveva, fino al 1996, 80 direzioni generali e affogava nella burocrazia laddove ora le stesse sono ridotte a 15 e “le cose funzionano egregiamente”.

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  • Comune & C./2 – Ma chi controlla i controllori?

    Chi sono i manager (ma non mancano i portaborse, i tirapiedi e i riciclati) chiamati a Genova a dirigere o partecipare al governo delle “partecipate”, a quali clan politici, partitici e d’affari appartengono?
    Il Comune di Genova in 18 delle società che ha figliato provvede a 58 consiglieri su 103 (Secolo XIX, 9, 10, 14 febbraio ’07). Come? Pagando 350 mila euro l’anno alla voce presidenti, 900 mila amministratori delegati, 435 mila senza grado. Per un totale di un milione e 685.000 euro lordi (annualmente, ai singoli presidenti tra 10 e 80 mila euro, agli amministratori delegati tra 30 e 200 mila, ai consiglieri una media di 7.600 euro l’anno).

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  • A volte ritornano – Come aprire il palazzo ai vecchi fantasmi

    Chi non ha del tutto rimosso l’abitudine un po’ masochista all’autocritica, può aver avuto un momento di dubbio: non sarà che stavolta hanno qualche ragione anche “loro”, quelli che rimproverano al centrosinistra di essere diviso da cento motivi almeno e unito solo dall’antiberlusconismo? E non è forse un limite pesante, segno di debolezza, l’estrema personalizzazione della lotta politica, ossia la “demonizzazione” dell’avversario, tipica arma degli arruffapopoli di tutti i tempi? Così ripetevano in coro i berluscones, mercoledì sera in tv, a Ballarò, mentre sullo sfondo suonavano a stormo le mille campane del moderatismo mediatico, liberate dalla caduta del governo Prodi in Senato.

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  • Mode – L’ambiguità nera della pubblicità

    Dolce & Gabbana sono due famosi stilisti che ci propongono senza tregua immagini di giovani discinti, un po’ ambigui, visibilmente ricchi, nullafacenti e perciò annoiatissimi, usualmente stravaccati “in posizione scomposta”, come si sarebbe detto a scuola negli anni ’50. Ora però si cambia: questa volta in posizione scomposta c’è una donna, uno sta per violentarla, gli altri intorno, in piedi, guardano con distacco. Forse aspettano il loro turno. Il tutto è molto estetico, si intende. E magari è solo un gioco, forse sotto sotto lei ci sta, dopotutto porta una vertiginosa minigonna e i tacchi a spillo.

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  • Teatro – L’insostenibile sofferenza della verità di Yuri

    “Di qui si va via tutti insieme.” L’umanità non è divisa tra beati e dannati nel dopo morte pensato da Petruzzelli e Calandri per il loro splendido apologo sui crimini che i medici nazisti hanno compiuto sui bambini cavie nei lager.
    Nell’aldilà di “L’olocausto di Yuri” presentato lo scorso 20 febbraio al Teatro Duse, c’è solo un’immensa folla che cammina in continuazione. Ognuno apparentemente cerca gli altri: i figli uccisi, la moglie, il carnefice, ma quello che davvero importa nell’incontro con l’altro sono i frammenti di sé che ne vengono riflessi e restituiti, e che lentamente ricompongono la verità di ciascuno. Si potrà andare via solo dopo che tutti avranno capito, solo dopo che per ogni singolo si sia compiuto il percorso della consapevolezza di sé, della parte di colpa che ciascuno ha anche nelle tragedie di cui è stato vittima.
    Nessuno potrà andarsene finché anche l’ultimo non sia uscito dal circolo della ripetizione dei gesti che continua a compiere in attesa del coraggio di affrontare l’insostenibile sofferenza della verità.
    (Paola Pierantoni)

  • Libri – La fatica della vecchiaia secondo Roth

    Vi voglio parlare di Philip Roth. E’ necessario. Ci sono cose entusiasmanti che vanno condivise con altri. Roth è una di quelle. Potete iniziare a conoscerlo con uno qualsiasi dei suoi romanzi, da quelli dell’esordio o dall’ultima pubblicazione. Ma iniziate. E fatelo subito.
    Era la mia convinzione sulla quale non avrei arretrato di un passo, se non fosse stato per una mail, letta a Fahrenheit – Radio Rai Tre – venerdì 23 febbraio. “Non dovevate recensire “Everyman”, l’ultimo libro di Roth – troppo crudele il modo in cui tratta la vecchiaia…Gli ascoltatori della radio sono spesso anziani. Una visione di quel tipo li può sconvolgere.”

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  • Verde e verdi – Ha anche un cognome il disastro giardini

    Non solo Aster ha colpa del degrado del verde urbano e storico: non mi pare che si debbano trascurare le responsabilità del committente di Aster, in particolare dell’Assessore all’Ambiente, che nel caso è anche un Verde. Che con rara incoerenza ha buttato tutte le energie nella costruzione del maxicanile di Monte Contessa (distruggendo ampie aree verdi, derogando più di una norma), ma impegnando ben poche risorse nella manutenzione costante, continua dei giardini.
    (Franca Guelfi)